OASIS: un’occasione di dialogo interculturale. Intervista a Donatella Izzo

 

OASIS: un’occasione di dialogo interculturale. Intervista a Donatella Izzo

Panorama - Sede del Conservatorio delle Orfane

Dal 21 al 27 maggio ha avuto luogo nella sede di Procida OASIS (Orientale American Studies International Summer School). Giovani studiosi e laureandi, provenienti da ogni parte del mondo hanno seguito per una settimana le lezioni di alcuni fra i più prestigiosi americanisti del momento. Un evento votato al dialogo fra le culture e al confronto intellettuale. Abbiamo posto alcune domande alla professoressa Donatella Izzo, co-organizzatrice dell’evento insieme a Giorgio Mariani dell’Università di Roma “La Sapienza”.
 

A Procida è una bella giornata di sole. Dal Conservatorio delle Orfane, sede dell’Orientale in Terra Murata si gode il vasto panorama del golfo. Numerosi studenti e studentesse dialogano tra loro in inglese davanti all’ingresso della sede. Un’altra giornata di studio si è conclusa. Man mano che finiscono i seminari pomeridiani, anche i professori si aggiungono al capannello di studenti che si è formato nel tepore di questo pomeriggio di maggio. Mentre i gruppi cominciano a scendere per godersi il tepore dell’isola ci tratteniamo con la professoressa Donatella Izzo. Docente di "Letteratura angloamericana" all'Orientale ed esperta di autori come Henry James e Francis Scott Fitzgerald è una delle organizzatrici della prima Summer School di americanistica all’Orientale. I partecipanti vivono da una settimana a stretto contatto con i docenti, in un clima di confronto intellettuale e di multiculturalità. Un evento unico che conferma la vocazione internazionale dell’Orientale.

Professoressa Izzo, da dove nasce l'idea di una Summer School di americanistica all'Orientale?

L'idea della Summer School è nata da diverse suggestioni e influenze. Innanzitutto, dalla volontà di fornire agli studenti dell'Orientale – alcuni dei quali stanno partecipando alla scuola – un'occasione di alta formazione, a contatto con il fior fiore dell'americanistica internazionale. Ma all'origine c'è anche la volontà di offrire loro l'occasione di dialogare con altri studenti di americanistica, giovani come loro, provenienti da altri paesi e portatori di altri approcci a questo campo di studi. Poi, OASIS si ispira alla Summer School creata presso il Futures of American Studies Institute del Dartmouth College da Donald E. Pease, uno dei professori che questa settimana sono qui con noi e direttore di quell’istituto. Al Dartmouth College questa scuola va avanti ormai da sedici anni, ed è una straordinaria esperienza formativa sia per gli studenti che per i docenti che vi partecipano. Io stessa ho partecipato molte volte nel corso degli anni a questa scuola e ne ho sempre apprezzato la grande capacità di mettere in moto energie intellettuali. A me e a Giorgio Mariani, co-organizzatore di OASIS, piaceva l'idea di riprodurre qualcosa del genere nella nostra università. Ci sembrava potenzialmente molto fruttuosa l'idea di trasferire quel modello di scuola nel contesto mediterraneo, più vicino ad altre esperienze culturali che ci sembrava necessario far dialogare tra loro e con gli Stati Uniti. Questa è stata la scommessa iniziale e il desiderio che animava la nostra scuola.

Possiamo dire, quindi, che l'organizzare nella sede di Procida abbia anche un valore simbolico...

Assolutamente sì. Procida ci ha fornito la localizzazione ideale della nostra iniziativa. Sono molti anni che Giorgio Mariani e io coltiviamo l'idea di questa scuola. Le vicende politiche dell'ultimo decennio ci hanno convinto dell'assoluta urgenza di creare delle occasioni di dialogo culturale fra gli Stati Uniti e quella parte del mondo mediterraneo, costituita dal Medio Oriente e dall'Africa Settentrionale. Procida rappresenta un luogo perfetto, sia per motivi geografici, sia per le tradizioni della nostra università la quale da sempre è un luogo d'elezione per questo tipo di dialogo. Ci è sembrato che questo fosse il posto giusto per inaugurare una scuola di questo genere e speriamo davvero di poterla continuare.

Qual è il profilo medio dei partecipanti alla scuola?

I partecipanti della scuola si dividono in due categorie. Da un lato ci sono persone già inserite in un percorso professionale di americanisti: sono i dottorandi, i dottori di ricerca, o, comunque, i giovani studiosi che si occupano di tale disciplina. Dall'altro ci sono i laureandi in discipline americanistiche della nostra Università. Abbiamo diciassette partecipanti della prima categoria, provenienti da varie parti del mondo. Ci sono due partecipanti dall'Algeria, una dall'Egitto, uno dalla Slovenia, una dal Portogallo, una dall'Ungheria, una dalla Germania, una dagli Stati Uniti. Gli altri sono dottorandi di università italiane, fra cui due dell'Orientale. Alcuni sono peraltro stranieri essi stessi, benché stiano facendo il dottorato in Italia provengono da vari paesi, non solo europei. Abbiamo inoltre un partecipante proveniente dal Kurdistan iracheno, una zona molto calda, che molto spesso ha difficoltà a creare un dialogo con gli Stati Uniti. In generale, anche se qualche studente per motivi economici o di visto non ha potuto unirsi a noi, come primo esperimento siamo abbastanza contenti.

E i docenti da dove provengono?

Fra i docenti che insegnano qui abbiamo alcuni statunitensi che sono fra i grandi nomi dell'americanistica contemporanea: Donald E. Pease, John Carlos Rowe, Alan Nadel – che questo semestre è professore all'Orientale di Napoli, grazie all'accordo con la commissione Fulbright, che ogni anno manda un docente dagli Stati Uniti per insegnare da noi. Poi abbiamo Jonathan Arac che è uno studioso di primissimo piano negli Stati Uniti; Susan Andrade, specialista di letteratura americana e di lingua inglese ma anche di letteratura di paesi africani e postcoloniale; Ira Dworkin, docente statunitense che insegna all'università americana del Cairo e così porta un suo patrimonio specifico di esperienze e scambi culturali. Poi dall'Italia abbiamo Paola Boi, dell'Università di Cagliari, specialista a livello internazionale di letteratura afro americana; Stefano Rosso dell'Università di Bergamo, studioso tra le altre cose di western e, naturalmente, Giorgio Mariani che insegna letteratura americana alla Sapienza ma è anche il presidente attuale dell'International Association of American Studies: una figura quindi di grande rilievo.

Un avvenimento abbastanza importante quindi... unico nel suo genere.

Sì. Non solo è la prima scuola del genere in Italia ma è la prima ad essere organizzata in un paese non anglofono, e in tutta l'Europa meridionale, a quanto ci risulta. In Europa l'unica summer school con caratteristiche simili si tiene al Clinton Institute for American Studies dello University College di Dublino; ma appunto Dublino è in un paese di lingua inglese peraltro con una forte tradizione di scambi transatlantici con gli Stati Uniti, dunque si rivolge a un tipo di pubblico sostanzialmente diverso da quello che abbiamo cercato di attrarre noi.

Quali sono gli obiettivi per i prossimi anni?

Noi speriamo che questo sia stato il primo anno di un'iniziativa capace di assumere regolarità e di sostenersi finanziariamente. Il problema di iniziative simili è che sono molto costose rispetto alle possibilità di investimento dell'università italiana in questo momento. Noi siamo riusciti a realizzare questa scuola grazie al finanziamento dell'Ambasciata degli Stati Uniti d'America oltre che al finanziamento dell'Orientale, il cui supporto non ci è mancato. Ma se dovessimo pensare di replicare questa esperienza soltanto sulla base dei fondi ricavati dalle tasse di iscrizione dei nostri partecipanti dovremmo portare la cifra di partecipazione a un livello tale che non parteciperebbe più nessuno. Speriamo quindi fortemente di riuscire, nei mesi a venire, a ricavare delle fonti di finanziamento tali che ci permettano di proseguire l'esperienza.

In base a quale criterio sono stati scelti gli speaker?

Come accennavo già prima questa scuola nasce come una versione mediterranea della prestigiosa scuola organizzata dal Dartmouth College. Per questo la cosa più ovvia da fare per noi era quella di invitare l'animatore di quella scuola, Don Pease, che è peraltro un collega al quale sia Giorgio Mariani che io siamo uniti da una consuetudine di lavoro comune. Lui, molto generosamente, ha accettato di partecipare sebbene fosse la settimana conclusiva dell'anno accademico e quindi lui fosse molto impegnato. Inoltre bisognava fornire ai nostri partecipanti delle figure chiave da venire a conoscere, e con cui potere dialogare. Il professore Rowe, oltre a essere una figura di tale prestigio, è uno dei più attivi sostenitori della necessita di internazionalizzare l'americanistica, cioè di rendere gli Stati Uniti soltanto uno dei luoghi d'elaborazione del pensiero sulla letteratura e la cultura americane, non quello primario o egemonico. Dunque era la persona adatta per venire a dialogare qui con noi. Lo stesso Alan Nadel, oltre a essere un americanista di grande fama internazionale, è – come accennato – Fulbright lecturer all'Orientale, quindi era una scelta ovvia. Tutti gli altri sono stati scelti sulla base non soltanto delle loro credenziali accademiche alte, ma anche sulla base della specificità del loro lavoro: connotazione transnazionale dei loro interessi e apertura ai discorsi specifici riguardanti il rapporto degli Stati Uniti con il mondo mediterraneo, con l'Africa e con il Medio Oriente. Infatti il programma della scuola contiene parecchi interventi attinenti a questioni legate a questi transiti culturali.

Come si svolge la giornata tipo?

Si articola così: ogni mattina abbiamo avuto due plenary lectures, conferenze plenarie di due degli studiosi che hanno partecipato alla scuola. Vi prendono parte sia gli altri docenti, sia i nostri partecipanti che hanno così potuto assistere a tutte le conferenze plenarie. Ciascuna di queste conferenze occupa uno spazio di 45/50 minuti e viene seguita da un dibattito. In questo modo gli studenti hanno la possibilità non soltanto di essere esposti al pensiero, alle competenze, alle conoscenze, ai lavori in corso di americanisti di fama internazionale, ma possono anche assistere al dibattito di questi studiosi con altri loro colleghi e possono loro stessi fare domande ai conferenzieri. Non si tratta solo di chiedere chiarimenti ma anche di interagire, di proporre commenti ma anche critiche, in un'atmosfera veramente ottimale. Il dibattito si sviluppa in forme secondo me molto educative per la volontà di dialogo tra persone che si rispettano e che possono anche non essere d'accordo, ma che si interpellano sempre sulla base di una comune volontà di chiarimento intellettuale. La discussione inoltre non si è svolta soltanto fra gli studiosi più anziani ma abbiamo sempre avuto domande da parte del pubblico dei partecipanti: c'è stato un dialogo reale che a noi è sembrato molto ben riuscito. Il pomeriggio, dopo il pranzo che consumiamo tutti in comune per avere ulteriori occasioni di dialogo più informale, si sono svolti dei seminari di gruppetti di studenti diretti da uno degli studiosi. In questi seminari ciascuno dei partecipanti presenta agli altri, in un tempo prestabilito, la propria ricerca e riceve feedback, commenti e suggerimenti da tutti, sia dagli altri partecipanti, sia ovviamente dai docenti. Un modo, questo, non soltanto di chiarirsi le idee sulla propria ricerca in corso, ma anche di ricevere suggerimenti preziosi da parte di persone più competenti, ma soprattutto portatrici di punti di vista diversi, che aiutano a contestualizzare la propria ricerca in modi diversi da quelli iniziali.

Possiamo dire che questa scuola è utile anche per il confronto fra metodologie di ricerca diverse...

Proprio così. Io stessa ho trovato molto fruttuoso questo scambio fra partecipanti che vengono da tradizioni letterarie e accademiche molto diverse e quindi sono portatori di modi diversi di concepire il loro rapporto con gli oggetti di studio. Credo inoltre che sia molto istruttivo anche per gli studiosi internazionali più affermati essere messi in condizione di interagire con persone provenienti da schemi culturali molto diversi dai loro. Una cosa, questa, di cui siamo orgogliosi e che anche i nostri ospiti americani hanno riconosciuto con grande piacere: molto spesso, nell'americanistica, si pensa che gli Stati Uniti siano la fonte di ogni sapere. Qui tutti sono alla pari, perché siamo tutti ospiti in un certo senso e non c'è alcuna discriminazione, come di solito accade nelle scuole analoghe che si svolgono negli Stati Uniti dove ci sono i padroni di casa che ne sanno di più degli altri e sono i portatori di una cultura accademica che si sente più legittimata delle altre. Nella nostra summer school invece ognuno porta il proprio patrimonio culturale e ci si confronta alla pari in una sorta di scambio dialogico in cui non ci sono posizioni precostituite.

Da quello che traspare si respira un'atmosfera di assoluta convivialità...

L'atmosfera mi sembra molto cordiale. Bisogna tenere conto che i docenti che partecipano alla scuola hanno quasi tutti una consuetudine di vita accademica, si conoscono in alcuni casi da molti anni. Si respira un clima assolutamente cordiale e amichevole, privo di tensioni accademiche come talvolta accade in convegni di taglio più tradizionale. Devo dire che anche i partecipanti, che oltretutto vivono insieme in un'unica struttura e quindi hanno anche occasioni di incontro al di fuori della scuola in senso stretto, anche i partecipanti mi sembra che si siano affiatati molto bene, nonostante la grande varietà delle loro provenienze, delle loro lingue d'origine. Quindi direi che l'atmosfera che si respira è molto positiva e noi siamo molto contenti di come ha funzionato fin qui la scuola.

Salvatore Chiarenza

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