La musica non si censura: Salvatore “Sabba” Lampitelli e i suoi pensieri liberi

 

La musica non si censura: Salvatore “Sabba” Lampitelli e i suoi pensieri liberi

Salvatore “Sabba” Lampitelli

Il ventiquattrenne studente dell'Orientale, leader del gruppo Sabba e Gli Incensurabili, racconta la sua esperienza di cantante blues, cantautore, chitarrista ritmico e organizzatore di eventi musicali

Salvatore “Sabba” Lampitelli...perché questo nome d'arte?

“In realtà, al di là di quanto si potrebbe pensare, il nome «Sabba» non si riferisce ad un incontro tra streghe o pratiche magiche del genere, ma è semplicemente legato ad un simpatico aneddoto che risale ai tempi del liceo: il mio nome di battesimo che qualcuno scorrettamente pronunciò «Sabbatore» diventò «Sabba» per tutti i miei amici. Quando, poi, iniziai a lavorare con Franco Del Prete al disco L'ultimo Apache, uscito nel 2009, la prima cosa che mi chiese fu se avessi o meno un nome d'arte e, quando gli dissi qual era il soprannome che tutti ormai utilizzavano, gli piacque molto. Così cominciai ad usarlo come nome d'arte, essendo già abituato a sentirmi chiamare così.”

Quando è nata la sua passione per la musica e quando invece l'esigenza di concretizzarla in termini progettuali e lavorativi?

“In effetti c'è sempre stata in me questa passione, quasi qualcosa di «genetico», dato che anche mio padre, da giovane, cantava e mi trasmetteva costantemente quest'istinto musicale, anche se non ha potuto vivere di sola musica, dovendosi rimboccare le maniche molto presto per la perdita prematura di suo padre. Ricordo che da piccolo, quando i miei mi portavano con sé alle gare di ballo cui partecipavano, iniziai anch'io a danzare, ma rivedendo i filmati di quel periodo mi accorgo che, mentre ballavo, in realtà erano le labbra a muoversi canticchiando la melodia che mi accompagnava: era il canto la mia vera strada. L'ho seguita, percorsa, in maniera istintiva, senza alcun condizionamento esterno, perché per me era la cosa più naturale, non c'era altro che mi interessasse a quel modo. Proprio in quanto pura passione, non mi hanno mai realmente spinto motivi di lavoro o guadagni eventuali: ho cominciato ad organizzare jam session nei locali del mio paese, eventi a cui musicisti di ogni genere prendono parte per esibirsi in gruppi improvvisati con pezzi altrettanto casuali, proprio per vedere il fermento dei giovani intorno alla musica ed avvicinarli ad un interesse produttivo verso di essa. Si è sviluppato tutto da sé, in maniera automatica e veloce, i proprietari dei locali della provincia napoletana hanno iniziato a rivolgersi a me per l'organizzazione di eventi musicali, ospitanti sia il mio gruppo stesso sia altri, e la cosa mi ha intrigato da subito: era bello riuscire a trascorrere serate all'insegna della musica, momenti di associazione e condivisione in nome di un ideale comune, trasformando le serate tipo, sterili e prive di ogni tipo di interesse artistico-culturale, dei giovani dell'interland napoletano. Due cose mi premono molto: far sì che il territorio in cui vivo e faccio musica sia in grado di proporre progetti musicali interessanti, e trascorrere io stesso una serata piacevole nella mia zona, piuttosto che allontanarmi alla ricerca di eventi stimolanti, spesso a pagamento.”

A proposito del territorio in cui nasce, cresce e lavora, si tratta comunque di un'area della provincia di Napoli. Ha incontrato difficoltà nel diffondervi gli stimoli musicali che intendeva propagare?

“Il problema fondamentale è che qui, come del resto ovunque, quasi nessuno è realmente interessato alla qualità artista o alla creatività del musicista, quanto piuttosto al seguito, naturalmente per scopi economici, che egli comporta. Se ho continuato a pubblicizzare eventi musicali è solo perché credo fermamente che un progetto abbia come scopo primario quello di essere ascoltato, di coinvolgere un pubblico, di trovare delle risposte. Questa determinazione è stata, insieme alla forza della disperazione, l'ingrediente principale per riuscire ad avere un pubblico che seguisse gli eventi, senza il quale nulla avrebbe avuto senso. Credendoci davvero, si riesce a fare qualcosina, che poi diventa qualcosa e infine qualcosa di più grande ancora; il segreto è pensare di poter fare, ma rimanere con i piedi per terra.”

Sebbene la creatività sia un elemento imprenscindibile nella sua carriera, ci sarà qualche grande artista che l'ha ispirata. Può dirci dove affonda le radici la sua musica?

“Decisamente il blues. Ogni mio progetto ha preso le mosse da lì, anche nel momento in cui ho cominciato a comporre inediti è il blues la fonte principale a cui ho attinto. Solo per citare qualche nome, potrei parlare di Prince, James Brown, Ray Charles, Tom Waits, B.B. King, ma la lista sarebbe ben più lunga; l'ultimo progetto, invece, risente molto dell'influenza del cantautorato italiano, in particolare Giorgio Gaber, del cui ultimo spettacolo teatrale mi sono letteralmente innamorato.”

Può descriverci le tappe principali della sua carriera musicale?

“Avevo 18 anni quando iniziai a cantare in un gruppo blues, la B.B. Band, con musicisti dei quali alcuni hanno deciso di intraprendere strade diverse, altri, invece, hanno messo su nuovi progetti, come Massimo De Vita, attualmente leader della Dioniso Folk Band. Portando il blues in giro, prendemmo parte per due anni consecutivi al Premio Fabrizio Romano, un concorso che si tiene annualmente a Napoli, vincendolo la seconda volta ed ottenendo delle borse di studio per corsi d'insieme tenuti da Mario Insenga, leader dei Blue Stuff. È da queste lezioni che ho imparato come suonare in gruppo piuttosto che da soli, a riconoscere l'importanza di eventi associativi quali le jam session e della cultura dell'ascoltarsi e del suonare insieme. Nel 2005, poi, mentre con alcuni dei colleghi della B.B. Band partecipavo ad una jam, fui notato da Franco Del Prete, batterista ed autore di due gruppi di grande fama negli anni Settanta, gli Showmen (celeberrimi per il brano Un'ora sola ti vorrei) e i Napoli Centrale. Quell'incontro segnò l'inizio della mia collaborazione al suo progetto musicale, Sud Express, nato già due anni prima del mio arrivo, che ha trovato la sua realizzazione nel 2009, con l'uscita del disco L'ultimo Apache, prodotto da SuonidelSud e Raitrade, cui hanno collaborato personaggi di grande rilievo nel mondo musicale, tra i quali Raiz, Joe Amoruso, Sasà Mendoza, Daniele Sepe, Ernesto Vitolo. Da qui ha preso le mosse la mia partecipazione in qualità di cantante al tributo a Mario Musella, cantante degli Showmen scomparso nel '79, tenutosi nel dicembre del 2009, che ha ospitato numerosi artisti importanti, tra cui Raiz, Daniele Sepe, Mario Insenga, Daniele Sanzone degli A67, Sal Da Vinci, Enzo Gragnaniello, Monica Sarnelli. In questa occasione ho conosciuto produttori importanti, tra cui colui che aveva lanciato i Napoli Centrale, Willy David, e due musicisti degli Osanna, Nello D'Anna e Fabrizio Fedele, con cui ho messo su un tributo a John Mayer. La scorsa estate, poi, è stata per me un grande momento di svolta: sono stato chiamato da Guido Lembo per cantare blues, rock&roll e rythm&blues nella band dell'Anema e Core, rinomato locale di Capri che ospita ogni anno vip da tutto il mondo. Ho partecipato, inoltre, al musical The Show di Mimmo Esposito, regista di Alessandro Siani e Biagio Izzo, che sta partendo in questi mesi al Teatro Posillipo, anche se ho dovuto lasciare per prendere parte all'impresa caprese. Lavorando al musical ho conosciuto Giuliana «Julce» Rescigno, speaker di Radio Club 91, che ha ospitato e ospiterà i prossimi tre lunedì me e i musicisti che mi sostengono, tra cui il chitarrista Gianluigi Capasso e quelli con cui ho messo su il tributo a Stevie Wonder: la stessa Julce, MisSara, cantante di Ciccio Merolla, Mino Berlano, bassista dei Gennaro Porcelli and The Highway 61, Alessandro Crescenzo, tastierista degli Sha'dong e il batterista Ciro Ciotola.”

Prima ha accennato ai suoi brani inediti. Cosa cerca di esprimere attraverso i suoi pezzi?

“I miei brani sono nati dall'esigenza di creare qualcosa che fosse prettamente mio, che mi permettesse di esprimere a modo mio quello che mi andava senza condizionamenti da parte di produttori o direttori artistici. Ho cercato di portar fuori il senso stesso delle mie scelte, cosa significhi seguire una strada rinunciando ad una stabilità economica, quali siano le contraddizioni della società in cui viviamo: canzoni di protesta volutamente semplici, perché stimolino la riflessione sui messaggi che mi preme comunicare. Così sono nati Che casino là fuori, un featuring con Uomodisu, ed altri brani che hanno preso forma all'interno di un gruppo, Sabba e gli Incensurabili, con Alessandro Grossi (flauto traverso, ciaramella, armonica e sax tenore), Alessandro Mormile (chitarrista leader), Luca Costanzo (basso), Giovanni Natale (batteria) e me alla voce, kazoo e chitarra ritmica. L'idea di chiamarlo così corrisponde ad una precisa scelta di non mascherare, come spesso capita, progetti singoli dietro il nome di un gruppo: il nostro è chiaramente proposto da me, ma «vestito» dai ragazzi, che arrangiano e danno vita ai brani. Il nome «Incensurabili» connota la volontà di esprimersi senza paure o mezzi termini, in modo estremamente diretto. A condire il tutto, una buona dose di ironia, e specie in questo il lavoro risente dell'influenza di artisti del calibro di Giorgio Gaber, Renato Carosone, Renzo Arbore e bravi cantautori come loro. Humour, ma soprattutto rock, canzoni orecchiabili e assimilabili, per trasmettere con efficacia il desiderio di smettere di cantare secondo i dettami e le modulazioni vocali degli «esperti», esprimendosi per quello che si è. È quanto più mi soddisfa al momento.”


È evidente che la sua vita e il suo futuro siano la sua voce e la sua chitarra. Ciononostante, lei è quasi giunto alla fine del suo percorso di studi triennali in Lingue e letterature straniere all'Orientale. Perché proprio L'Orientale, perché quest'ambito e come riesce a far collimare la sua attività professionale con gli studi?

“Sebbene i miei interessi primari abbiano sempre riguardato la musica, ho comunque deciso di non trascurare la mia formazione culturale, incoraggiato dal fatto che il nostro Ateneo offrisse percorsi di studio decisamente stimolanti e «artistici» in qualche modo: sicuramente l'Università perfetta per l'ambito che desideravo approfondire. Oltre all'inglese e allo spagnolo, le lingue che ho scelto e la cui conoscenza mi è stata utile in ogni senso, è stato molto piacevole studiare anche tematiche che andassero al di là delle lingue in sé, come l'arte e il cinema, a differenza di quanto molti, erroneamente, credono a proposito delle prerogative dell'Orientale.”

A chi sente di esprimere la sua gratitudine per i risultati raggiunti finora nonostante la sua giovane età?

“Spesso si sente dire che «se si vuole, ce la si fa da soli». Certamente questo discorso vale anche per me, nonostante le critiche e i commenti spiacevoli spesso ricevuti, ma «non trovi la tua strada se nessuno ti dà aiuto», come recita il testo di una delle mie canzoni, C'è bisogno di Maria. Io di aiuto ne ho ricevuto tanto: mi hanno dato una mano, chi più chi meno, amici con cui ho suonato, persone che mi hanno fornito contatti, gente che mi ha chiamato perché mi esibissi, senza aver ricevuto nulla da me né chiedendo qualcosa in cambio. Per questo, più che agli «addetti ai lavori» sento di essere grato alle persone che ho incontrato sul mio percorso, anche chi di musica non s'intende affatto ma semplicemente mi ha dato una mano nei momenti di sconforto e di confusione totale, tipici di chi sceglie la strada della musica. La tenacia e la forza di volontà contano, ma restano embrionali senza avere intorno chi ti aiuti a farle sbocciare.”

Luisa Lupoli

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Sabba e Gli Incensurabili feat. Uomodisu - Che casino la fuori

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