Parlare per accenni, per lampi, per pizzini verbali

 

Parlare per accenni, per lampi, per pizzini verbali

Natalia Ginzburg

Al Centro Archivio delle Donne incontro con Domenico Scarpa su Natalia Ginzburg

L’Università L’Orientale si distingue tra le altre per la presenza di diversi centri di studi e di elaborazione culturale. Tra essi uno dei più attivi è certamente il Centro Archivio delle Donne, diretto dalla professoressa Marina De Chiara, che ha organizzato un incontro con il critico letterario e professore universitario Domenico Scarpa. L’occasione è stata una discussione sulla scrittura di Natalia Ginzburg che esemplifica al meglio l’idea di velocità verbale e leggerezza pensosa, come ha sostenuto la professoressa Caterina De Caprio.

Lo scrittore quando scrive, si trova di fronte a una difficoltà spesso insormontabile: inventarsi un linguaggio parlato. In particolare, nel panorama letterario italiano, c’è il problema di una lingua italiana parlata che si possa portare sulla pagina bianca. L’italiano che sentiamo parlare nelle fiction televisive o in alcuni libri è doppiamente artificiale: non lo parla nessuno ed è parlato in modo posticcio. É una lingua falsa, diversa dall’italiano che parliamo nella vita reale: quest’ultimo, infatti, è costruito per accenni, per lampi, per “pizzini verbali”, in modo che colui a cui ci rivolgiamo capisca il minimo indispensabile. La nostra comunicazione verbale è fatta di puntini sospensivi. C’è, dunque, la necessità di creare una lingua che sia finzione, perché letteraria, ma allo stesso tempo naturale. Il termine fingere deriva dalla radice indoeuropea fig che vuol dire lavorare la creta con le mani. Da fig deriva anche figura e le figure si creano manipolando la creta mentale con le mani mentali: questo è la scrittura.

Natalia Ginzburg rappresenta una caso importante nell’ambito della letteratura italiana, perché è riuscita a creare un italiano parlato che fosse credibile. Questo è stato frutto di un lungo apprendistato: già da piccola aveva un orecchio acutissimo e selettivo per la parola parlata e a dieci anni scrive un testo dal titolo Dialogo, trascrizione delle battute e dei modi di dire che pronunciavano nella sua famiglia. Trenta anni dopo la Ginzburg scrive la sua opera più famosa, Lessico famigliare, costruita a partire da questa tecnica, lavorando su episodi realmente accaduti ed espressioni usate continuamente nella sua casa. È la storia di una famiglia torinese, ebrea ed antifascista, dai primi anni Venti fino all’inizio degli anni Cinquanta. Non si tratta di un romanzo storico: per quanto la storia del primo Novecento sia invasiva nelle vicende, si percepisce continuamente la tramatura del quotidiano e la fedeltà alla verità della memoria acustica. Nonostante sia la storia della propria famiglia scritta in prima persona, la Ginzburg è poco visibile, è soprattutto un occhio che guarda e un orecchio che ascolta ciò che accade intorno.

Lessico famigliare ha segnato una liberazione ma anche momento di esaurimento. Come continuare a scrivere? Dopo aver usato ed esaurito l’utilizzo del pronome “io”, cosa fare? La Ginzburg non se la sente di usare la terza persona, che comporta un’onniscienza dello scrittore difficile da sostenere e da gestire. La soluzione è ripartire da diversi “io” orchestrandoli in modi diversi: moltiplicare l’“io”.All’inizio della sua carriera Natalia Ginzburg scrive soprattutto romanzi e racconti, si occupa di teatro su vari giornali ma non scrive commedie. Quando sulla rivista Sipario si apre un’inchiesta in cui ci si chiede perché gli scrittori italiani non scrivono opere teatrali, la sua risposta è spiazzante: quando si accinge a scrivere la prima battuta “Dov’è il mio cappello?”, sente in essa l’eco di tutte le brutte commedie italiane lette in precedenza. Successivamente a questo episodio, l’amica attrice Adriana Asti le chiede di comporre una commedia. La Ginzburg trova una soluzione geniale: invertire la frase, ponendo l’oggetto, il cappello, all’inizio, visibile in primo piano, facendolo poi sparire. “Il mio cappello, dov’è?”. Da qui nasce Ti ho sposato per allegria, un ‘opera comica e leggera in cui è creato artificialmente un mondo verbale e percettivo simile a quello di Lessico famigliare.

Aniello Fioccola

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