Ma L'Orientale c'è

 

Ma L'Orientale c'è

Intervento del Direttore del Magazine a proposito della "lettera aperta" di una studentessa recentemente pubblicata in rete

Della lettera di una studentessa dell'Orientale accolta dal periodico on-line "Levante" e là pubblicata lo scorso sette luglio, colpiscono le parole con cui ella apre il suo sfogo: "questa università così tanto decantata... è ogni giorno più una delusione", come se proprio il fatto che fosse un ateneo di cui si parla bene l'avesse spinta a iscriversi. Se non fosse così, se fosse stato cioè un ateneo di cui si parlava male, allora non le sarebbe venuta una così grande delusione, perché non avrebbe avuto aspettative. Ci si chiede insomma che cosa le creasse aspettative. Ci si chiede anche perché ha tanto voluto iscriversi nonostante le suppliche di una sorella che la implorava di non farlo, come lei stessa ha scritto.
Pare di poter rilevare, nel testo della studentessa, che i problemi che ella riscontra siano soprattutto quelli organizzativi. Tuttavia sarebbe buona norma non parlare a nome di una intera comunità di studenti. Parlare a nome di un'intera comunità senza avere una specifica delega è una pratica inquietante. Di solito la mette in atto chi non ha pieno e consapevole rispetto dei singoli.
 
Può essere utile soffermarsi su un punto specifico della lettera della studentessa. Per quanto riguarda i motivi che spingono centinaia e centinaia di ragazzi, ogni anno, a iscriversi all'Orientale, non appare infatti credibile che sia "solo perché tanti giovani hanno scelto di studiare lingue asiatiche, africane, che magari altrove son trascurate". Questa appare come una spiegazione semplice, anzi semplicistica per non dire banale. Pare anche, e di nuovo, che questo offenda i tanti che fanno una simile scelta.

Piuttosto, non può bastare dire che un ateneo "forse continua ad andare avanti" solo perché vi si insegnano "lingue asiatiche e africane", che vantiamo e che ci onora avere nei nostri piani di studio. Vi si insegnano numerose altre discipline. Si pensi alla tradizione linguistica, ad esempio; alle lingue per così dire "europee"; alla filosofia che all'Orientale ha attirato tanti brillanti ragazzi finché ha trovato e troverà spazio per esistere. E così via:l'elenco è lungo e convincente. Anche questa è Università.

Certo, si può e si deve capire l'amarezza della studentessa, per la quale "l’amministrazione in primis fa rabbrividire …non c’è un briciolo di organizzazione", ma pure bisognerebbe lasciare spazio a un'analisi seria e approfondita dello sforzo che numerosi amministrativi compiono ogni giorno per portare avanti i loro settori. È vero che talvolta si scrive una e-mail a qualcuno che nemmeno risponde, e che forse addirittura non ha gli strumenti per farlo (il dubbio, dopo più di qualche tentativo andato a vuoto, verrebbe anche alle rocce). Ma è anche vero che altre volte giungono risposte valide e pronte. Per questo, sarebbe meglio non fare di tutta l'erba un fascio scrivendo che "non c’è nessuno che mi abbia mai detto qualcosa di positivo su questa università": verrebbe cioè di chiedere chi sono tutti costoro che si sono espressi in questi termini, e capire come mai non ne è capitato nemmeno uno, tra loro, disposto a spendere una parola positiva. Si può fare un esempio. Ci sono ex studenti dell'Orientale che si vantano di avervi studiato, e che ne parlano bene anche dopo anni di distanza.

Ciò detto, non si può non riconoscere che la delusione della studentessa è reale. Però a volte, tirando il bilancio di una realtà complessa come quella nella quale un ateneo come l'Orientale si riassume, si guarda altrove e ci si dice che tutto sommato tanto indietro non si sta. Sembrerà strano alla studentessa ma è così. L'Orientale possiede delle importanti specificità che altrove mancano, e buttarla tutta su un solo aspetto delle questione è riduttivo e colpevole. All'Orientale si trova ad esempio - l'elenco procede in ordine sparsissimo - il primo codice etico tra le università campane (non pare che la studentessa ne sappia qualcosa, e sorprende: questo la dice lunga su certe sue distanze dalla realtà produttiva dell'ateneo); scavi archeologici che entusiasmano gli studenti che vi partecipano; docenti che non meritano certo, con tutto il rispetto per i giudizi a carattere generale, di essere implicitamente coinvolti in una lettera tanto diffusamente negativa. Esiste la splendida sede di Procida; un dottorato di ricerca dell'Orientale ha esposto uno striscione al recente Gay Pride; ci sono importanti rapporti di scambio con paesi lontani, talvolta remoti. E poi, avrà un senso il piacere impagabile di poter leggere certe splendide traduzioni di alcuni grandi scrittori giapponesi viventi e sapere che l'Italia intera lo deve - quel piacere - a un professore dell'Orientale? Avrà un senso il fatto di poter comprendere una, due, in qualche caso tre lingue studiando qui? E via dicendo. Ci si chiede dunque che cosa trattenga, di questa positività, chi vede e vive solo negatività.

Certamente ci sono cose che non vanno, ma è bene ripetere che non si tratta di un male esclusivo del nostro ateneo. Si sa di situazioni con diverse e più profonde criticità. Ma guardiamo a noi. Ci si deve domandare ad esempio se la studentessa abbia mai denunciato, nei suoi tre anni di iscrizione, i malfunzionamenti di cui parla. Male se non lo ha fatto. Se invece lo ha fatto e non ha avuto risconto, allora (forse) deve rivolgersi agli organi competenti, non (forse) alla stampa. Solo se nemmeno gli organi competenti le hanno dato risposta, allora può seguire altre trafile. Ci si deve quantomeno domandare infatti se la studentessa ha mai depositato una segnalazione relativa alle risposte avute dagli addetti della segreteria studenti che l'avrebbero spinta a credere che per qualcuno di loro "sia normale sfogare le frustrazioni su di noi", cioè sugli studenti, e "rispondendo in malo modo o credendo che tutto sia ovvio e mandandoci via, dopo ore di fila, senza aver dato una risposta appropriata alle nostre incertezze". Se confermate, sarebbero cose gravi che non possono risolversi con la segnalazione anonima o con lo sfogo nei forum. C'è di mezzo la prova di una coscienza sociale matura, che non può risolversi in una segnalazione alla stampa ma che, eventualmente integrata con essa, andrebbe ben diversamente strutturata e contestualizzata. Resta la libertà di dire quello che si pensa; resta l'intrinseca, sacrosanta richiesta di giustizia che in questo gesto risiede. Ma quando si assume una posizione impegnativa come la pubblicazione di una lettera allora bisogna sempre lavorarci bene e darle una completezza di elementi che nella lettera della studentessa non pare esserci.

Altro punto: "voi vi divertite a rallentare il corso di studi e a far sborsare tanti altri soldini per il pagamento delle tasse". Ci si deve domandare a chi si riferisca quel "voi", e ci si deve augurare che chi lo ha scritto se ne sappia fare, nella sua coscienza, pienamente responsabile. Quel "voi" fa di nuovo di tutta l'erba un fascio, offendendo il lavoro di chi ogni giorno dà il suo contributo. A parte questo, si può dire che a nessuno potrebbe passare nemmeno per l'anticamera del cervello di trattenere gli studenti con espedienti artefatti come quello evocato dalla studentessa ("rallentare il corso di studi") al fine di incassare tasse. Questo fa capire che colei che scrive non sa nulla di valutazione degli atenei in sede nazionale, tanto per dirne una.

Quando infine la ragazza chiude la sua lettera dice che non basterebbe un libro a racchiudere tutto quello che qui non funziona. E aggiunge: "non consiglierei mai a nessuno di iscriversi a L’Orientale di Napoli". Qui non ci si può e non ci si deve trattenere. Addolora, infatti, l'insensibilità di una giovane verso le migliaia di studenti dell'Orientale sui quali con questi giudizi si gettano ombre offensive. O si crede che a tutti, proprio tutti loro faccia piacere essere rappresentati in una propria lettera? Chi scrive non ha sentito nemmeno per un momento il bisogno di parlare a titolo esclusivamente ed esplicitamente personale, nel rispetto degli altri che non l'hanno delegata in tal senso? Colei che scrive sa che ci sono centinaia e centinaia di giovani che mandano in giro il loro curriculum sul quale c'è segnato che hanno studiato all'Orientale? Sa, ella, che molti di loro hanno fatto un corso di studi esemplare, chiudendo la laurea con un voto alto o altissimo? Eppure quella studentessa li danneggia senza pensare al fatto di danneggiarli. Ha insomma idea, quella studentessa, di che cosa significhi parlare in nome proprio e in nome degli altri? Ecco, all'Orientale questa distinzione, in certe aule, la si impara bene.

Eppure sì che ci sono persone che si danno da fare. Di loro, nessuna menzione. Sarebbe piaciuto che ne fosse stata ricordata almeno una, solo appunto una, sia pure naturalmente senza fare nomi. Un usciere, un addetto alle pulizie, un professore, un tecnico, o magari un amministrativo. Fermi restando i giusti sentimenti che inducono la studentessa a protestare, forse una parola buona ce la si sarebbe potuta attendere. Invece no: bisognerebbe buttare giù tutto, con sotto tutti. Ma che distanza, viene da dire, dalla realtà delle cose!

Resta la preoccupazione, lecita e legittima, che a causa di qualche mela marcia ci vadano di mezzo coloro che fanno e partecipano. Su questo ci si augura che chi è toccato da certe accuse produca al più presto una adeguata e opportuna risposta.

E, infine, forse si deve anche dire che il titolo dato alla lettera pubblicata su "Levante", pur legittimamente scelto dai Colleghi, appare in tutta franchezza quantomeno frettoloso. Mi pare, a titolo personale, che non si debba parlare di una realtà di cui non si conoscono a fondo i meccanismi nei termini di una "barzelletta". È grave e invasivo, e chi lo fa se ne assume - sempre a mio personalissimo avviso - la responsabilità rispetto a quanto di oggettivo il titolo promette di comunicare. Se è stato generato dal redattore, allora egli se ne assume la responsabilità etica e professionale. Se il titolo è stato suggerito invece dalla studentessa, la cosa sorprende ancor di più: esso avalla pubblicamente infatti un giudizio complessivo su una realtà appunto complessa quale è quella di un ateneo come L'Orientale. Realtà che appare invece, in quel testo, solo sommariamente e piuttosto emotivamente rappresentata.

Alberto Manco