La Cina di Paolo Longo, corrispondente RAI dall'Oriente

 

La Cina di Paolo Longo, corrispondente RAI dall'Oriente

Paolo Longo e gli studenti

Paolo Longo racconta agli studenti la sua attività di giornalista in un paese in cui la parola d'ordine è controllo
 

23 maggio 2012 – Paola Paderni, docente di Storia e istituzioni della Cina all'Orientale, ha introdotto il giornalista sintetizzando il suo percorso lavorativo: nato e cresciuto in Puglia, Longo ha iniziato da giovanissimo come fotografo ed è diventato radiocronista per la RAI, prima da New York e poi da Gerusalemme, negli anni della seconda Intifada, per approdare infine a Pechino nel 2004 e riprendere la corrispondenza RAI dalla Cina, interrotta dopo gli eventi di Piazza Tienanmen e fino ad allora mai più ripresa.
Rispetto alla difficoltà di svolgere il mestiere di giornalista in un contesto complesso come quello cinese – in cui il controllo esercitato dal Partito Comunista arriva a condizionare non solo la stampa nazionale ma persino quella estera – la Paderni definisce Paolo Longo come “una persona capace di tradurre tale complessità e di darla in pasto a tutti”.

Longo ha dato inizio all'intervento specificando che, anche se “la parte più difficile, quando si scrive un pezzo, è l'inizio”, Paola Paderni gli ha dato lo spunto giusto, concentrando l'attenzione sulla repressione. Infatti, secondo Longo, “non c'è un paese in cui la parola controllo abbia più peso”: a partire dall'economia degli hutong, i quartieri popolari, fino ad arrivare ai massimi livelli, l'esercizio del controllo da parte del regime è totale. A differenza del vicino Giappone, in cui la disciplina e il rispetto dell'ordine sono elementi distintivi della cultura, in Cina il contesto è ben diverso: tra la repressione del regime e la voglia della popolazione di opporsi ad esso, infatti, la situazione sembra assomigliare spesso più ad un Far West – queste le parole del giornalista – in cui “ogni tanto arriva lo Sceriffo, ovvero il Partito Comunista” per combattere tutto ciò che non si adegua ai propri dettami.

Attraverso lo sguardo del corrispondente, la Cina appare come un paese controverso nel quale, nonostante siano stati fatti grandi passi in avanti, persistono ancora pesanti arretratezze ed enormi problematiche dovute alla presenza del Partito. Un organo di governo che in trenta anni di boom economico è stato capace di mostrarsi, al tempo stesso, rigido e flessibile: rigido nel controllo e flessibile perché nei momenti di eccessiva tensione è riuscito ad evitare il peggio, sempre all'ultimo momento. E a questo proposito, Longo ha raccontato un aneddoto indicativo accaduto in occasione dell'incontro segreto organizzato in Cina da Henry Kissinger, nel 1971, tra Richard Nixon e Mao Tse Tung. In pratica, all'aeroporto di Pechino, all'epoca non esistevano scalette adatte a far scendere i passeggeri dal Boeing 707 perché erano predisposte solo per gli aerei russi e, nottetempo, per evitare di farsi trovare impreparati, i cinesi riuscirono a costruire una scala per far scendere Kissinger dall'aereo. Un modo per descrivere, da un lato, l'isolamento del paese dal resto del mondo, e, dall'altro, questa particolare abilità di salvarsi in extremis e di adattarsi anche alle situazioni più disperate.
Dopo questa premessa di carattere generale, il giornalista si è concentrato fondamentalmente su tre tematiche al centro di alcuni dei servizi da lui realizzati, mischiando al racconto di storie e aneddoti brevi spezzoni degli stessi.
Si è iniziato così da un reportage di alcuni anni fa e da quello che il giornalista ha definito come “il sogno cinese”. Uno spaccato su una giovane coppia di Shangai capace di sacrificarsi per adattarsi ad una realtà in forte cambiamento, alla ricerca di un futuro migliore. Longo ha così raccontato la storia di Zheng Tin e Shao Lisang per descrivere il sogno di milioni di giovani cinesi che desiderano lavorare in proprio per raggiungere mete nemmeno immaginate dalle vecchie generazioni.
Il secondo tema affrontato è stato quello della religiosità e delle sue mille sfaccettature, spaziando tra i culti ufficialmente riconosciuti, taoismo e buddhismo, e il proliferare di antiche tradizioni animistiche e di forme di superstizione che stentano a scomparire. Facendo riferimento ad un solo caso esemplare – quello del culto del Dragone Nero che, pur non rientrando nelle forme di religiosità contemplate, alla fine ha attirato un numero così alto di fedeli da dover essere riconosciuto dal Partito, finendo con il rappresentare un'autorità più forte di quella politica o burocratica, concretizzata nello sviluppo di un nuovo potere nel mondo contadino – Longo ha spiegato come le religioni locali stiano diventando un surrogato capace di sopperire alla mancanza di spiritualità della Cina contemporanea, nella quale tutto ciò che conta sembra essere il danaro.
Il discorso sulla religiosità, inoltre, è servito da ponte per l'ultimo tema, relativo alla terribile repressione delle proteste dei monaci buddhisti e tibetani. Nell'ultimo reportage mostrato agli studenti, ancora inedito, mentre un monaco si dà fuoco in pubblico trasformandosi in una torcia umana, un gruppo di militari ne circonda il corpo per impedire alla gente di guardare. Scene come questa, purtroppo, diventano non soltanto sempre più frequenti ma, nelle ultime settimane – come ricordato dal giornalista – ai religiosi si sono uniti anche alcuni civili, un segno fin troppo chiaro dell'insostenibile pressione a cui è sottoposta la popolazione. E, naturalmente, il controllo del Partito sulla stampa sfrutta a proprio vantaggio anche quel poco che passa di simili informazioni, per sottolineare quanto simili pratiche siano lontane dalla moralità e dal senso comune e, per questo, in contrasto con la professata spiritualità e con la politica di non violenza di cui si dicono sostenitori i religiosi.
Giunti a metà intervento, il giornalista ha dato inizio ad un vivace dibattito per dedicare il tempo restante al confronto con gli studenti. Le domande sono state numerose e hanno toccato i temi più svariati.
La corruzione? Secondo Longo è il “pane quotidiano” della vita in Cina, come si è visto nel caso di Bo Xilai venuto a galla negli ultimi anni e dei 160 milioni di dollari accumulati in maniera illecita.
La repressione? Basta citare la storia di Chen Guangcheng, il contadino cieco che, con le sue sole forze, è diventato avvocato per denunciare gli aborti forzati fino all'ottavo mese di gravidanza, usati per controllare le nascite nella Provincia dello Shadong. Ai giornalisti è sempre stato impedito di avere contatti con il dissidente: arrestato e poi confinato nella propria abitazione di campagna, è stato per anni “circondato da poliziotti o delinquenti, dipende da come la si vuol vedere” afferma Longo. Il mese scorso, Guangcheng è finalmente riuscito a fuggire negli USA, mentre il suo nemico principale, Li Chun, responsabile del Partito nella piccola contea in cui ha avuto inizio la sua battaglia, ha raggiunto intanto un posto di rilievo in una delle più importanti città della Cina.
La pressione sui giornalisti? Longo svela che tra colleghi si parla di “Ministero della Verità” per alludere all'insieme di direttive giornaliere che il Partito diffonde e impone per controllare cosa può e cosa non può essere trattato dalla stampa, come è accaduto nel caso del deragliamento del treno nel Zhejiang – in cui ha perso la vita anche una studentessa dell'Ateneo partenopeo – quando fu tassativamente ordinato di non raccogliere vox populi.
La censura in Rete? Una “grande muraglia” trasferita dal reale al virtuale grazie ad un blocco lessicale in base al quale parole o intere stringhe vengono bloccate, come accade quando si digita Tibet libero. E a chi ha chiesto della tendenza a nascondere la notizia, Paolo Longo ha ricordato quale sia l'attuale atteggiamento verso la stampa da parte dei regimi citando le parole del Presidente della Repubblica popolare cinese Hu Jintao: “Noi non dobbiamo nascondere le notizie, le dobbiamo governare, le dobbiamo pilotare”.
Infine, trattandosi dell'Orientale, non poteva mancare una domanda a Longo relativa alle difficoltà linguistiche incontrate nel corso della sua vita in Cina. E a questo punto, anche per addolcire l'atmosfera, il giornalista ha lasciato i presenti con un ultimo aneddoto divertente. Raccontando di come si sia sentito sollevato quando, in viaggio nelle province più remote assieme ad altri giornalisti, cinesi e non, si è accorto che anche i cinesi a volte cercano il conforto della scrittura, mimando con le mani l'ideogramma al quale vogliono fare riferimento per evitare fraintendimenti, il giornalista ha conluso: “una grande soddisfazione... sapere che non solo noi stranieri abbiamo problemi con il sistema tonale, ma che accade anche agli stessi cinesi!”.

Azzurra Mancini

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