Intervista a Tullio De Mauro
Intervista a Tullio De Mauro
“Pagliaro ascoltò, poi si fermò nel camminare e con un sorriso un po’ enigmatico sentenziò: «Dai propri maestri bisogna ereditare gli amici, non i nemici.»”
Professore De Mauro, nei prossimi giorni sarà a Napoli per una Giornata di studi con Federico Albano Leoni organizzata dalla Università degli Studi Federico II e dall'Università degli studi di Napoli “L'Orientale”.
Quali sono i punti di contatto tra il suo percorso e quello del professor Albano Leoni?
“Per conto del mio e suo professore, Antonino Pagliaro, ho seguito la preparazione della tesi di laurea di Federico Albano, che frequentava assiduamente seminari e lezioni che tenevo in quegli anni. Da allora ho avuto il privilegio di molti altri contatti col suo cammino professionale e scientifico. Quando anni fa sono andato fuori ruolo mi è parso naturale chiedere a lui di accettare di trasferirsi a Roma e di subentrare nell’insegnamento di Linguistica generale.”
Un elemento di vicinanza ed uno di divergenza tra lei e il professore Albano Leoni: concezioni, approcci, metodi, prospettive.
“Con Federico Albano abbiamo condiviso una posizione di minoranza: tenere insieme l’analisi storica e l’analisi descrittiva di fatti linguistici con prospettive e problemi di ordine teorico e generale. Non saprei segnalare divergenze di rilievo.”
Quale aspetto della ricerca di Federico Albano Leoni metterà in evidenza con il suo contributo?
“Il ruolo degli aspetti globali della realizzazione dei segni linguistici nel processo di ricezione e comprensione.”
Lei è stato allievo di Antonino Pagliaro. Un ricordo particolare.
“Ho troppi ricordi, tutti vivi e preziosi, non saprei scegliere.”
Un consiglio del suo maestro del quale non avrebbe potuto fare a meno e che ha seguito.
“Pagliaro era molto infastidito se a qualcuno scappava di chiamarlo maestro (un fastidio che ho visto condiviso anche da Leonardo Sciascia) e non amava questa parola. Solo una volta mi è capitato di sentirgliela usare. Mi preparavo a sostenere l’esame di libera docenza, in anticipo rispetto al termine normale di cinque anni dopo la laurea, e l’anticipo era consentito se c’era un assenso unanime della commissione giudicatrice. La presiedeva Giacomo Devoto. Mi chiese riandarlo a trovare mesi prima dell’esame dopo una seduta all’Accademia dei Lincei. Io ero molto emozionato. Devoto aveva assai cattivi rapporti accademici con Pagliaro e ne era ampiamente ricambiato. Con me fu cortese e molto circospetto, alla fine del colloquio mi propose di andare a esporre qualche mio lavoro in fieri al suo Circolo Linguistico Fiorentino. Accettare l’invito mi pareva un tradimento verso il mio professore. Presi tempo. Il giorno dopo andai da Pagliaro e, dopo la sua lezione, camminando per i corridoi della facoltà gli raccontai del colloquio e dell’invito. Pagliaro ascoltò, poi si fermò nel camminare e con un sorriso un po’ enigmatico sentenziò: «Dai propri maestri bisogna ereditare gli amici, non i nemici». Capii, andai a Firenze, la conferenza al Circolo andò bene, mesi dopo presi la mia libera docenza in anticipo e non ho più dimenticato quel consiglio e ho cercato di trasmetterlo ai miei allievi.”
Quale consiglio darebbe ad un giovane interessato agli studi linguistici in un momento in cui le scienze umane faticano a veder riconosciuto il ruolo che spetta loro nella formazione dell'individuo così come nella sua spendibilità nel mondo del lavoro?
“Lavorare per società che, tra l’altro, sappiano riconoscere questo ruolo, che è essenziale.”
Pensa che oggi sia ancora possibile aspirare ad essere un linguista completo, ossia arrivare ad una visione d'insieme senza perdere di vista la profondità dei singoli fenomeni?
“Il problema attraversa tutti i settori scientifici, lo ha rilevato molti anni fa per l’antropologia Claude Lévi-Strauss.”
Gli sviluppi tecnologici degli ultimi decenni hanno condizionato gli studi linguistici consentendo l'esplorazione di nuovi settori grazie a nuove e sempre più sofisticate strumentazioni, ampliando i confini della ricerca e della diffusione del sapere.
D'altro canto, l'ampliarsi dei confini di studio è andato di pari passo con una sempre maggiore specializzazione e concentrazione dell'indagine su fenomeni linguistici puntuali e circoscritti.
Cosa deve fare un giovane linguista per non rischiare di restare ancorato al dato particolare?
“Leggere e rileggere i grandi classici del pensiero linguistico e della linguistica moderna: Aristotele, Locke,Port-Royal, Leibniz, Vico, Humboldt, Wittgenstein, Saussure, Vygotskij, Hjelmslev, Chomsky…”
Quanto conta una solida formazione in linguistica storica nel profilo del linguista contemporaneo?
“Le lingue sono un prodotto storico, ciascuna cangiante nel tempo. Senza una prospettiva storica le analisi linguistiche brancolano nel buio.”
Lei è stato il vincitore del primo concorso mai fatto in Italia per l'insegnamento di Linguistica Generale, nel 1967. Come descriverebbe i cambiamenti avvenuti nel panorama degli studi di linguistica in Italia.
“La schiera dei linguisti italiani è cresciuta non soltanto di numero, ma anche di maturità, per esempio nel non cedere più, come un tempo, a ostracismi di tendenza. E non c’è più l’isolamento autarchico d’un tempo. Molti linguisti stranieri sono attivamente presenti nelle nostre società di studio e molti italiani sono onorevolmente coinvolti in imprese internazionali, i loro lavori circolano fuori d’Italia e parecchi hanno riconoscimenti internazionali.”
Il suo ricco e lungo percorso accademico non le ha impedito di portare avanti parallelamente un percorso politico: dal ruolo di consigliere della Regione Lazio e Assessore alla Cultura nel 1975, in seguito all’elezione come indipendente nelle liste del PCI, fino a diventare Ministro nel 2000. Qual è stato e qual è il suo ruolo nelle istituzioni italiane?
“Tra i due incarichi non c’è stata alcuna continuità. Chiesi di lasciare dopo due anni l’assessorato perché mi ero reso conto che non era compatibile col continuare a studiare, prima e dopo del resto sono stato un cane sciolto, fuori dei partiti, anche se come altri ho sperato molto tra gli anni Settanta e Ottanta nel Partito Comunista Italiano. Al ministero dell’istruzione sono stato chiamato come persona che da molti anni si occupava di educazione linguistica e scuola e che si supponeva non fosse sgradito agli insegnanti che si erano vivacemente opposti al precedente ministro. Il mio ruolo? Bene che vada quello del grillo parlante.”
C'è qualcosa che avrebbe voluto fare ma non ha fatto, magari nel suo anno di Ministero?
“Ottenere un deciso aumento degli stanziamenti di bilancio per l’istruzione.”
Un consiglio all'attuale Ministro?
“Cercar di ottenere lo stesso: non basta, ma è una precondizione necessaria.”
Che ruolo ha avuto la politica, e in particolar modo la sinistra, nel percorso che ha portato all’attuale crisi del sistema formativo?
“Da molto tempo, dall’inizio degli anni Novanta, non ha avuto e non ha sufficiente attenzione per il ruolo di scuola, formazione e ricerca nella vita sociale ed economico-produttiva del paese.”
Tornando alla sua vita accademica, navigando in Rete è possibile trovare un sito web interamente dedicato a lei, realizzato inizialmente a sua insaputa, a quanto pare, e la cui pubblicazione è stata da lei autorizzata. Nel sito c’è un ricco “Album Glottofotografico” nel quale sono raccolte immagini della sua vita: le sezioni iniziano da quella che viene definita la “Preistoria”, dagli anni Sessanta fino ad oggi. Una lunga storia… Un aggettivo per definirla?
“Mah, lunga mi pare un buon aggettivo, diis adiuvantibus.”
Lei è stato assistente ordinario di Glottologia all'Istituto Orientale di Napoli con Walter Belardi nel biennio 1958-60? Un ricordo della sua esperienza all’Orientale in quegli anni.
“La ringrazio della domanda. A quell’epoca l’Orientale era l’unica facoltà italiana aperta a tutti gli studenti diplomati, quale che fosse il diploma. Venivano dai licei le ragazze di buona famiglia napoletane a studiare lingue, ma venivano anche da tecnici, professionali e magistrali, molti scendendo dai monti o salendo dal profondo sud: ragazze e ragazzi per i quali entrare all’università era una promozione sociale, degna di ogni sacrificio, loro e delle loro famiglie. Per me fu una lezione di vita, e non una sola. Facevo lezione io, formalmente, ma ero io che imparavo: ogni ora dovevo cercare di capire come riuscire a spiegare in modo comprensibile i risultati e le frontiere cui era giunta allora la linguista teorica e descrittiva, come ben si diceva sia pure in forma spesso enigmatica nelle dispense di glottologia di Belardi. Facevo lezione due, tre ore di seguito. Qualcosa forse restava anche a loro, io, certamente, credo di essere stato costretto a capire moltissimo in quello sforzo di chiarificazione per me prima che per loro. E dopo la lezione spesso restava un gruppetto con cui continuavamo a parlare. Andavamo insieme verso un baretto di via Mezzocannone, gli offrivo un caffè. In più d’un caso capivo che la tazzina di caffè zuccherato (ottimo caffè) era per loro colazione, pranzo e cena della giornata. E imparavo così un’altra lezione. A distanza di anni, di decenni, ogni tanto mi è capitato e capita di incontrare di nuovo qualcuno o qualcuna, si ricordano di me, si avvicinano, mi salutano, rievocano le lezioni e il terribile, il terrificante esame di glottologia. Penso a tutti con molta gratitudine.”
Azzurra Mancini