L’Università tappa fondamentale per la mia crescita personale

 

L’Università tappa fondamentale per la mia crescita personale

Elena Di Cristo con i suoi due figli

Il mio lavoro? Costruisco scarpe e sandali, a mano


 

Elena Di Cristo, lei è nata nel Lazio. Come sapeva dell’Orientale? E soprattutto, perché ha deciso di studiare la lingua cinese?

“Le mie motivazioni possono apparire banali. Vivevo in una cittadina di provincia dove la mia unica certezza era che la cosa migliore per me fosse andare via. Così la decisione fu presto presa. Ho una nonna a Torre del Greco che avrebbe potuto ospitarmi, ho sempre avuto interesse per le lingue e per le culture altre e così… sono arrivata all’Orientale.
Il mio interesse per il cinese non ha radici profonde. Anche questo è stato casuale. Quando m’immatricolai, alla presentazione del mio piano di studi il dipendente della segreteria mi guardò divertito e mi disse: «secondo me le sue aspirazioni sono un po’ troppo alte». In effetti, avevo inserito russo, giapponese e cinese come lingue quadriennali. Tenni conto dell’osservazione, razionalizzai e optai per l’Estremo Oriente. Così lasciai soltanto giapponese e cinese, ma dopo le prime lezioni non avevo dubbi: il mio cuore era stato catturato dall’Impero di Mezzo.”

Quale aspetto della cultura cinese ha trovato di maggiore interesse per lei?

“Senza dubbio la religione e la filosofia, in particolar modo il Taoismo.”

Valuta positivamente la sua esperienza universitaria all'Orientale? Quali aspetti giudica più significativi?

“Nel complesso la giudico positiva, anche se col senno di poi credo che avrei potuto chiedere di più sia a me come studente che ai docenti dei corsi che seguivo.
Certo, nel mio caso specifico la tappa Università ha avuto un’importanza fondamentale nella mia crescita. Credo che oggi non sarei sicuramente la stessa persona se non avessi trascorso quel periodo tra le aule dell’Orientale, la sua biblioteca al quarto piano di palazzo Corigliano e Piazza S. Domenico.
A questa fase della mia vita devo la capacità, oggi raggiunta, di guardare la realtà
e le esperienze che la vita ci offre con uno sguardo più ampio, più attento alla doppia faccia delle cose.”

Ha stabilito contatti con colleghi che fossero egualmente motivati, anche se verso altre lingue e altre culture?

“Sicuramente. Gli anni dell’Università mi hanno regalato, oltre a molte letture, tanti tra i migliori e più cari amici che ho tutt’ora.”

Secondo lei è diffusa (negli studenti dell’Orientale che studiano lingue orientali) l’esigenza della ricerca di una verità?

“Non so quanto lo sia in questi anni: ora lo studio delle lingue orientali ha motivazioni prevalentemente economiche più che politico-filosofiche (nel 1999 eravamo due gli iscritti al quarto anno di lingua cinese, mentre credo che ora gli studenti superino il centinaio). Nella mia esperienza, tra gli studenti di lingue orientali si aggiravano diversi personaggi originali, anche se parlare di ricerca della verità mi sembra un po’ troppo presuntuoso.
Molti di noi erano accomunati da una ricerca, oserei dire, parallela al percorso di studi: come se nei libri di studio si raggiungessero risposte che coinvolgessero parti più profonde del nostro io. Non c’era la sola necessità di superare gli esami. A dimostrazione di questo, molti degli studenti che ho frequentato hanno sostato all’Orientale diversi anni, uscendo spesso fuori corso ma laureandosi con il massimo dei voti, e in tanti hanno scelto percorsi di vita interessanti anche se lavorativamente mal retribuiti.”

L’Ateneo offre alcune condizioni favorevoli per condurre tale ricerca? Intendo: vi sono docenti appassionati delle proprie discipline? Strumenti di lavoro sufficienti? Occasioni d’incontro e di discussione, oltre alle lezioni?

“Non ne ricordo altri se non il cenacolo che si era creato con un docente in particolare, che ebbe la capacità di trasformare le lezioni in momenti di dibattito tra studenti e professore, spesso con seguito al bar o nel cortile, per i più infervorati nella discussione.
Ma il vero luogo d’incontro-confronto per me, in quegli anni, fu la piazza. Sempre viva, dalla mattina negli spacchi tra le lezioni, con i panini all’ora di pranzo, fino alla sera dopo le lezioni e spesso anche dopo cena. Sempre accogliente, quel luogo dava alle realtà più disparate la possibilità di incontrarsi, di parlare e di conoscere continuamente progetti di vita e di lavoro tra i più fantasiosi.”

Su quale tema ha fatto la tesi? L'argomento le fu suggerito o fu una sua scelta personale?

“Nella mia tesi mi sono occupata di analizzare le possibili convergenze di alcune tendenze della cultura contemporanea con diversi aspetti del pensiero filosofico- religioso orientale, in particolar modo con il Taoismo cinese. Più specificamente ho tentato di tratteggiare le influenze che l’Oriente ha impresso nel pensiero contemporaneo, partendo da alcuni esempi concreti: la corrente dell’Ecologia Profonda, la Fisica Quantistica, e infine quello che sommariamente si definisce pensiero New Age. L’argomento non mi è stato consigliato, ma è stato un lento e naturale sviluppo di una serie di ricerche e d’interessi che stavo sviluppando in quel periodo.
Da qualche tempo mi ero appassionata alla letture del fisico e saggista austriaco Fritjof Capra, e tramite i suoi libri venni a conoscenza del movimento della Deep Ecology. Nata nel 1972 dal pensiero del filosofo norvegese Arne Naess, l’ecologia profonda opponeva a una visione ecologica antropocentrica, legata alla concezione dell’uomo monade isolata dal contesto naturale, una visione olistica del pensiero naturale, in cui l’uomo diviene uno dei tanti elementi che insieme costituiscono la comunità biotica, il grande cerchio della natura.
Ogni componente del sistema natura va preservato per il suo valore intrinseco e non per la sopravvivenza del genere umano.
Una tale concezione della natura ha moltissimi elementi in comune con la visione taoista.
In molte tradizioni, specialmente orientali, si celano i precedenti filosofici del pensiero sistemico, dell'etica ambientale e di ogni principio fondato sui valori del non sfruttamento e del rispetto per tutte le altre creature.
Questo percorso di recupero, analisi e comparazione, è già avviato in molti Paesi di lingua inglese, in cui – accanto al dibattito politico e economico sull'ambiente e sui problemi ad esso connessi – si è venuto sviluppando un meno noto dibattito filosofico-religioso che investe il rapporto uomo-natura e si interroga sui risvolti etici della cosiddetta crisi ambientale. Di ciò, e d’altro ancora, ho desiderato interessarmi nella mia tesi.”

L’esperienza della tesi, nel suo caso, è diventata quindi una scelta di vita. Vuole spiegare in quale senso?

“Qualche mese prima di iniziare a lavorare alla tesi di laurea avevo lasciato Napoli per trasferirmi con alcuni amici nella campagna ai piedi del Matese dove iniziammo a fare un piccolo orto e prendemmo qualche animale d’allevamento.
Non avevo trovato ancora un tema per la tesi ma sapevo di voler cogliere questa occasione di studio per approfondire alcuni aspetti del pensiero taoista.
In quel periodo, poi, ero molto interessata al movimento della Deep Ecology e del pensiero Bioregionalista dove trovavo moltissimi punti di contatto con il pensiero orientale e queste letture arricchivano giorno per giorno – sempre di più – l’esperienza quotidiana che stavo vivendo.
Così spontaneamente il tema della tesi si delineò e vita pratica e percorso di studi si intrecciarono. I miei studi davano alla mia nuova vita una base concettuale e filosofica sulla quale crescere e svilupparsi. Nella tesi sono approdati gli interessi, le letture e le ricerche che animavano la mia vita intellettuale e spirituale di quel periodo e che lentamente hanno portato a un cambiamento di rotta.
Da allora la mia vita è profondamente cambiata. Oggi vivo con il mio compagno e due bambini a Pizzone, un paesino di montagna a settecento metri nel versante molisano del Parco Nazionale. Siamo arrivati qui cinque anni fa, quando dopo tanto girare e cercare abbiamo trovato una terra con alcuni ruderi da poter acquistare. Per ora viviamo provvisoriamente nel paese, ma lentamente stiamo lavorando per trasferirci.”

A distanza di anni da questa sua scelta di vita è sempre soddisfatta del suo cammino?

“Vivo la vita, ci sono giorni più felici e altri un po’ più tristi e credo che ciò accomuni tutti, ma mi diverto perché ho la sensazione d’essere io a guidare la barca della mia esistenza tracciandone la rotta, anche se può sembrare un po’ estrosa.
Poi ho la sensazione che qualsiasi scelta si porti avanti c’è sempre un rovescio della medaglia, qualcosa che uno lascia dietro di sé al bivio ma comunque si può e si deve cercare di fare al meglio ciò che si fa, perché tutti possono rendere la propria vita più carina possibile.”

Ha conservato rapporti con docenti e laureati dell'Orientale? Vuol dirci qualche nome?

“Ho conservato moltissimi rapporti con amici che si sono laureati all’Orientale. La cosa divertente è che proprio per il particolare indirizzo di studi la maggior parte di questi amici sono sparsi per il mondo. Ogni tanto riusciamo a rincontrarci per qualche giorno tutti insieme e così ognuno presenta agli altri i figli, la compagna o il compagno di vita. Anche se lontani e poco frequentati molti di loro rimangono gli amici più cari che ho.
Tra i professori, invece, l’unico contatto che ho conservato è con il docente relatore della tesi, con il quale si era stabilito un legame al di là dell’Università. Con gli altri docenti invece non ho contatto alcuno, ma questo lo attribuisco al fatto che non frequento più il mondo universitario.”

Quanto l'Orientale ha contribuito a far sì che lei sia com’è oggi, e quanto – invece – lei era già così, nel suo intimo?

“Chi può dirlo! Sicuramente l’Università è stata una tappa fondamentale per la mia crescita personale: mi ha aiutato a dar voce a qualcosa di preesistente. In questo senso, sì, è stata importante.”

Qual è il suo lavoro?

“Da più di dieci anni ormai mi occupo di artigianato in cuoio, costruisco scarpe e sandali realizzati completamente a mano. Lavoro in un piccolo laboratorio antistante la casa e vendo personalmente le scarpe nei piccoli mercatini del settore o in fiere dove sono presenti prodotti biologici e artigianato ecocompatibile.
I modelli sono realizzati su misura, e i clienti possono scegliere totalmente le caratteristiche della scarpa che andranno ad indossare.
Il laboratorio è a conduzione familiare (ci lavoriamo in due), realizziamo poche calzature in un anno, perché la tecnica manuale impone tempi di realizzazione piuttosto lunghi per ogni calzatura, ma raccogliamo molta soddisfazione. Non è raro che vengano a trovarci per ritirare le scarpe o ci chiedano di realizzare personalmente, con il nostro aiuto, alcune parti del modello che hanno deciso di farsi realizzare.
Mantenendo uno stile di vita semplice riusciamo a sostenerci bene. Io ho potuto continuare a lavorare anche con i bambini piccoli perché potevano starmi vicino o mi potevo fermare quando era necessario.
È come se non ci fosse una separazione tra vita quotidiana, famiglia e lavoro, e questo – anche se talvolta è un po’ stancante, perché ci si trova a fare spesso più cose contemporaneamente – ho la sensazione che sia sano: i nostri figli sanno bene qual è il lavoro dei genitori. Inoltre andare al lavoro è estremamente facile, basta scendere al piano di sotto!”

Se fosse possibile, andrebbe a vivere all’estero o preferisce vivere in Italia?

“Ultimamente penso che mi piacerebbe sperimentare un periodo di vita in uno stato diverso dall’Italia, in uno di quei Paesi dove si dice che tutto funzioni.
Il paese dove vivo è estremamente piccolo: conta scarsi duecento  abitanti, per la maggior parte anziani, e qui niente è a portata di mano e niente è garantito. È una situazione affascinante ma spesso anche un po’ faticosa.”

Francesco Messapi

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