Oltre Vico, di Valeria Giannantonio
Oltre Vico, di Valeria Giannantonio
L’autrice, accompagnata da Sebastiano Martelli e Carlo Vecce, presenta all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Palazzo Serra di Cassano il libro edito da Carabba
Il lavoro nasce come ricostruzione, lunga e coraggiosa, dell’eredità vichiana in termini di modernità attraverso l’analisi di saggi originali (quattro) a modello della cultura nazionale tra ‘700 e ‘800. Messi a fuoco quasi come se in un auto-scatto romantico e furtivo, Nord e Sud si inquadrano "canonicamente" – in termini d’influenza reciproca, nel e dal vichismo – in quei generi letterari (melodramma e poesia lirica, tra gli altri) all’epoca segni d’un progressismo che sapeva, più di adesso, di unità nazionale.
Credo in tre soli Dei era il leitmotiv del secondo ‘700; l’egemonia tra filosofi e storici veniva alimentata a intervalli regolari da quei letterati che – legati a canoni seicenteschi – giuravano fedeltà al trittico Parini-Goldoni-Alfieri. Aleggiava sulla testa degli illuminati il presagio di una letteratura intesa come scissione del sapere (operazione romantica), in un periodo in cui Voltaire, Diderot, e tutta la produzione europea, nonché meridionale, denunciava la completa assenza di barriere disciplinari, al fine di promuoverne interferenze e infiltrazioni (basterà ricordare che la prima opera del Leopardi riguardava la storia dell’astronomia!).
La grande stagione del Mezzogiorno d’Italia vestirà, nell’Illuminismo meridionale, i panni di una filosofia civile, politica, storico-sociale, proclamata nei termini di utile e libertà di pensiero, il tutto finalizzato al grande progetto della modernizzazione.
Oltre Vico è un titolo che fa i conti con la Napoli del Galiani, del Galanti, del Pagano; con la Milano dell'ultimo Monti, del Tenca, e con la scena piemontese del Camerini. Nell'esigenza di ridefinire gli statuti della modernità, Vico si presta anello di congiunzione tra il Sud e il Nord tra eredità passata e progressismo, sensismo e preromanticismo, riformismo e soggettivismo. Obiettivo dell’autrice: chiarire in che termini operano, nei suddetti autori, le idee estetiche all’interno di un determinato contesto letterario/rivoluzionario.
Giuseppe Maria Galanti, l’allievo più vicino al Genovesi e che si riconoscerà in questa progettualità legata alla storia del Mezzogiorno, guarderà al genere romanzo con amara attenzione. Aneddoticamente, nelle sue Memorie storiche, la passione per il romanzo si dichiarerà conseguenza di una cocente delusione amorosa che l'ardito consigliere di savie riforme non dimenticherà mai (così come il giorno della morte del padre). Il Galanti apre al romanzo ma non sbarra la strada al genere altro; pur riconoscendosi nell’affidatagli funzione pedagogica, la sua opera rifugge tutta dall’esaurirsi all’interno di quest’unica cornice didattica. Riconosciute, invece, all’abate Galiani una tra le prime forme di borghesizzazione del pubblico-spettatore, ardite operazioni estetico-linguistiche (vedi Il socrate Immaginario, smentita in questa sede come opera buffa) e fenomeni di rivalutazione del dialetto – con un trattato del ’79 – inteso non come espressione del popolo basso ma piuttosto come simbolo d’identità e autonomia napoletana in ambito nazionale.
Per i protagonisti della seconda generazione (Pagano, Galanti), affrontare lo scenario politico dal punto di vista letterario, era fermare, o meglio, affondare una volta per tutte la lama nelle piaghe della catastrofe napoletana. Il ’99 aveva ormai proclamato la disfatta della modernizzazione per Napoli (che in quell’anno perde il fiore della propria classe dirigente/intellettuale) e per il Mezzogiorno: starà alla terza generazione (Lomonaco, Pepe, Cuoco) riprenderne motivazioni e fervori. Trovare soluzioni e risposte significava ripensare Vico e la storia, vichianamente intesa.
Il libro però va oltre lo spartiacque del ’99 al fine di rintracciare una continuità tra Vico e la cultura meridionale che emigra, con i propri problemi nella valigia di cartone, a Milano. Ė vera e propria dialettica polifonica tra centri culturali nazionali: la Milano del Manzoni, del Cantù, dei critici e degli storici versus la Napoli delle scuole del De Sanctis, del Boerio, delle riviste, delle recensioni e delle ristampe dei romanzi storici di enorme successo popolare (I promessi sposi su tutti). Insomma, nel primo trentennio dell’ ottocento, anche la Napoli del Leopardi.
Tra storia ed immaginazione, natura e arte, il dialogo tra nord e sud nell’ideale pre-unitario riconosce nel vichismo riformatore la riscoperta, in chiave moderna, di quell’idea progressista di storia in bilico tra eredità e romantico progresso.
Oltre Vico, è riscoprire l’idea di utilità sociale del romanzo (Galanti) nell’impegno del letterato (eccolo l’illuminismo!) tra razionalismo cartesiano ed empirismo newtoniano a Napoli; riscoprire in termini progressisti la storia attraverso la cultura: la rielaborazione della tragedia è ora rivolta al riscatto dell’identità nazionale della cultura napoletana, non più marginale ma europea e di sollecitazione ideologica. Il momento critico del ’99 – tra eredità giacobiniana e politica della restaurazione – si svelerà quale snodo di conferma di tale modernità, anche nel processo migratorio. Il terzo illuminismo napoletano parlerà e scriverà di Napoli a Milano, quest’ultima erede del pragmatismo asburgico che ben accoglierà il progressismo vichiano, sconfinando anche nell’immanentismo religioso del Manzoni (nume tutelare dell’italianità per il Camerini), già d’influenza francese.
Autore del libro: Valeria Giannantonio
Titolo: Oltre Vico. L’identità del passato a Napoli e Milano tra ‘700 e ‘800
Editore: Rocco Carabba
Data di pubblicazione: 2009
Prezzo: € 23,00
Pagine: 320
Claudia Cacace
Claudia Cacace
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