Paolo Ruffino: se l'avatar mi rimanda al mondo (reale)

 

Paolo Ruffino: se l'avatar mi rimanda al mondo (reale)

Paolo Ruffino - Web Magazine L'Orientale

Lo studio del gioco come studio della società: analisi di un mondo molto (poco) virtuale.

Dottor Ruffino, Lei è stato invitato a partecipare dal professor Manco con un intervento apparentemente eccentrico alle Giornate di studio su Comunicazione e Graphic Novel. Su cosa verterà il suo intervento?

“Il mio intervento non sarà specificamente incentrato sul fumetto ma sarà più vicino al mio campo di studi che è il videogioco. In particolare parlerò dell'avatar, cioè quella figura antropomorfa che viene controllata all'interno dei mondi virtuali, e delle metafore che ci aiutano a descriverlo. In queste ultime sono presenti delle somiglianze con i corpi di carta evocati dal titolo della conferenza.”

Lei come si è avvicinato ai videogames?

“Prima come passione personale, quando ero bambino, quindi a scopi del tutto ludici, poi pian piano come oggetto di studio quando iniziai l'università. Quando cominciai a studiare comunicazione infatti mi resi conto che le tematiche trattate in quella disciplina chiamata media theoryvenivano in un certo senso complicate dallo studio del videogioco, che è una forma sempre più pervasiva di intrattenimento, e quindi tutt'altro che neutrale, anzi, assolutamente da tenere sott'occhio.”

Qual è il valore comunicativo dei videogames nella società contemporanea?

“Ha un valore ad una molteplicità di livelli, innanzitutto è una forma di intrattenimento, e come ci insegnano molti studi di sociologia, da Caillois a Huizinga, il gioco in generale ha una valenza cruciale all'interno di una società proprio perché ne rappresenta al tempo stesso una deviazione, ma anche una forma di rappresentazione dei valori interni alla società stessa, in un ambiente separato e circoscritto. Dunque lo studio del gioco è in realtà uno studio della società; le forme di intrattenimento più popolare all'interno di una cultura sono una sorta di cartina tornasole della società, e oggi il videogioco è per la società occidentale, ma anche per molte culture orientali, la forma dominante di intrattenimento.”

Quali crede possano essere i punti di incontro tra fumetto e videogames?

“Ce ne sono moltissimi, sono due mondi che viaggiano e hanno sempre viaggiato assieme, come il videogioco ed il cinema ad esempio. Per quanto riguarda il videogioco e il fumetto, a parte i casi di videogiochi ispirati ai fumetti o viceversa, a livello estetico c'è una influenza reciproca. Il videogioco quando nasce si ispira molto al fumetto nella sua estetica, senza sottovalutare che spesso chi lavora nell'industria del videogioco proviene dall’industria del fumetto. Questo perché nel videogioco, nonostante sia tutto digitale, è ancora necessaria quella che è chiamata la game artovvero la produzione di disegni, schizzi e appunti, che aiutano i programmatori a modellare le figure digitali, ma che nascono innanzitutto su carta, come disegni.”

Secondo lei che valore comunicativo ha il fumetto?

“Il fumetto ha un vantaggio rispetto al videogioco, che non è un vantaggio legato necessariamente al mezzo in sé per sé, ma al modo in cui viene usato, e questo vantaggio è a mio avviso il fatto che c'è un'attenzione molto maggiore, più profonda, all'aspetto narrativo. Se il videogioco ha ancora delle forme di narrazione elementari che raramente lasciano parlare di sé, sul fumetto invece, e penso alle opere di Alan Moore ad esempio, ci sono delle opere che possono ambire a tutti gli effetti ad essere parte della letteratura, e quindi della tradizione culturale di un'intera nazione.”

Ci fa un esempio di comunicazione, a suo parere ben riuscita, attraverso il fumetto?

“Prima ho citato Alan Moore, l'autore di Watchmene di V for Vendetta, è un esempio di un autore complesso che ha portato il fumetto ad un livello che non può essere sottovalutato dai critici, ma citerei anche Neil Gainman, l’autore di Sandman.”

E un esempio di comunicazione ben riuscita attraverso il videogame?

“Qui è un po' più difficile, dipende da ciò che si intende per comunicazione ben riuscita. Se ci si riferisce ad un messaggio politico, un messaggio critico, un messaggio che fa riflettere sulla società, allora bisogna andare a trovarlo in produzioni più periferiche, ovvero non tanto ciò che viene dall'industria del videogioco ma quello che nasce dal mercato indipendente, o dal mercato del political gaming, che sono dei fenomeni nemmeno più tanto emergenti, di videogiochi prodotti con risorse limitate e distribuiti via Internet, di solito gratuitamente, in cui spesso si trattano temi politici o di assoluta attualità. Un esempio tra questi è il gruppo italiano Molleindustria, un gruppo che si è reso famoso attraverso giochi a contenuto politico.”

Quali sono i rapporti tra il mondo del videogioco e quello del open source?

“Sono rapporti abbastanza complessi, nel senso che ci sono continuamente casi di apertura da parte di chi fa i videogiochi verso i suoi videogiocatori. Abbiamo casi di videogiochi il cui engine è stato rilasciato in modo del tutto gratuito, e questo si tende a considerarlo un fenomeno strettamente contemporaneo, mentre invece i primi videogiochi come Space Wardel ‘62 nasce come progetto assolutamente open, continuamente in evoluzione e continuamente modificabile da qualsiasi giocatore. Abbiamo altri casi come Doom,un gioco estremamente popolare che è uscito nel ‘93 e che nel ‘97 ne è stato rilasciato l’engine in modo del tutto gratuito. Attualmente si assiste ad una sorta di democratizzazione dei mezzi di produzione del videogioco, la Microsoft stessa ha rilasciato l’XNA che è una sorta di toolper fare videogiochi a bassissimo costo, e che Microsoft ospita sui suoi stessi canali come giochi prodotti dalla comunità dei consumer. Esiste però anche una tendenza ad incrementare in maniera esponenziale i costi di produzione dei videogiochi più importanti, che restano così inaccessibili al grande pubblico. È un rapporto conflittuale quindi, basti pensare al caso di Sony che nel ‘97 rilasciò net yarozeuno strumento per permettere a chiunque avesse la passione della creazione di videogiochi di farseli a casa, e che ha sempre cercato di incoraggiare le produzioni che vengono dai consumatori. Ultimamente la PlayStation 3era assolutamente aperta in termini di sistema operativo, successivamente però Sony ha tolto questa possibilità agli utenti, e molti si sono arrabbiati per il fatto che non era più possibile installare linux sulla PlayStation 3. Da ciò è nato l’hacking di cui ora ne stiamo vedendo i frutti: circa 77 milioni di dati privati rubati dal PlayStation network, una vera e propria ribellione da parte dei consumatori che si sono sentiti traditi da Sony. La storia del videogioco è ricca di queste oscillazioni tra apertura e chiusura totale del software.”

E tra videogames e ecologia?

“Questa è una domanda interessante perché in quello che andrò a dibattere si racconta come noi sottovalutiamo del tutto l'impatto ambientale del videogioco, sembra un'assurdità ma non ci rendiamo conto che soprattutto con i videogiochi on-line inquiniamo tantissimo. Le emissioni di CO2 che nascono dal surriscaldamento dei server e dell'apparecchiatura necessaria che serve ai videogiocatori è una richiesta di consumo elettronico decisamente elevata, al punto che è un vero e proprio problema ecologico sostenere alcuni mondi virtuali che in realtà hanno delle conseguenze ben reali. Per il resto il videogioco può influenzare l'ecologia dal punto di vista dei contenuti, nel senso che si sono giochi che cercano di trasmettere un messaggio politico, ad esempio quelli di Molleindustria, ma ne esistono anche altri, su quanto poi siano efficaci è dura da stabilire.”

Quali sono le differenze tra fumetto, graphic novel e graphic journalism?

“Credo che con graphic novel si intenda una versione un po' più raffinata del fumetto, che è inteso come quello da 50 cent, il formato Marvel o DC per intenderci. Con graphic novel invece ci si riferisce ad un’opera più complessa come quelle di Alan Moore. Per graphic journalism invece mi viene in mente Palestinadi Joe Sacco, è il caso in cui il fumetto viene utilizzato per raccontare un'esperienza diretta, quindi da opera di finzione diventa un'opera di attualità.”

Lei come si è avvicinato al fumetto?

“È difficile da dire, mi ci sono avvicinato quando ho incominciato a leggere, dai primissimi fumetti come Lupo Albertoe Nathan Never, quindi fumetti assolutamente made in Italy, a fumetti appartenenti al mondo Marvel, per poi arrivare a Neil Gainman che ha un po' cambiato il mio modo di pensare il fumetto. La serie di Sandmaninfatti è stato il primo fumetto che ho apprezzato per complessità narrativa.”

Secondo Lei esiste un lettore ideale di fumetti? Quale potrebbe essere?

“È un po' come dire se c'è un lettore ideale dei romanzi. Se parliamo di fumetto nel senso di racconto di super eroi, come SuperMan ad esempio,direi che il target è quello di un teenager, ma ormai i fumetti, come i videogiochi, sono talmente complessi in alcuni casi che il lettore ideale va rintracciato da testo a testo, e non c'è un lettore ideale per il medium fumetto in generale.”

E un consumatore ideale di videogames?

“Negli ultimi anni c'è stata un'apertura netta verso gli over 50, che prima non venivano nemmeno considerati. Va detto però che il videogioco fino a pochi anni fa era di netto dominio di un mercato teenagere spesso esclusivamente maschile. Sony con PlayStationha cambiato un po' le cose, e ora possiamo dire che il videogioco è qualcosa che può essere fruito da chiunque, indipendentemente da età e sesso.”

Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito ad un’incredibile evoluzione della graphic novel e del fumetto in generale. Moltissimi artisti hanno realizzato opere di incredibile qualità e valore artistico sperimentando in diversi campi tra cui la pittura e la fotografia, secondo lei a che punto si è arrivati? Quali sono le prospettive per il futuro?

“Nel fumetto si parla già di autori veri e propri, come ad esempio Stan Lee, con un proprio stile sia nella storia che nel disegno, si può quindi immaginare una crescita di questo fenomeno. Un'altra possibilità è quella di usufruire delle nuove tecnologie, quindi la distribuzione on-line, e vedere il contributo dei lettori come può cambiare il fumetto stesso. Insomma le possibilità sono molte, il rischio del fumetto però è quello di venire divorato da altre forme di intrattenimento come videogiochi e cinema.”

Come sono cambiati secondo Lei la percezione e il contenuto del fumetto negli ultimi cinquanta anni?

“È cambiata parecchio, il fumetto nasce come intrattenimento per le masse, come industria culturale di basso profilo che replicava un po' l’immaginario collettivo del popolo a prezzo economico, in Italia ad esempio c'era Diabolik, da lì siamo arrivati a Neil Gainman e Alan Moore. D'altronde è lo stesso discorso che si può fare con il videogioco, che è nato come mezzo di intrattenimento nel senso più semplice e pian piano se ne è riconosciuto il valore. Infatti l'intrattenimento non è mai solo intrattenimento, ma è qualcosa di cruciale all'interno di una cultura, e di conseguenza può essere anche usato per raccontare qualcosa di più complesso, il fumetto questo l'ha fatto.”

Si può parlare di una semiotica dei videogiochi? Quale può essere un approccio semiotico al testo videoludico?

“Si può parlare di semiotica del videogioco perché quello videoludico è un testo in cui c'è un'interpretazione, da parte del videogiocatore, necessaria per proseguire all'interno del gioco. È quindi uno scambio comunicativo che può essere studiato con un approccio semiotico, anche se è stato spesso messo in discussione dalla teoria che cercava di studiare il videogioco, ma possiamo dire con assoluta certezza che la semiotica può contribuire in maniera determinante allo studio del videogames. E lo stesso vale anche per i fumetti.”

Secondo Lei quali sono le perdite che si possono avere nella traduzione di un videogame da una lingua all’altra?

“Sono le stesse perdite che ci sono nel cinema e nella letteratura, c'è da dire però che i videogiochi prima dei tardi anni ‘90 non venivano mai tradotti in italiano, e questo ha causato un fenomeno abbastanza interessante: un'intera generazione che si trovava costretta a imparare l'inglese, o addirittura il giapponese, per poter giocare ai propri videogiochi preferiti. E si sa che dove la scuola non riesce ad arrivare, riesce ad arrivare sicuramente l'intrattenimento, e quindi il videogioco. Il fatto che i videogames non fossero tradotti in italiano ha quindi creato una forma di apprendimento laterale delle lingue straniere, ma, a parte questo, chiaramente le traduzioni sono una forma di trasposizione che qualcosa fa perdere e qualcosa fa dire in più, e questi sono i rischi di qualsiasi forma di traduzione. Per quanto riguarda il videogioco però, più che la traduzione, ciò che ha potuto provocare maggiori danni è stata la localizzazione: l'adattamento ad un certo tipo di mercato, e con adattamento non si intende solo la traduzione dei testi, ma si intende un cambiamento radicale del gioco. Ad esempio i videogames che nascono per il mercato giapponese, in cui violenza e sesso vengono considerati in maniera molto diversa che da noi, o dove ben prima che in occidente si è aperto il mercato a narrazioni complesse, spesso localizzazione ha fatto disastri, tagliando intere parti di un gioco per adattarlo ad un mercato meno aperto, o meno istruito, o meno ricettivo verso certi tipi di videogames. Oggi però c'è da dire che questa cosa sta cambiando enormemente, perché abbiamo dei mercati un po' più uniformati o perlomeno un po' più simili nella loro esperienza del medium videogioco.”

Lei è membro di IOCOSE, un gruppo di artisti che mira attraverso la performance artistica a sovvertire le ideologie e i processi di produzione e identificazione di significato. Ci parli di questo progetto.

“È un progetto laterale alla mia attività, dove però alcuni punti di contatto ci sono. Iocose nasce nel 2006 in Italia, siamo in quattro, e ci occupiamo di arte. La categoria è quella del new media art, una categoria un po' ristretta e un po' criticata, ma per intenderci, è un'arte che ha che fare con la rete, quindi con la Net art e l’uso dei siti e delle e-mail come base per delle performance o per delle opere artistiche. È un tipo di arte che usa i video, la pubblicità, i media e l'informazione come territorio per creare delle opere d'arte. A breve saremo alla biennale di Venezia, a giugno”.

Ci racconti una performance che secondo te ha avuto un buon impatto?

“A novembre abbiamo realizzato un'opera supportata economicamente da Aksioma, un ente sloveno di arte contemporanea, l’opera consiste in un video di circa 20 minuti intitolato In The Long Runed è una ricostruzione mediatica della morte di Madonna, la cantante. Non è un progetto contro o a favore di Madonna ma è la ricostruzione di un evento mediatico di alto profilo, come può essere il funerale di un vip. Nel fare questo abbiamo cercato di capire quali sono le possibilità per raccontare un evento futuro al tempo passato, ovvero come possiamo già ora immaginare un evento televisivo, un'edizione speciale della BBC, in cui si ricostruisce la vita di Madonna alla luce della sua morte. È un progetto che indaga quanto è già scritto e modellato delle narrazioni mediatiche, noi non sappiamo come morirà Madonna, cosa esattamente accadrà, però sappiamo che quando accadrà sarà all'incirca in questi termini. Quindi possiamo dire in realtà come sarà la morte di Madonna per quel che sarà la sua rappresentazione mediatica, e in più nel nostro video noi reclamiamo che non è un fake, non è un falso, innanzitutto perché diciamo sin dall'inizio che è una nostra opera, è chiaro perché ci sono i titoli di coda e tutto il resto, ma non è un falso perché in realtà questo è un video che appartiene a un vero e proprio genere, che però ha la particolarità di essere un genere nascosto, che è il genere degli obituary, o coccodrilli in italiano. Gli obituary sono video sulla morte di personaggi famosi, o in generale su eventi che certamente accadranno, e che vengono di fatto preparati dalle emittenti televisive in anticipo per poi poterli proiettare nel momento in cui l'evento si verifica. Quindi il video appartiene ad un vero e proprio genere, un genere che noi non vediamo mai se non quando accade, però di fatto è come uno dei tanti video che vengono prodotti dagli emittenti dell'informazione, e questo lo dimostra il fatto che talvolta si sono verificati dei leaks, delle perdite dagli archivi dei network che hanno mostrato dei video che non sarebbero dovuti essere mostrati, quindi in pratica gli obituary si preparano in anticipo, per questo motivo il nostro non è un falso.”

Quali sono secondo Lei le tre più importanti opere a fumetti mai realizzate?

“Per me Watchmen, la serie di Sandmane Il Ritorno del Cavaliere Oscuro.”

E i tre videogames?

“Sicuramente un gioco fondamentale è Space Invaders, poi Doom, sia perché ha lanciato il genere degli sparatutto in prima persona, che attualmente è uno dei generi più importanti, ma anche per il rilascio del suo engine che ha di fatto aperto un nuovo modo di concepire il rapporto con i consumatori di videogiochi, e poi un ultimo è Super Mario 64che ha introdotto la grafica 3D nel mondo dei videogiochi.”

Davide Aliberti

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