Musica ebraica e lingua yiddish con il compositore Daniel Galay
Musica ebraica e lingua yiddish con il compositore Daniel Galay
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Ore 17, Sala Martucci del Conservatorio. Manca poco all’inizio e un uomo dai capelli bianchi si muove tra il pianoforte che è proprio davanti al maestoso organo a canne, una cattedra, e le poche sedie ancora vuote, salutando gli ultimi arrivati con un cortese e sincero “You are welcome, thank you for coming...”.
È Daniel Galay – presentato dal professore Giancarlo Lacerenza – “cultore e continuatore della tradizione letteraria yiddish”, direttore del Conservatorio di Musica “Beit Frankfurt” di Tel-Aviv e relatore della conferenza promossa dal Centro di Studi Ebraici, dal titolo Musica ebraica e lingua yiddish.
Prima di dare inizio all'evento, Raffaele Esposito, dottore di ricerca specializzato in studi del Vicino Oriente Antico, ha introdotto l'argomento fornendo diverse informazioni essenziali sullo yiddish dal punto di vista storico e linguistico, in particolare sulle diverse influenze che è possibile rintracciarvi: ebraico, lingue germaniche, latino e le lingue slave.
Il Maestro Daniel Galay ha dato inizio alla conferenza entrando nel vivo degli studi di musicologia e con un'ampia spiegazione, tra parole ed esempi musicali ha parlato della “musica ebraica”, cresciuta per secoli nel cuore dell'Europa - che, così come lo yiddish, è stata capace di accogliere le influenze esterne pur mantenendosi ancorata alle sue radici orientali - rispetto alla quale tuttavia alcuni musicologi internazionali ancora nutrono riserve, negandone persino l'esistenza.
Attraverso la comparazione della tradizione musicale ebraica con quella occidentale, il Maestro ha descritto quelle che considera le differenze principali tra i due mondi musicali e i modi di creare e percepire la musica.
Secondo Daniel Galay, ad esempio, nella tipica frase della musica occidentale la parte più importante, il “picco”, spesso coincide con le note più alte e si trova verso la fine, rappresentando una sorta di risoluzione, un obiettivo, un elemento discreto; così come appare discreto il confine tra la scala maggiore e quella minore, un confine superabile ma non sfumato.
Nella musica ebraica e in quello che si definisce il genere klezmer, al contrario, il “picco” si trova al centro e il passaggio tra le scale esprime una tensione irrisolta, una dialettica continua, alla ricerca costante di una risoluzione che però non è mai espressa musicalmente. Nello specifico, l'inizio della frase consiste in una parte definita “credo” che si ripete per enfatizzare un tema principale, la parte centrale è costituita dal “picco” e la parte finale è volutamente aperta, in un certo senso interrogativa, debole, capace di esprimere questa tensione dialettica con un climax che si può risolvere solo in una dimensione intima, interiore, sia in senso musicale sia individuale.
E infatti, secondo Galay, l’attenzione per la dimensione interiore caratterizza non solo la musica ebraica, ma la cultura e la lingua stessa: anche nello yiddish, il mondo interiore e la riflessività giocano un ruolo molto importante, e l'uso abbondante di diminutivi è solo un esempio dei tanti modi in cui si esprime questa dimensione profondamente intima.
Il Maestro Daniel Galay ha concluso la conferenza eseguendo tre delle sue composizioni e ha salutato il pubblico con una precisazione circa i motivi che lo hanno spinto a studiare la musica ebraica e lo yiddish, motivi vanno ben oltre la lingua e la cultura prese in esame oggi.
Secondo il compositore, l'interesse per il rapporto che c'è tra la musica e la lingua, e la cultura di cui fanno parte, supera gli ambiti scientifici e accademici e dovrebbe suscitare istintivamente in ognuno di noi la stessa domanda: in che modo la lingua di un popolo e la sua musica suonano insieme?
Azzurra Mancini
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