Intervista a Paolo Ramat

 

Intervista a Paolo Ramat

Paolo Ramat

Studiare la linguistica oggi serve a capire chi siamo e come funzioniamo
 

Professore Ramat, lei partecipa alla Giornata di studi con Federico Albano Leoni organizzata dalla Federico II e dall'Orientale. Chi è per lei Albano Leoni?

“Un amico e un collega con il quale ho condiviso diverse tappe della mia vita.”

Quali sono i punti di contatto tra il suo percorso e quello del professor Albano Leoni?

“La vita di Federico Albano Leoni e la mia sono state almeno in parte due vite curiosamente parallele. Siamo nati tutti e due, per quello che riguarda la linguistica, all’interno degli studi indo-europeistici, per poi passare entrambi alla germanistica e approdare in seguito a problemi di linguistica generale.”

Un elemento di vicinanza e uno di divergenza tra lei e il professor Albano Leoni: concezioni, approcci, metodi, prospettive.

“I punti di vicinanza sono le comuni origini, anche se io sono un po’ più anziano di Federico, all’interno di un momento più o meno caratterizzato dalle stesse tendenze generali ovvero dalla primazia della linguistica storica e della dimensione storica della linguistica.
Sulle divergenze potrei dire che, all’interno del vasto dominio della linguistica generale, abbiamo poi scelto specializzazioni diverse: lui si orientato verso la fonetica e la fonologia, mentre io mi sono orientato verso il confronto tipologico delle lingue.”

Che valore ha una giornata celebrativa come questa del 25 febbraio?

“Due piani diversi: uno pubblico ed uno più personale. Da un lato, la giornata offre l’occasione per fare il punto sul percorso scientifico di una personalità che ha avuto un ruolo importante nella linguistica italiana e dall’altro, mi permette di ripercorrere i quaranta e oltre anni di vita che abbiamo avuto in parallelo.”

Quale aspetto della ricerca di Federico Albano Leoni metterà in evidenza con il suo contributo?

“La mia relazione avrà il titolo Federico Albano Leoni: germanista e tratterò appunto del periodo nel quale Federico si è occupato di germanistica, aspetto di particolare vicinanza con la mia carriera.”

Qual è contributo più rilevante che ha dato, secondo lei, Federico Albano Leoni alla linguistica?

“Secondo me è nei lavori degli ultimi dieci o quindici anni sulla fonologia e fonetica dell’italiano parlato anche dal punto di vista, non molto diffuso in Italia, della fonetica acustica.”

Ci indica un’opera di Albano Leoni che consiglierebbe di leggere a uno studente interessato alla linguistica?

“Anche due. Un buon manuale è quello che ha scritto nel 1988 e pubblicato da Carocci: Manuale di Fonetica, filone di studi che lui persegue appunto da diversi anni. L’altro è un libro a riflessione più teorica, molto recente, pubblicato nel 2009 da Il Mulino: Dei Suoni e dei sensi.”

Federico Albano Leoni compie settant’anni, secondo lei quali sono le maggiori differenze tra un linguista più anziano, formatosi alcuni decenni addietro, e un giovane linguista al lavoro oggi?

“Ritengo che sia cambiata la situazione contestuale, visto il ritmo esponenziale con il quale i linguisti si riproducono (ciascuno di noi docenti ha tre o quattro allievi che, a loro volta, avranno allievi e così via) che dà luogo progressivamente a un sempre più ampio numero di sottodiscipline.
Destinata all’estinzione penso sia la figura del linguista onnisciente, nonostante Google e tutti gli strumenti informatici che permettono di reperire informazioni in maniera pressoché immediata.
Si può solo avere una conoscenza generale ma non approfondita poiché l’approfondimento è in sostanza reso impossibile dall’enorme vastità degli ambiti della linguistica.”

Una domanda secca: a che cosa serve oggi studiare linguistica? Ne vale ancora la pena?

“Risposta secca: studiare la linguistica oggi serve a capire chi siamo e come funzioniamo. Se ne vale la pena? Altra risposta secca: sì, poiché di campi d’indagine ce ne sono più di quanti se ne creda, bisogna avere solo un po’ di fantasia.
Ad esempio, in un convegno organizzato in collaborazione tra l’Università di Pavia e quella di Lugano, dal titolo Linguistica e Nuove Professioni, vennero fuori numerosi ambiti lavorativi nel quale impiegare le conoscenze della disciplina, dalle scienze della comunicazione alla logopedia, ecc...”

Che cosa ancora si potrebbe/vorrebbe dire sulle lingue e il linguaggio?

“Secondo me il futuro della linguistica è nelle neuroscienze ovvero nello studio del cervello inteso come materiale fisico. Le neuro-immagini, le analisi PET ci fanno vedere, infatti, in un modo che in passato era tecnologicamente ed eticamente impossibile, le zone del cervello che rispondono agli stimoli e che vengono attivate con il linguaggio.
Azzarderei quindi affermare che le neuroscienze non possono fare a meno di conoscenze linguistiche basiche e viceversa, un linguista oggi non può ignorare quello che avviene nel campo delle neuroscienze.”

La ricerca linguistica, secondo lei, è abbastanza valorizzata in Italia ai giorni nostri?

“Direi che nel disastro generale della ricerca scientifica in cui ci troviamo, la linguistica se la cava abbastanza bene sia a livello nazionale che internazionale. Ritengo anzi che all’estero la linguistica italiana goda di un prestigio nettamente superiore alla disponibilità di mezzi che abbiamo: siamo insomma abbastanza bravi e di frequente facciamo parte di congressi internazionali in veste di relatori principali. Tra i campi di studio nei quali eccelliamo c’è stato il momento della linguistica chomskiana con alcuni studiosi, come Luigi Rizzi e Guglielmo Cinque, tuttora al vertice delle discussioni sulla linguistica generativa - trasformazionale. Oggi inoltre l’Italia riscuote un buon plauso internazionale nel campo della linguistica cognitiva.”

Lei è stato allievo di Giacomo Devoto. Ci vuole raccontare un aneddoto?

“Io ho studiato a Firenze sotto la guida di Giacomo Devoto, uno dei santoni della linguistica degli anni Quaranta-Sessanta. Di aneddoti ce ne sarebbero tanti che è davvero difficile scegliere. Posso raccontare però che un giorno Giacomo Devoto mi chiese di recensire un suo libro, Origini indoeuropee, cosa che un maestro non dovrebbe fare mai con un discepolo. Io compilai la recensione come mi era stato chiesto, gliela passai in visione prima della stampa e lui commentò: «Per essere un giovane sei troppo prudente». Intendeva dunque che avrei dovuto avere più coraggio, un po’ più di garibaldinismo nell'accettare ipotesi ricostruttive, come in parte aveva lui. Ma io in questo lo seguii soltanto fino ad un certo punto.”

Un consiglio del suo maestro del quale non avrebbe potuto fare a meno e che ha seguito.

“Devoto non dava consigli, dava esempi. Esempi di impegno scientifico, accademico e civico: infatti fu per anni direttore della Camera di Commercio di Firenze, lavoro che sostanzialmente non c'entrava molto con la sua carriera, inoltre, all’indomani della liberazione della città, ebbe anche cariche di carattere sociale.
Era insomma un barone della vecchia generazione che aveva però tutti i titoli e tutte le qualità per esserlo.”

E il consiglio che non ha seguito?

“Credo di aver già detto tutto nella risposta precedente. Devoto non mi ha dato mai consigli ma piuttosto molti esempi di comportamento che mi hanno aiutato nella carriera.”

C’è qualcosa che, a suo avviso, si è perso con gli anni nella formazione di un linguista rispetto al passato?

“Direi di no. Non c’è stata secondo me una decadenza qualitativa e sono generalmente portato all’ottimismo: i migliori giovani di oggi mostrano, infatti, altrettanta passione e impegno di quelli di ieri. D’altra parte, mediocri e cattivi linguisti c’erano, ci sono e ci saranno sempre.”

Gli sviluppi tecnologici degli ultimi decenni hanno condizionato gli studi linguistici consentendo l'esplorazione di nuovi settori grazie a nuove e sempre più sofisticate strumentazioni, ampliando i confini della ricerca e della diffusione del sapere. D'altro canto, l'ampliarsi dei confini di studio è andato di pari passo con una sempre maggiore specializzazione e concentrazione dell'indagine su fenomeni linguistici puntuali e circoscritti. Che cosa deve fare un giovane linguista per non rischiare di restare ancorato al dato particolare?

“Indubbiamente c’è questo pericolo. L’antidoto è di usufruire di tutti i mezzi di comunicazione per partecipare a occasioni d’incontro e scambio d’idee come seminari, conferenze, discussioni anche in tematiche lontane dai propri interessi o anche tramite internet dove, per esempio, è possibile iscriversi a servizi di newsletter come LinguistList.
Non c’è bisogno di spendere fortune in lunghi viaggi ma seguire un seminario o un piccolo convegno ogni tanto è assolutamente necessario, specie per un giovane.
La propria specializzazione poi dovrà insegnare il metodo per non restare travolti nel mare delle informazioni.”

Secondo Lei, quale argomento meriterebbe di essere studiato maggiormente? Quale invece è un aspetto superato?

“Parzialmente credo di aver già risposto anche qui. L’aspetto che dovrebbe essere di più studiato oggi sono i fondamenti biologici del linguaggio che rappresentano la punta di diamante di tanti meccanismi che sovraintendono al mutamento storico delle lingue come la grammaticalizzazione, la metafora, l’analogia: tutti fenomeni che risalgono ai meccanismi cognitivi della nostra mente e per tanto alla biologia del cervello.
Più che di aspetti superati, però, direi che si tratta piuttosto di riaffrontare i vecchi problemi alla luce delle nuove tecniche e delle metodologie che vengono offerte dagli ultimi approcci.
Un grosso arricchimento è, per esempio, il fatto che mentre la mia generazione (e quella prima della mia) ha affrontato la linguistica a partire quasi esclusivamente dall’indoeuropeo, oggi i campi di studio si sono notevolmente ampliati accogliendo i contributi delle lingue africane, asiatiche e sud americane dalle quali si possono trarre interessanti insegnamenti e analogie con il campo degli studi che era rimasto limitato un poco all’indo-europeistica.”


Quale consiglio darebbe a un giovane interessato agli studi linguistici in un momento in cui le scienze umane faticano a veder riconosciuto il ruolo che spetta loro nella formazione dell'individuo così come nella sua spendibilità nel mondo del lavoro?

“Leggere, leggere, leggere. Poi inventarsi una professionalità cioè ricavarsi un campo d’indagine e lavoro, ad esempio nell’informatica dove, come dicevo prima, ci sono forse più opportunità di quanto si possa credere a prima vista.”

Quanto conta una solida formazione in linguistica storica nel profilo del linguista contemporaneo?

“La ritengo fondamentale perché gli accadimenti del passato oltre che costituire l’antefatto del presente, si ripetono spesso con gli stessi meccanismi. Infatti, noi troviamo in italiano fenomeni che già si sono verificati nel latino e che forse prima ancora si sono verificati nell’indoeuropeo.”

A cosa sta lavorando in questo momento?

“Ora mi sto occupando di sistemi deittici della segnalazione (ovvero forme come questo, codesto, quello, qui, là, ora, domani…) all’interno di un’interpretazione cognitiva con particolare riferimento all’italiano e alle altre lingue d’Europa.
Un altro tema, che un giorno spero di riuscire a finire, sono i fenomeni del raddoppiamento: non tanto il raddoppiamento morfologico dei perfetti latini, tipo pepuli e tetici, quanto il tipo correre forte forte, andare passo passo e roba del genere.”

Qual è stata la sua maggiore soddisfazione nella carriera accademica?

“Ne ho avute abbastanza e, ora che sono in pensione, mi posso ritenere perfettamente gratificato dal mio lavoro.
Difficile è quindi scegliere quale sia stata la maggiore tra le soddisfazioni: forse gli allievi che hanno fatto carriera e che ho portato alla cattedra universitaria oppure gli inviti presso Università prestigiose o magari la Laurea Honoris Causa che mi è stata conferita.
Più i libri che ho scritto, naturalmente: anche quelli sono delle soddisfazioni, specie se ricevono una recensione positiva.”

Ci può dire qualcosa a proposito dei rapporti tra lei e i due atenei che organizzano l’evento?

“Sono rapporti eccellenti. Da molti anni, non saprei dire da quanti, sia professori di Napoli vengono a Pavia che professori di Pavia, tra cui io stesso, siamo invitati a Napoli per seminari e conferenze. Io stesso poi ho fatto parte del Collegio docenti della sede napoletana dell’Istituto di Scienze Umane (SUM), diretto da Domenico Silvestri, dove ho svolto anche diversi cicli di lezioni.”

Come giudica l’interesse dei suoi studenti verso la linguistica? Avrebbe un rimprovero e un consiglio da dare loro?

“Non insegno più da due anni e non mi vedo nei panni di Nestore, né mi attribuisco il diritto di dare particolari ammonimenti.
Devo dire che ho chiuso in bellezza la mia docenza: gli ultimi tre anni li ho infatti trascorsi all’Istituto Universitario di Studi Superiori (IUSS), la seconda Università di Pavia, un’istituzione d’eccellenza tipo la Normale di Pisa o il Sant’Anna, dove ho avuto degli ottimi allievi, selezionati per concorso e quindi altamente motivati.
Quando avevo invece classi di 150 studenti, i rimproveri li avrei dovuti fare ai piani di studio che obbligavano a fare linguistica anche a delle persone alle quali in partenza non interessava nulla della materia.”

Per ultimo, potrebbe fare un augurio ad Albano Leoni e uno alla ricerca e all’Università italiana?

“A Federico auguro di continuare per molti anni a venire la sua attività a pieno ritmo.
All’Università e alla ricerca italiana, se devo essere tranchant, auguro un nuovo ministro e un nuovo governo che capiscano la necessità di investire sui giovani e pongano così fine alla fuga dei cervelli.
Il che non vuol che i nostri ricercatori non debbano andare all’estero ma il punto è che devono avere anche la possibilità di rientrare: anche io d’altronde sono stato fuori Italia come pure Federico (anche in questo ci sono paralleli nelle nostre vite), ma al nostro tempo era possibile rientrare.
Oggi è molto più difficile, proprio perché sono tagliati i fondi alla ricerca e sono state congelate tutte le situazioni. Insomma il sistema universitario pur producendo (chiamiamolo così) un ottimo prodotto, ovvero il dottore di ricerca, nemmeno lo vende, ma è come se lo regalasse direttamente all’estero senza rivolerlo indietro.
Anche se la linguistica italiana continua ad andare abbastanza bene nonostante tutto, è necessaria senza alcun dubbio una svolta molto netta a beneficio di chi verrà dopo di noi, docenti più anziani.”

Fabiana Andreani

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