Partire dall'Orientale e insegnare all'Università di Macquarie, Australia
Partire dall'Orientale e insegnare all'Università di Macquarie, Australia
Intervista a Gennaro Gervasio. "Quando mi sono laureato solo l’Orientale offriva in Italia la possibilità di studiare l’arabo in una Facoltà di Scienze Politiche"
Lei si è laureato all’Orientale nel 1998 in Scienze Politiche, con voti 110 e lode, discutendo una tesi su “Intellettuali e politica in Egitto (Il linguaggio della crisi del 1967)”. Relatrice è stata la prof. Corrao. La sua tesi, dunque, è anche oggi di assoluta attualità. Già al momento della Sua immatricolazione i Suoi interessi erano indirizzati verso il mondo arabo?
Decisamente sì, anche se di solito mi piace rispondere che non ricordo perché scelsi arabo. In realtà, agirono nel contempo una grande curiosità verso la vicenda storica della civiltà islamica, che compare solo episodicamente nei manuali di storia per i licei, e la necessità, sollecitata dalla allora vicina Guerra del Golfo (1991), di comprendere meglio le dinamiche politiche del mondo arabo. L’Orientale offriva l’unica possibilità (in Italia) di studiare l’arabo in una Facoltà di Scienze Politiche, e quindi avrei potuto combinare i miei interessi contemporaneistici con lo studio della lingua che ritenevo, allora come ora, mezzo necessario (anche se non sufficiente, con buona pace dei vecchi orientalisti) allo studio serio ed analitico di storie e vicende parallele alla storia occidentale e all’abbattimento degli stereotipi dominanti (purtroppo ancora oggi!). Anche la scelta della tesi, preparata in Egitto per lo più, era dovuta alla necessità di combinare il lavoro critico sul testo con l’analisi storico-politica.
Come ricorda il Suo percorso di studio e le Sue esperienze umane e culturali all’Orientale?
Più che ricordo si tratta di esperienza viva visto che il mio attuale lavoro, una buona parte dei miei rapporti professionali e gran parte delle mie amicizie risalgono agli anni da studente (e poi da dottorando e docente a contratto) all’Orientale. Se dovessi isolare un ricordo, direi la fase eccezionale – di crescita politica, culturale e personale – seguita al movimento studentesco 1994/95.
In quei mesi per me l’Orientale – intesa come comunità di affini prima che ogni altra cosa - era in realtà la mia vera casa.
Gli studi sul mondo arabo erano importanti per la Facoltà di Scienze Politiche, quando Lei si è immatricolato? È cambiato qualcosa, secondo Lei, nel corso degli anni?
Al momento della mia immatricolazione gli studi arabi erano uno dei pilastri ‘areali’ della Facoltà, dove c’erano, se non ricordo male, 5 o 6 docenti incardinati, tutti studiosi di spessore internazionale. Paradossalmente, negli ultimi anni questa situazione di eccellenza è cambiata, proprio quando altre Università hanno cominciato ad ‘attrezzarsi’ sugli studi areali, e medio-orientali in particolare. Questa caduta di interesse non è ovviamente estranea alla mia attuale presenza agli Antipodi; e a distanza di anni continuo a chiedermi perché docenti scomparsi, come uno dei miei maestri Pier Giovanni Donini, o trasferitisi altrove, non siano stati rimpiazzati, laddove altri settori sono stati protetti. Ma è una impressione ovviamente esterna.
Dopo la Sua laurea, ha continuato a lavorare all’Orientale?
La tesi di laurea aveva fatto nascere in me la ‘perigliosa’ passione per la ricerca. Dopo la laurea ho vinto una borsa di studio dottorale sempre nel nostro Ateneo e, dopo una esperienza triennale di post-dottorato in Inghilterra, nel 2006/07 rientrai come docente a contratto presso la Facoltà di Scienze Politiche. Ed è da lì che nel 2008 mi sono trasferito quaggiù a Sydney.
Adesso Lei vive a Sydney e svolge le funzioni di Lecturer presso l’Università di Macquarie, che nel 2009 è stata classificata come la settima Università australiana, secondo “The Academic Ranking of World Universities”. In che cosa consiste esattamente il Suo lavoro?
Una parte fondamentale del lavoro consiste nell’insegnamento di tre discipline all’anno su storia, politica e relazioni del Medio Oriente e del Nordafrica. Sono poi relatore di varie tesi di laurea, master e di due tesi dottorali. Oltre a ciò, ovviamente, cerco di proseguire le mie ricerche sui movimenti sociali e le opposizioni laiche arabe e di animare il dibattito locale sul mondo arabo contemporaneo. Visti gli eventi degli ultimi mesi, quest’ultima attività mi sta prendendo sempre più tempo, per la partecipazioni a dibattiti, trasmissioni radio e televisive e quant’altro, ma ritengo che agendo in un contesto così isolato come quello australiano, contribuire a un dibattito informato sul Medio oriente sia per me un dovere innanzitutto.
Nota rilevanti differenze tra l’Università italiana e quella australiana?
Ce ne sono, ovviamente ma meno di ciò che pensassi. Per esempio, entrambe hanno un elevato tasso di burocratizzazione che però non corrisponde (per quanto ho avuto modo di sperimentare) a efficienza, anche se la mia esperienza a Macquarie è stata finora egregia se comparata al contesto italiano. Per il resto c’è un grosso gap nella preparazione degli studenti a favore di quelli italiani, visto che qui in Australia talune discipline, come la storia, non sono studiate da tutti prima di approdare all’Università. La differenza più significativa, a vantaggio dell’Università australiana, è il tentativo di rompere il monologo del docente fin dal primo anno, prevedendo almeno un’ora di tutorato in cui sono gli studenti a dovere discutere, sotto la guida del docente o di assistenti, gli argomenti affrontati a lezione. L’altra importante differenza è che gli esami si sostengono durante e dopo il corso, grazie a piani di studio calibrati, eliminando la grottesca possibilità, presente da noi, che uno studente sostenga un esame talvolta due anni dopo avere frequentato il corso.
Ritiene che l'Orientale abbia contribuito a darLe un senso di apertura al mondo?
Sicuramente. Non solo, nei miei ricordi di giovane studente, l’Orientale era diverso da tutte le altre Facoltà e Università napoletane per questa apertura, ma le esperienze che i miei studi mi hanno spinto a fare hanno poi concretizzato questi inputs in vita vissuta e nell’acquisizione di un approccio al mondo e all’ “Altro” che è per me il dono più prezioso che debbo all’Orientale e ai miei studi di arabistica che mi hanno portato – e sento di poterlo dire - in giro per il mondo, non solo quello arabo!
Ha conservato parecchi rapporti con docenti e laureati dell’Orientale? La sua esperienza universitaria ha lasciato tracce nella Sua vita personale?
Ho in parte già risposto. Senza andare troppo nel ‘personale’, mi basti dire che non sarei qui a Sydney senza questi rapporti. Infatti, fu il mio amico Luca Anceschi, anche lui laureatosi col compianto Donini e poi trasferitosi a Melbourne per un dottorato sull’Asia Centrale, a mandarmi il bando del concorso della Macquarie e poi a spingermi, letteralmente, a partecipare e poi a partire, una volta vinto il concorso.
Se fosse possibile, tornerebbe in Italia?
È difficile rispondere di no a questa domanda, soprattutto perché il mio cuore napoletano continua a preferire il mare Tirreno all’immenso Pacifico. Però, a parte la ‘appocundria’ da emigrante, dico che tornerei a determinate condizioni, ovvero la possibilità di svolgere il mio lavoro in modo degno, con uno stipendio decente e qualche garanzia contro la precarietà ancora dominante nelle Università italiane. E questa precarietà ha già fatto parecchie vittime tra brillanti giovani studiosi, costretti a lasciare l’Italia o a cambiare lavoro. Fu questa situazione , insieme alla voglia di una nuova avventura, a spingermi a partire per gli Antipodi tre anni orsono.
Infine: una domanda di attualità. Come pensa che evolverà la situazione in Egitto, Tunisia, Libia ecc.? Ci si avvia verso una reale democratizzazione di questi Paesi?
In effetti, l’inverno scorso ha portato cambiamenti epocali nella regione araba, anche se bisogna stare attenti a non confondersi tra i vari contesti nazionali. Il Paese che conosco meglio è l’Egitto e sono convinto che la popolazione sia matura e vaccinata, per così dire, per difendere la conquiste della Rivoluzione dalla possibilità di un ritorno all’autoritarismo. Ci vorrà pazienza perché il dibattito democratico non si improvvisa in poche settimane, ma, riguardo la democratizzazione del mondo arabo, se non ora… quando?
Francesco Messapi - Direttore: Alberto Manco