L’Iran tra teocrazia e dinamismo

 

L’Iran tra teocrazia e dinamismo

Locandina del film I gatti persiani (Bahman Ghobadi, 2009)

Proiettato al CILA I Gatti Persiani di Bahman Ghobadi nell’ambito della rassegna sul cinema iraniano curata dalla professoressa Natalia Tornesello

 

Cosa succede se un gruppo di ragazzi vuole formare una rock band a Teheran? È quello che si chiede il regista Bahman Ghobadi (1969) nel film I gatti persiani (Kasi Az Gorbehaye Irani Khabar Nadareh). Il film, uscito in Italia nel 2009, è la quarta pellicola proiettata al CILA nell’ambito della rassegna di cinema iraniano curata dalla professoressa Natalia Tornesello.
I gatti persiani è stato presentato al Festival di Cannes nella sezione “Un certain regard” dove ha vinto il premio speciale della giuria. Nonostante ciò, la storia della produzione del film è un perfetto esempio di cosa significhi esprimersi in Iran. Girato senza autorizzazioni in soli 17 giorni, il film è costato al regista l’autoesilio (per evitare pene ben peggiori). È la storia di un ragazzo e una ragazza decisi a formare una rock band, registrare un disco e, magari, suonare a Londra. Niente di più difficile: i due dovranno scontrarsi con l’opposizione del regime, della burocrazia e dei vicini di casa pronti a chiamare la polizia. Come traspare dal film, nella teocrazia iraniana, tutto quello che non rispetta i principi islamici è strettamente controllato: vuoi registrare un disco? Chiedi l’autorizzazione. Vuoi organizzare un concerto? Chiedi l’autorizzazione. Il film parla di tutto questo, ma è anche un modo per mettere in luce il dinamismo di una parte della società iraniana contemporanea. Con il pretesto della ricerca dei componenti per formare la band, Ghobadi, fa muovere i protagonisti da un capo all’altro di una Teheran, chiusa, labirintica. È tra le pieghe della società, sembra suggerire il regista, che è costretto a muoversi chi voglia esprimersi liberamente. In questo scenario, la colonna sonora è garantita dai gruppi musicali alternativi della città, i quali sembrano esprimerne i diversi aspetti.
Si scopre così una realtà fatta di musicisti, fabbricanti di documenti falsi, feste private, concerti organizzati in appartamento, in cui il pericolo di venire denunciati e arrestati è costante. Una situazione che il regista sembra conoscere bene, considerando quanto accaduto con la produzione del file.
Ghobadi tuttavia va oltre la denuncia: quella che viene rappresentata è la società iraniana contemporanea – o, almeno della capitale – con i suoi pregi e difetti. Il film sembra raccontare un Iran non è solo una società chiusa e teocratica, ma anche un paese dinamico, al di fuori di qualsiasi pregiudizio dettato dai mass media.
 

Salvatore Chiarenza

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