La Socìetas Raffaello Sanzio riattualizza Flatlandia
La Socìetas Raffaello Sanzio riattualizza Flatlandia
A Flatlandia sembrano tutti uguali. Ma allora, come si farà a distinguere l'uno dall'altro?
Galleria Toledo, Teatro stabile d'innovazione. Chiara Guidi – una dei quattro fondatori della compagnia Socìetas Raffaello Sanzio – porta in scena Flatlandia, tratto dal racconto di Edwin Abbott Abbott. Pochi minuti dopo le 21 la sala si riempie. In scena soltanto una scrivania di legno, il fondale nero, e pochi oggetti accanto alla scrivania non ancora tutti chiaramente visibili dal basso. Una sfera bianca, una lampadina sospesa, spenta. La trasposizione scenica di Flatlandia è affidata in maniera preponderante all'elemento sonoro. Chiara Guidi dà voce alle geometrie e all'affascinante spazio matematico di Abbott: il Quadrato, la Sfera, le figure e i mondi creati sulla pagina dallo scrittore – fantastici ma al tempo stesso così manifestamente reali – diventano sonorità. Uno spazio geometrico la cui realtà fisica, tuttavia, viene percepita in maniera più tattile che visiva: infatti è l'udito a guidare lo spettatore e la vibrazione e i suoni che attraversano il teatro lasciano percepire lo spazio circostante, diventando misura di ciò che c'è intorno. In un continuo gioco di sinestesie che si incrociano e i cui sensi si confondono, il testo si anima con una gamma di ritmiche e sonorità che va dalle più semplici e naturali a quelle sintetiche. La voce accompagna la parola nel suo cammino – spezzandolo, dilatandolo, aprendo e chiudendo i suoi spazi e alterandone i tempi – e nel frattempo si trasforma costantemente, coprendo tutto lo spettro che va dal silenzio al grido, anche con l'apporto della tecnica. Sonorità gutturali, articolazioni delle labbra e schiocchi di lingua, mormorii, echi, limpide scansioni e, ancora, urla e voci che si sdoppiano su più livelli rendendo concretamente percepibile le molteplici dimensioni evocate. In questo complesso gioco sonoro di variazioni – di cui i microfoni riportano perfettamente ogni sfumatura – il mondo di Abbott prende corpo in tutti i sensi. Proprio come quando – non appena nel teatro risuona la parola 'spazio' e tutto si fa buio – l'udito diventa ancor più prepotentemente l'unica guida, uno sguardo che non nasce dagli occhi ma consente lo stesso di orientarsi e percepire. Mentre la Sfera risponde alle domande del Quadrato sul suo mondo – consentendogli di comprendere ciò che prima non concepiva nemmeno lontanamente, e cambiando così il suo modo di vedere (o sentire?) le cose – a scandire le sue parole c'è un movimento ripetuto della Guidi: un cassetto viene aperto e richiuso, aperto e richiuso. Mentre le parole si dispiegano, un tappeto di suoni le circonda e le avvolge. L'udito intanto si è affinato, per cogliere meglio tale complessità, e all'improvviso dall'insieme di stimoli sonori spicca quello scorrere ritmico del cassetto. Un rumore diventa suono, e immediatamente si trasforma in senso, in sensi. La profondità del mondo tridimensionale della Sfera si rivela così nell'immaginazione dello spettatore a partire da una forma sonora che si fa pensiero: ascoltare il movimento del cassetto permette di cogliere una prospettiva, a noi abitanti dello spazio a volte troppo quadrati proprio come lo era l'avvocato del racconto Edwin Abbott prima di concepire l'alterità.
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Azzurra Mancini