La città giapponese ieri e oggi

 

La città giapponese ieri e oggi

Silvana De Maio

L'evoluzione della città giapponese descritta dalla professoressa Silvana De Maio nella conferenza “La città giapponese dall'epoca Meiji ai nostri giorni, tra continuità e nuovi inizi”

Nella storia del Giappone si possono evidenziare due particolari momenti che hanno portato alla nascita di numerose nuove città.
Il primo risale ai decenni a cavallo tra il 1500 e il 1600, quando il paese si riunì grazie all'azione di Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu; con alle spalle la presenza dell'autorità centrale dei Tokugawa, i poteri locali assunsero sempre maggiore importanza diventando, con i loro castelli, il fulcro dello sviluppo dei nuovi centri urbani. Nella conformazione delle città evidenti erano le divisioni di classe: prendendo ad esempio Edo – che prese il nome moderno di Tōkyō in epoca Meiji (1868-1912) – al netto del castello e dei luoghi pubblici, il 68% della superficie cittadina era destinata alle abitazioni dei samurai, il 15% era per i chōnin (artigiani e mercanti) ed il restante 15% era destinato ai templi.
In epoca proto-moderna, nonostante non fosse la capitale, la città giapponese più grande era Edo. Già alla fine del XVI secolo, la zona della foce del fiume Sumida fu ampliata grazie a numerosi progetti. Il centro della città era rappresentato dal castello dello shōgun, mentre la zona est era delimitata da vari canali; nel XVII secolo alcuni di questi furono interrati ed uniti da ponti per allargare gli isolati. Con l'arrivo degli stranieri, la città iniziò a subire dei cambiamenti. Nel distretto di Tsukiji si costruirono le prime abitazioni per gli occidentali in stile misto; inoltre nel 1872 scoppiò un terribile incendio nel quartiere di Ginza che distrusse circa 3000 case. Il governo decise di ricostruire le abitazioni con materiale ignifugo ed affidò il progetto ad un architetto inglese, Thomas James Waters, che basandosi sul modello della londinese Regent Street costruì case a schiera in laterizio, marciapiedi, corsie per le carrozze, illuminazione a gas. Tutte le forze del governo furono proiettate su Tōkyō per farne il nuovo polo economico, politico e simbolico del paese e, per ottenere al più presto questo risultato, non permise la stessa modernizzazione alle altre città fino all'era Taishō (1912-1926).
Il secondo momento importante per lo sviluppo urbano è stato quello della fine della seconda guerra mondiale. Nel 1945 in Giappone c'erano 36 città con più di 100.000 abitanti e quasi subito iniziò la ricostruzione dei 115 centri che subirono i maggiori danni durante il conflitto. In dicembre vennero stabiliti i parametri per la riedificazione: le strade dovevano essere più ampie delle precedenti, almeno 50 metri nei grandi centri e 36 metri per le città medie e piccole; grande importanza fu data alle aree verdi, che dovevano ricoprire più del 10% del territorio urbano, ed intorno alla città fu lasciato spazio per aree boschive ed agricole. Per facilitare le comunicazioni tra le varie zone, pensando anche alla futura espansione industriale, fu potenziato il sistema ferroviario.
Come successe alla fine del XIX secolo, anche in questo caso il Giappone prese a modello la cultura occidentale. Ma se anni prima l'influenza straniera era limitata a pochi centri e soprattutto ad un'élite di cittadini che poteva permettersi viaggi o conoscenze importanti, nel dopoguerra, anche grazie alla televisione, lo stile occidentale raggiunse la gente comune che lo assunse a modello di vita.
Nel 1959 furono assegnate al Giappone le prime olimpiadi asiatiche: questo spinse il governo a rimodernare e costruire nuove infrastrutture in appena cinque anni – completarono 112 km di strade – per presentarsi al resto del mondo come un paese moderno e competitivo.

Francesca Ferrara

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