Intervista a Maria Cristina Lombardi

 

Intervista a Maria Cristina Lombardi

Maria Cristina Lombardi

Intervista a Maria Cristina Lombardi, docente all'Orientale, traduttrice del Premio Nobel per la letteratura Tomas Tranströmer. "Il primo articolo in assoluto in Italia su Tranströmer? Uscì all'Orientale, negli Annali di germanistica. Era il 1985".

 

 

 

 

 

 

Professoressa Lombardi, nella Nota alla traduzione de Il Grande Mistero, lei ha scritto che penetrare nei testi di Tomas Tranströmer è stato un vero e proprio viaggio. Ce ne racconta le tappe principali?

C’è da premettere che già il concetto di “viaggio” in sé rappresenta un tema importante per l’autore, sia a livello biografico che letterario. Ha viaggiato molto, infatti, fino al sopraggiungere della malattia nel 1990, a causa della quale scrive con la mano sinistra e suona, ma non può parlare. Per lui il viaggio era vita, la possibilità di incontrare nuove culture, paesi, intellettuali per poi tornare sempre in Svezia, dove ripercorreva la propria esperienza, riformulandola in poesia. Era insito nei suoi geni: suo nonno era stato Capitano navale, secondo una tradizione di famiglia che lo stesso Tranströmer ha raccolto vagando per il Mar Baltico, spesso presente nei suoi versi. Tradurli è stato anche per me un viaggio. Quando si comincia a conoscere un autore, si inizia anche a viaggiare assieme a lui, del resto. La mia esperienza in questo senso è iniziata quando, da giovane, mi trovavo a Stoccolma per il dottorato e mi è capitato di imbattermi nei suoi testi. Ho capito subito che la grandezza di quest’autore risiedeva essenzialmente nella sua concisione; nell’estrema asciuttezza della lingua che costituiva una vera sfida, per affrontare la quale mi sono tenuta in comunicazione costante con lui ed ho sottoposto le scelte lessicali  della mia traduzione a continua verifica. Sono entrata nel suo mondo ed ho viaggiato nella sua lingua.

Lei si è occupata della traduzione del volume prima o dopo l'assegnazione del Premio Nobel?

Mi sono occupata per anni di questo libro che, pur essendo la sua ultima raccolta, risale al 2004. Subito mi sono messa a studiarla e poi a pensare alla traduzione, cominciando a verificare il mio lavoro con lui tre anni fa. Una parte degli haiku che costituiscono la raccolta era infatti stata già da me pubblicata nel 2006 nella rivista Poesia, edita da Crocetti che si è successivamente occupato della realizzazione del Il Grande Mistero, di cui disponevo dunque da qualche tempo in versione italiana, subito impiegata per la stampa al momento dell’assegnazione del Nobel.

Come si è sentita quando è venuta a sapere del riconoscimento? È stata una vittoria anche per lei?

È stata una grossa vittoria. La conferma di un’intuizione. Il primo articolo in assoluto in Italia su Tranströmer era infatti apparso sugli Annali di germanistica dell’Orientale (ben noti come "AION - sezione germanica") già nell’85-86, quando io ero ancora all’Università.

Si è sentita in qualche modo "sotto pressione"?

Più che per la traduzione, che era già pronta, per gli articoli scritti per i vari giornali tra cui Il Mattino di Napoli, il Corriere della Sera e altri, ma anche per le varie interviste radiofoniche. Ma è una pressione che in fondo fa anche piacere.

A questo proposito, nel 2006, lei ha ricevuto lo Stiftelsen Natur och Kulturs översättarpris dell'Accademia di Svezia per il lavoro svolto nel corso della sua carriera…

Ho ricevuto quel premio per la mia attività di traduzione soprattutto per la poesia, pur essendomi occupata anche molto di prosa. In particolare per un’antologia di poesia sempre di Tranströmer, Poesia dal silenzio (2001), e per un poema fantascientifico di Harry Martinson (2005), a sua volta vincitore del Premio Nobel, nel ’74. Da allora il Nobel non veniva assegnato ad uno svedese.

Lei ha sempre voluto occuparsi principalmente di traduzione? Ha intenzione di proseguire in questa direzione?

Non solo me ne occupo perché mi interessa, mi piace e penso che sia importante – a livello universitario e non – ma in più seguo anche un laboratorio di traduzione coi miei studenti, anche quelli già laureati, nell’ambito del quale cerco di insegnare principalmente la traduzione letteraria, in particolare poetica. Adesso stiamo concentrandoci su un’opera in prosa: i racconti Selma Lagerlöf, a sua volta Premio Nobel nel 1909.

Cosa consiglierebbe a un giovane che volesse intraprendere la sua stessa carriera?

Consiglierei di leggere tanto, conoscere bene non solo l’autore ma anche la cultura dalla quale proviene, approfondendo gli aspetti politici, sociali e storici del suo paese, cui egli fa per forza di cose riferimento. Importantissima è la conoscenza dell’italiano e della sua ortografia; quindi conoscere non solo la letteratura straniera, ma anche e soprattutto la propria.

Consiglierebbe l’Orientale ad un aspirante traduttore?

Assolutamente! Non soltanto perché ci lavoro, ma perché annovera ottimi traduttori tra i docenti di letteratura, noti anche al di fuori del mondo accademico.

Lavorare all’Orientale l’ha aiutata negli scambi internazionali?

Sì, mi ha aiutato perché mi permette l’organizzazione di convegni e scambi coi colleghi, sempre molto fruttuosi.

Tornando in particolare all’autore di cui stiamo parlando e della sua raccolta specifica, come è stato rapportarsi non soltanto al mondo della mitologia nordica, di cui lei è esperta, ma anche alla tradizione haiku? Ha trovato difficile lavorare su strutture metriche giapponesi, diverse da quelle incontrate nel corso dei suoi studi?

Si tratta di una forma estremamente rigida, che ho scelto di non rispettare nella traduzione italiana de Il Grande Mistero, mentre l’avevo fatto invece per un’altra raccolta, che tuttavia comprendeva anche componimenti dai differenti schemi metrici, divertendomi quasi nel comporre i versi e nel raggiungere il numero di sillabe necessarie. In quest’altro caso, però, un simile sforzo mi avrebbe portato troppo lontano dall’originale, essendo l’italiano una lingua romanza e non germanica, con parole più lunghe, e non me la sentivo. Non mi sentivo di tradire un autore così grande e il suo genio poetico.

Cosa portano con sé autori come Tranströmer? Cosa possiamo imparare da loro?

Una grande onestà intellettuale e una grande modestia. La pregnanza della parola detta e l’importanza del silenzio fra le parole; addirittura i silenzi nella musica: la nostra attenzione deve andare a ciò che non si vede. In un momento come questo in cui la parola spesso è abusata, nella pubblicità e nella politica, invece ci chiama a una maggiore attenzione a ciò che veramente è importante. Non parole vuote, ma piene di significato, come spesso avviene.

Trova che l'editoria italiana lasci sufficiente spazio alla letteratura svedese, in particolare alla poesia?

La poesia in sé ha poco spazio in Italia, sebbene si sia verificato in questi ultimi mesi un aumento delle vendite di libri di poesia e l’interesse  verso questo genere letterario sia senza dubbio cresciuto. All’estero la poesia è innanzitutto più letta e ascoltata: ci sono letture nelle università e nelle librerie che durano ore! In Russia addirittura possono arrivare a sei ore!

La poesia svedese, in una lingua poco conosciuta sul mercato, è svantaggiata. C’è da dire però che negli ultimi trenta anni c’è stato un crescendo di interesse, molto netto negli ultimi dieci. Grazie a Crocetti, in primis. Naturalmente la crisi economica odierna coinvolge anche l’editoria, ma vi è speranza di uscirne, anche e soprattutto grazie allo strumento della lettura.

Nel libricino è inserito anche il testo a fronte originale, nonostante non sia una lingua nota quanto l’inglese o il francese…

La lingua originale è sempre importante. Sia per chi capisce lo svedese che per chi non lo capisce, ma ad esempio conosce lingue simili o affini. Certe parole possono assomigliarsi… si può avere un’idea del testo originale anche senza comprenderlo fino in fondo.

Un suo ricordo personale dell’autore? Un incontro che le è rimasto nella memoria?

Ricordo il momento in cui l’ho conosciuto. La sua piccola, piccolissima casa, in un posto molto bello nel cuore di Stoccolma, abitato da artisti e scrittori, da cui si vede il porto della città. Ricordo il tavolo pieno di libri, traduzioni, enciclopedie, l’atlante, le carte geografiche… Abbiamo mangiato insieme e ho conosciuto sua moglie, una donna splendida che ringrazio e che l’ha aiutato nella sua malattia, standogli sempre a fianco. Quando sono venuti in Italia a ritirare il Premio Nonino, il poeta era già stato colpito dalla malattia e non era i grado di parlare. Così delegò me alla lettura del suo discorso di ringraziamento, alla presenza di seimila persone, che destò grande ammirazione e commozione.

Annamaria Bianco

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