L'Orientale per il Giappone. Una meditazione civile

 

L'Orientale per il Giappone. Una meditazione civile

Il Web Magazine d'ateneo documenta la serata per il Giappone organizzata al Mercadante di Napoli nell'ambito del Progetto OASI. Il Rettore Viganoni: "Grandissima soddisfazione. Andava fatto"

11 marzo 2011, ore 14.45. Un terremoto violentissimo colpisce il Giappone. Dopo le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, è l’evento che più di ogni altro sconvolge non solo la morfologia di un paese ma anche la percezione della realtà da parte dei suoi abitanti. L’Occidente non può fare altro che analizzare questa tragedia con le proprie categorie concettuali, inserendola in un discorso che mira sempre a una vorace onnicomprensività. Nel giro di poche ore i giornali di tutto il mondo riempiono le proprie testate di servizi, interviste e dibattiti.

Circa due mesi dopo, il 5 maggio, l’Università L’Orientale organizza, al Teatro Mercadante, una serata dedicata al Giappone per ricordare la catastrofe. Ma lo fa scegliendo un sentiero diverso: quello della parola sussurrata e della luce soffusa. Quasi all’ombra, perché, come scrive Tanizaki, in essa, forse, è condensata la cosa che gli Occidentali chiamano “il mistero d’Oriente”. È l’ombra di un palco che si colora sullo sfondo azzurro scuro, ricordando le cromature di Hokusai, e che accoglie un susseguirsi di voci, guidate, quasi come se fossero momenti diversi di una grande sinfonia, dagli interventi di Giorgio Amitrano, studioso della cultura giapponese e Preside della Facoltà di Scienze Politiche nell'antico ateneo campano.

Lo stesso Amitrano ricorda che la ragione che ha spinto L’Orientale a organizzare l’evento è stato il desiderio di offrire solidarietà al Giappone, sia essendo presenti spiritualmente, sia concretamente attraverso donazioni (Andrea Dell’Angelo, direttore di Asia Onlus ha spiegato in quale modo dare il proprio sostegno alle popolazioni colpite dal sisma). Si è partiti dalla volontà di staccare l’evento dalla dimensione del talk show con dibattiti sul nucleare e sull’informazione dove tutto si sarebbe ridotto a uno scontro tra i pro e i contro, per porsi, invece, nel solco della meditazione. Meditazione Civile è, infatti, il sottotitolo di una serata che ha unito due istituzioni antiche, quali l’università e il teatro, che ancora oggi possono essere luogo di riflessione, nonostante ci sia sempre più la tendenza a spostarsi sugli spazi virtuali del web.

Il momento di apertura è stato affidato a una scena del film Kokoro di Ichikawa Kon, tratto da un classico della letteratura moderna di Natsume Sōseki: un uomo e una donna parlano su una spiaggia e le loro voci si intersecano con il suono delle onde, le stesse che l’11 marzo hanno superato il limite della terra, trascinandosi dietro migliaia di vite. Già il titolo apre un problema importante: Kokoro significa cuore, ma anche anima e mente. La difficoltà di trovare il giusto equivalente di questa parola spiega alcune differenze del sentire italiano e di quello giapponese: tuttavia, ha detto Amitrano, la lettura del libro e la visione del film ci mostrano quanti elementi di contatto vi siano tra due mondi tanto diversi.

La distanza tra le due culture è rintracciabile, a detta di Franco Mazzei, docente all'Orientale e tra i maggiori orientalisti in Italia, nella capacità del Giappone di rispondere con rapidità a sfide complesse, grazie a un approccio comunitario. La prima importante sfida è stata culturale: la vicinanza della grande civiltà cinese, già antica di 2000 anni quando il Giappone era agli albori della sua storia, ha dato ai giapponesi la possibilità di fare proprio il modo di pensare cinese e creare una variante di straordinaria ricchezza. Questo, però, ha generato nel popolo nipponico quella che Mazzei definisce “la sindrome del secondo”: esso è sempre all’inseguimento di un primato, di un modello da imitare. Il Giappone manca di capacità di iniziativa se non è opportunamente stimolato, non è attivo ma sempre reattivo e oggi il suo vero problema è proprio l’assenza di un tale modello. L’altra sfida è posta dalla natura, con i suoi terremoti, maremoti, eruzioni vulcaniche; e la necessità di dare una risposta a tali sfide ha plasmato l’anima giapponese con due connotazioni: l’ossessione di un continuo rinnovamento e l’angosciosa consapevolezza di non poter gestire l’imprevisto. Cosciente di questa vulnerabilità, il Giappone fa un paziente lavoro di prevenzione basato su uno sforzo collettivo e sulla fiducia verso gli altri e verso le istituzioni.

Tuttavia c’è un limite oggettivo che impedisce di tenere tutto sotto controllo, e di fronte a una tragedia come quella attuale, il giapponese non può fare altro che rispondere con una compostezza e una quiete, dietro la quale non c’è indifferenza o freddezza ma un dolore espresso in maniera diversa, perché quella giapponese è la cultura del non detto, dell’inespresso, dell’accenno, come in architettura dove il vuoto conta più del pieno o in musica dove la pausa è più importante della nota. Non si tratta di fatalismo, come lo intendiamo noi occidentali, e infatti questo concetto in giapponese è detto con il termine unmei che significa “vita in movimento”, è la vita che passa. A dirlo perfettamente è la pittura: la “Grande Onda” di Hokusai, dove in primo piano c’è un’onda maestosa nel suo incessante agitarsi e sullo sfondo l’eterna immobilità del monte Fuji; al centro, invece, barchette di pescatori, sereni perché consapevoli che la vita è un interstizio tra bellezza e tragedia.

Alla riflessione critica di Mazzei ha fatto seguito un discorso in forma d’arte, inteso come strumento di comprensione della catastrofe e come esercizio meditativo su di essa. Tony Servillo e Anna Bonaiuto si sono alternati nella lettura di vari testi: Una luce tranquilla scritto per l’occasione da Banana Yoshimoto, la poesia Uomo che non si arrende alla pioggia di Miyazawa Kenji, un racconto presente in Dalle rovine di Hara Tamiki, scrittore sopravvissuto all’esperienza atomica e un racconto di Murakami Haruki sul terremoto. I poeti Antonella Anedda e Franco Marcoaldi, infine, hanno testimoniato con il gesto poetico la propria partecipazione emotiva al dramma giapponese, recitando i loro versi.

Non solo letteratura e poesia ma anche cinema: il cortometraggio Haiku di Alessandro Mavilio, ispirato alla raccolta Haiku Occidentali di Pierluca D’Amato edito da Orientexpress, ha raccontato il senso di sospensione vissuto a Kyoto, città lontana dalle vicende drammatiche ma a cui sono arrivati gli echi della catastrofe.

A intervallare questi momenti è intervenuto l’Ambasciatore Italiano a Tokio, Vincenzo Petrone, sottolineando che il Giappone, nei prossimi anni, sarà il punto di riferimento per capire in quale direzione muoversi rispetto all’uso di energie alternative.

La chiusura della serata ha regalato il momento più intenso ed emozionante, quando un coro di studenti e docenti de “L’Orientale” ha accompagnato Enzo Moscato nell’interpretazione di tre brani della tradizione musicale giapponese.

Aniello Fioccola

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