La psicomeccanica del linguaggio. Anatomia di una disciplina
La psicomeccanica del linguaggio. Anatomia di una disciplina
Fondata sugli studi del linguista Gustave Guillaume, la psicomeccanica del linguaggio rappresenta un approccio innovativo alla linguistica. In occasione del XIII Congresso Internazionale dell’Associazione di Psicomeccanica del Linguaggio (AIPL), il Web Magazine dell’Orientale ha intervistato la linguista italianista Sophie Saffi, professoressa all’Università di Aix–Marseille
Professoressa Sophie Saffi, potrebbe dare una definizione di psicomeccanica del linguaggio?
Io definirei la psicomeccanica del linguaggio come una teoria linguistica che prova a approcciare l’atto di linguaggio nel suo complesso come un oggetto manipolato dal pensiero. È una teoria, quindi, che concepisce l’atto di linguaggio come un “cinetismo”, un movimento di pensiero – da cui la prima parte del termine psicomeccanica – ma anche come un sistema di sistemi, coerente e quindi meccanico. Tra le altre cose Gustave Guillaume è un erede di Saussure. Tuttavia, spesso si definisce la psicomeccanica come una linguistica di posizione invece che di opposizione, come la presentava il linguista ginevrino. Questa differenza è ascrivibile al fatto che questo “cinetismo” può essere intercettato e queste intercettazioni permettono una descrizione di tutte le tappe dell’atto di linguaggio, dalla concezione delle nozioni fino alla descrizione dell’atto stesso.
Attraverso quali strumenti lavora la psicomeccanica del linguaggio?
Il primo principio su cui poggia la teoria psicomeccanica è la dicotomia tra lingua e discorso cioè il fatto che il movimento di pensiero dell’atto di linguaggio sia delimitato da due intercettazioni: un’intercettazione radicale e un’intercettazione frastica che delimitano uno spazio di costruzione dell’atto di linguaggio. C’è nelle nostre lingue una terza intercettazione intermedia chiamata intercettazione lessicale, che può intercettare il movimento di pensiero in posizioni diverse a seconda dei sistemi di lingua che si prova ad descrivere. La posizione di questa intercettazione lessicale delimita due spazi di costruzione: una costruzione in lingua e una costruzione in discorso. È una rappresentazione spaziale, schematica, che rappresenta una concezione cinetica. Un secondo principio, molto importante, è quello del tempo operativo. Il tempo operativo è un tempo soggiacente ad ogni operazione di pensiero e fonda la tecnica di analisi detta linguistica di posizione, utilizzata in psicomeccanica del linguaggio. Devo dire che la teoria della psicomeccanica del linguaggio, e soprattutto Gustave Guillaume, ha molto insistito sul fatto che l’approccio diacronico e quello sincronico hanno ambedue la loro importanza. Il compito del linguista per Gustave Guillaume è di studiare la lingua in quanto sistema di sistemi e, di conseguenza, di volgere successivamente lo sguardo sui diversi sistemi che contiene e di cui si compone. L’osservazione che facciamo in superficie dei fatti di discorso deve aiutare il linguista a proporre ipotesi sui fatti della lingua soggiacenti.
Nonostante sia di derivazione saussuriana, come lei ha affermato, la psicomeccanica del linguaggio si differenzia molto dalla linguistica “tradizionale”. Quali sono le differenze principali fra queste due teorie linguistiche?
La differenza principale direi che è il cinetismo. Gustave Guillaume propone nelle sue opere molti schemi che rappresentano la sua concezione spaziale della teoria linguistica. Ho visto tuttavia, insegnando questa disciplina da parecchi anni agli studenti in Francia, che proprio afferrare bene il fatto che nella psicomeccanica del linguaggio ne va sempre di un movimento in corso è l’aspetto più difficile da comprendere. Ricordo spesso un esempio tratto da una lezione di Guillaume: egli dice che non ci sono una categoria del sostantivo e una categoria del verbo ma che c’è una sostantivazione in corso. Questo significa che un verbo, per esempio all’infinito, può essere sostantivato. Consiste in questo, secondo me, l’aspetto più fecondo della psicomeccanica del linguaggio, nel pensare che non ci sono delle categorie o dei paradigmi che si oppongono gli uni agli altri ma che tutto è sempre in movimento. Inoltre le scoperte che sono fatte oggi nelle neuroscienze e nelle scienze cognitive mostrano la forza e l’attualità di questa teoria. Ancora oggi vedo l’attualità delle proposte teoriche di Gustave Guillaume, che rispondono a delle osservazione di punta che vengono fatte nella scienza come ad esempio le ricerche sulla modellazione della intelligenza artificiale.
Ci sembra di capire che la psicomeccanica del linguaggio, pur essendo una disciplina teorica abbia delle forti implicazioni pratiche. Lei ha già parlato dell’intelligenza artificiale ma quali sono le altre applicazioni che la psicomeccanica del linguaggio ha o potrebbe avere?
Già la descrizione dei sistemi di lingua è un’altra delle implicazioni pratiche. Noi studiamo quotidianamente le lingue e facciamo la psicosistematica di un sistema di una lingua. Questo contribuisce, ad esempio, a migliorare la descrizione pedagogica dei sistemi delle lingue straniere ma anche della lingua madre. Faccio un esempio. In Francia, in certi quartieri detti “sensibili”, dove la povertà è materiale e soprattutto culturale, ci sono bambini che non sono abituati alla lettura. Questi bambini, quando sono al livello della scuola elementare, hanno tanti problemi nella scrittura del francese. Ora, come è noto, l’ortografia grammaticale del francese segna molte cose che non vengono pronunciate nel francese neo-standard orale. La psicomeccanica del linguaggio, con la sua spiegazione della mobilità dell’intercettazione lessicale, la quale spiega la differenza di costruzione delle parole tra due lingue sorelle come ad esempio il francese e l’italiano, è uno strumento molto utile per la formazione degli insegnanti. E in Francia insegnare il francese scritto a bambini provenienti da certe classi sociali è come insegnare una lingua straniera o almeno un’altra lingua. Un altro esempio di applicazione che posso citare è lo sviluppo dell’intercomprensione. Ho potuto osservare come la conoscenza, la presa di coscienza, del funzionamento linguistico, aiuti a migliorare l’insegnamento e l’inquadramento dell’intercomprensione fra parecchie lingue. In questo congresso poi interverranno specialisti di ortofonia, a dimostrazione che la psicomeccanica del linguaggio è utile in tanti altri campi di studio… Infine, ho citato prima una ricerca di punta sull’intelligenza artificiale, in particolare la messa a punto di robot capaci di autoapprendimento. Non siamo di fronte a un’applicazione diretta, a una scienza applicata. Ma, in modo indiretto, ogni volta in diversi campi, il linguista guillaumiano può portare certe chiavi di comprensione o osservazioni che oltrepassano i confini tra specialità differenti.
La psicomeccanica del linguaggio, fra le altre cose, studia la morfogenesi delle lingue, ovvero la formazione nei sistemi delle lingue delle forme linguistiche. Lei ha studiato approfonditamente le differenze fra i sistemi linguistici italiano e francese. Può dirci in cosa consistono tali differenze?
Il sistema francese costruisce poco la parola e utilizza molte parole invariabili. Presenta un vasto uso della sintassi e costruisce soprattutto il discorso. Il francese contemporaneo ha, in qualche modo, perso la morfologia di parola. E questo si spiega perché il francese, nel movimento di evoluzione storica dal latino alle lingue romanze, che posso definire come movimento di anteposizione della morfologia, in quanto questa viene preposta al semantema grazie a particelle tipo determinante, pronome, preposizioni; in questo movimento dicevo, il francese ha avuto una evoluzione molto avanzata. L’italiano invece presenta un sistema molto più equilibrato e continua ad avere una morfologia basata principalmente sulla parola. La parola, cioè, per dirlo in modo semplice, viene costruita in modo che ogni sostantivo abbia un’ultima sillaba morfologica. Anche se, allo stesso tempo, il sistema italiano ha sviluppato l’uso di determinanti e preposizioni e quindi ha una morfologia anteposta. Ma la lingua italiana ha conservato una parte della morfologia alla fine delle parole. Quindi, mentre il sistema italiano usa due vettori dell’informazione, la morfologia e la sintassi, il francese ha sviluppato soprattutto la sintassi. Da qui deriva un elenco lunghissimo di differenze tra le due lingue che però si possono ricondurre a una costruzione diversa della parola.
Come è nato il suo interesse per la psicomeccanica del linguaggio?
Il mio interesse è nato grazie all’incontro con un docente che ha saputo interessarmi a questa materia, e mi ha trasmesso la sua passione per la ricerca in linguistica. Parlo del mio direttore di tesi, il professore Alvaro Rocchetti che partecipa a questo convegno. Alvaro Rocchetti insegna all’università Parigi III-Sorbonne Nouvelle, dove è professore emerito, e mi ha seguito durante tutto il mio percorso di studiosa, dalla laurea al dottorato. Poi, ad appassionarmi alla psicomeccanica del linguaggio, ha contribuito la mia passione per le materie scientifiche. Oltre alla matematica a me interessava anche lo studio delle lingue. E questa specialità mi permette appunto di conciliare questi due interessi. Mi sono sempre piaciuti gli studi di biologia, e studiare una lingua è po’ come studiare un essere umano: lo studioso ha di fronte a sé una struttura che funziona e cerca di capire come lo fa, e l’aspetto meccanico attraverso cui lo fa. E se questa struttura non funziona cerca di capirne il perché. Ad esempio possiamo aiutare medici, psicologi etc. nella comprensione dei problemi di afasia.
Cosa consiglierebbe a uno studente, o a un ricercatore, che volesse avvicinarsi alla psicomeccanica del linguaggio?
Consiglierei in primo luogo di andare sul sito dell’AIPL (Associazione Internazionale di Psicomeccanica del Linguaggio) [http://www.psychomecanique.com/] perché lì c’è una bella biblioteca, con accesso a diversi testi sull’argomento. Per gli studenti italiani esistono due opere di Gustave Guillaume tradotte. Una è stata tradotta da Roberto Silvi (Principi di linguistica teorica), un’altra da Alberto Manco. L’opera curata da Alberto Manco, Tempo e Verbo, non è la lettura più facile per cominciare. Ma uno studente che ha studiato lingue classiche può tranquillamente approcciarsi a quest’opera. Infine si possono leggere le lezioni di Gustave Guillaume, anche se queste non sono state tradotte finora in italiano. Da ultimo, a chi volesse avvicinarsi alla psicomeccanica del linguaggio, consiglio di entrare in contatto con l’università di Aix-Marseille, dove c’è un laboratorio di ricerca che si chiama CAER, Centre Aixois d’Études Romanes. In questo laboratorio io dirigo un gruppo che studia la linguistica comparata delle lingue romanze. A questo congresso partecipano alcuni colleghi, specialisti di spagnolo, italiano, rumeno, francese e portoghese.
Oltre al centro francese, rappresentato dal CAER di cui ha parlato, quali sono a livello internazionale gli altri centri in cui viene studiata la psicomeccanica del linguaggio?
In Canada, nel Québec, c’è l’Università Laval che storicamente ha una scuola guillaumiana; in Spagna esistono parecchie grammatiche descrittive dello spagnolo che poggiano sui principi guillaumiani; ancora in Francia c’è la Sorbonne Nouvelle con la figura di Alvaro Rocchetti, di cui ho parlato e, infine, l’università di Aix-Marseille che può contare su uno dei dipartimenti di italianistica più importanti di Francia.
Qual è la situazione della psicomeccanica del linguaggio in Italia? Quali sono i suoi promotori?
In Italia la psicomeccanica del linguaggio comincia appena a diffondersi; il promotore più importante è Alberto Manco, dell’Orientale. Molto rimane ancora da fare. Quindi se ci sono dottorandi o giovani ricercatori interessati a intraprendere questo percorso di studi, sappiano che c’è tanto lavoro da svolgere.
Di cosa si sta occupando adesso nelle sue ricerche?
In questo momento il mio gruppo di ricerca sta terminando una sessione di ricerca biennale sulla tematica “lingue e frontiere”. Si è trattato di un approccio misto di studi di civilizzazione, di letteratura e di linguistica. Dal gennaio 2013 cominceremo una ricerca su due nuove assi tematiche. Un primo asse verte sullo studio dell’aspettualità semantica nei verbi e un secondo è consacrato alla rappresentazione dello spazio tramite lo studio delle lingue regionali, cioè le lingue intermedie tra i sostrati dialettali e la lingua normativa standard. E questo in diversi paesi romanzi: Italia, Spagna, Romania e Portogallo.
Pensa che da questo convegno possa portare a iniziare nuove collaborazioni?
Più che iniziare le collaborazioni possono continuare. Già da parecchi anni abbiamo un partenariato fra l’università di Aix-Marseille e L’Orientale. In particolare il nostro gruppo ha stabilito un dialogo scientifico molto stretto con il professore Alberto Manco con il quale gestiamo anche una co-tutela di dottorato. Inoltre, questo congresso napoletano è il primo mai organizzato in Italia. Per cui possiamo dire che questi colloqui rappresentino l’inizio della promozione della psicomeccanica in Italia. Sia io sia il professore Manco vogliamo scommettere sui giovani, per cui penso che tramite la mobilità Erasmus o un altro tipo di scambi, o anche tramite partenariati scientifici o pedagogici potremmo sviluppare lo studio della psicomeccanica del linguaggio, non solo livello di scuole dottorali, ma anche, ad esempio anticipando lo studio di questa disciplina ai cicli triennali o magistrali o facendo venire studenti italiani in Francia.
Salvatore Chiarenza - Direttore: Alberto Manco