Polonia Nuova generazione Nowe Pokoleine

 

Polonia Nuova generazione Nowe Pokoleine

Copertina del libro

di Ewa Bal, Napoli: L’Orientale, 2007, 410 pp.

Negli ultimi quindici anni è cresciuta una nuova generazione di giovani autori teatrali i quali vivono in un contesto in cui la strumentalizzazione politica è diventata molto più sottile perché celata dietro il mondo virtuale dei media, che si spaccia per un nuovo modello di vita, per una nuova e credibile realtà in grado di offrire gli assetti familiari da seguire, i modelli sentimentali da imparare e il consumismo come unica religione a cui essere davvero fedele.
La seguente antologia presenta sei testi differenti ritenuti esemplari di quella che viene definita dai critici polacchi "la nuova drammaturgia della generazione porno".
In una delle scene del dramma: La figlia del cacciatore ovvero la Polaccofaga (2005) di Monika Powalisz, la protagonista spara a dei ragazzini che giocano in un campetto di calcio, individua la vittima, la prende di mira e la colpisce, il fuoco a ripetizione è senza pietà. È un’immagine quasi poetica della morte, completamente sganciata dall’asse riflessivo e che si sofferma piuttosto sull’aspetto meramente estetico, come in una sequenza cinematografica alla quale qualcuno, per sbaglio, abbia tolto l’audio. Questa caccia all’uomo, o piuttosto la caccia all’immagine degli uomini morti, viene poi accompagnata nel dramma dalla caccia continua che i media danno all’assassino. In questo doppio gioco dell’immagine della morte (quella poetica, relazionata dalla figlia del cacciatore e l’altra, esplicita e crudele, creata dal potere mediatico) sta il circolo vizioso che si è instaurato tra l’uomo e il mondo della televisione, o meglio tra l’uomo e la realtà virtuale di cui è circondato. È proprio la realtà virtuale che determina oggi la sensibilità della giovane generazione degli autori e del pubblico, e questo non solo in Polonia ma in tutta la produzione teatrale europea, trasformando la drammaturgia contemporanea, la sensibilità estetica del pubblico e la modalità con cui lo spettacolo teatrale viene percepito.
Una vera denuncia dell’aggressività del mezzo televisivo scaturisce indubbiamente dal testo di Jan Klata Sorriso di pompelma (2002) e da Holyfood (2004) di Marek Kochan.
L’azione di Sorriso di pompelma si svolge contemporaneamente in vari luoghi ma la struttura dell’intera piece si basa sul dialogo tra i due giornalisti, inviati speciali della tv polacca a Roma, che nelle vicinanze di piazza San Pietro aspettano la morte di Giovanni Paolo II. I due inviati aspettano con puro cinismo questo evento, intrattenendosi con dei discorsi superflui, perché sanno perfettamente che una relazione dal vivo della morte del Papa darà loro immediatamente una grande visibilità.
Jan Klata non lascia nulla sottinteso, i suoi personaggi rivelano senza la minima vergogna le proprie aspirazioni, scoprono le intenzioni delle loro azioni e, quando parlano, non eccellono in raffinatezza stilistica. Egli ha saputo smantellare i grandi miti retorici della Polonia: la presunta religiosità dei suoi cittadini, la loro dedizione alla patria; tutte le sue opere scritte e messe in scena svelano ciò che si nasconde dietro quell’immagine stereotipata del paese che di solito viene trasmessa dalle televisioni straniere, inclusa quella italiana.
La televisione non è solo un mezzo attraverso il quale fare carriera, è anche garante dell’identità dell’uomo, come dimostra la pièce di Marek Kochan Holyfood (2004). Cecilia, la protagonista di quest’opera, è una tipica ragazza venticinquenne di provincia che vuol dare alla propria vita un senso, possibilmente migliore di quello di sua madre, che oltre a lavorare dalla mattina alla sera passa le ore davanti alla tv. Decide allora, di fare dei provini sottoponendosi ai dettami del mondo dello spettacolo, ai vari manager che sfruttano i mezzi di comunicazione per manipolare l’opinione pubblica, e diventa una perfetta vittima del sistema. Raggiungere la visibilità al costo di acquisire un’identità diversa e preconfezionata, appunto quella di un immagine pubblicitaria di una catena di fastfood chiamata Holyfood. Il nome Holyfood non è casuale, in quanto la catena alimentare, per arrivare meglio al cliente, si serve degli espedienti del linguaggio religioso e vende gli hamburger in una confezione che rappresenta Santa Cecilia con l’aureola in testa. Marek Koachan denuncia così la faccia nascosta del cattolicesimo polacco, o più in generale, della chiesa moderna che certo non disdegna gli strumenti di comunicazione di massa, ma li usa per manipolare i fedeli oppure per trarre vantaggi puramente economici. Anche lui, così come Jan Klata, fa un teatro di inchiesta senza mezzi termini: scena dopo scena, svela il meccanismo di manipolazione che sta dietro l’immagine mediatica, di cui due architetti principali sono un produttore televisivo, Rudi, e un prete, Teo, con straordinarie capacità manageriali.
I primi tre testi rientrano sicuramente nell’ambito del teatro di forte impatto sociale, mentre i tre autori successivi, Amanita Muskaria, Jacek Papis e Michal Walczak, prendono altre strade. Sviluppano una diversa poetica teatrale che pone al centro dell’attenzione i problemi familiari, i rapporti di coppia ma anche il logoramento del linguaggio o meglio la menzogna e le pose linguistiche che dominano oggi la comunicazione interpersonale.
I personaggi di Daily Soup (2006) di Amanita Muskaria hanno delle caratteristiche macchiettisti, a partire dalla Nonna che soffre di demenza senile e ricorda a stento il suo splendido e nostalgico passato a Pietroburgo prima della rivoluzione, e così si propone quasi come una parodia dei personaggi di Cechov. C’è poi il padre, volgare e maschilista, che disprezza la moglie, e tutto quel che è femminile lo definisce una "puttanata". Mentre la madre vegeta per la maggior parte del tempo in cucina, cercando di accontentare i palati della famiglia. L’azione si concentra tradizionalmente intorno alla tavola o intorno alla tv, come segno della modernità dei tempi.
Le prime battute di Pezzo di carne (2004) di Jacek Papis iniziano come se l’autore, un po’ distratto, avesse voluto inizialmente scrivere un romanzo, raccontare una storia che le altre persone avevano vissuto. Molto presto però ci si rende conto che si tratta di un effetto teatrale voluto. Infatti, i tre personaggi: Ewa, Alicja e Tomasz, invece di agire e dialogare come vorrebbe la tradizionale scrittura teatrale, volutamente riferiscono soltanto (usando il discorso indiretto) quello che avevano detto una volta e quello che gli altri avevano risposto. Sembra che l’accaduto di cui stanno perlando, una visita indesiderata dell’amico di Ewa nell’appartamento che i tre giovani condividono, passi in secondo piano. Perché in questa breve pièce nessuna delle versioni citate dai personaggi coincide con l’altra. Ciascuno di loro crede di aver detto cose differenti e ritiene che gli altri abbiano reagito con un’intenzione diversa da quella percepita. Ma quel che conta è che Jacek Papis consapevolmente rinuncia in questo testo a un dialogo teatrale realistico e tradizionale, la cui comprensione da parte del pubblico dipende da una recita convincente degli attori. Lo sostituisce invece con un gioco su quello che si potrebbe definire: la convenzione realistica di un dialogo teatrale. Il realismo viene problematicizzato in Pezzo di carne infrangendo la regola ferrea del dialogo teatrale: la battuta stessa pronunciata dal personaggio.
Con La prima volta (2005), Michal Walczak diverte il pubblico partendo da un pretesto che accomuna tutti i giovani del mondo: la prima volta che si trovano a fare sesso. Non si tratta affatto di una pièce istruttiva per i giovani ragazzi di oggi; l’autore sceglie semplicemente un registro linguistico giovanile e lo usa come filtro per varie convenzioni teatrali di cui si serve costruendo il dialogo. I due protagonisti: lui e lei, in varie scene ripetono sempre lo stesso rito: lui va a casa di lei durante la notte, fuori ha piovuto e quindi lui è tutto bagnato, la ragazza lo invita ad entrare in casa, lui le regala dei fiori e insieme devono passare alla scena di sesso, almeno secondo la pseudo sceneggiatura che avevano stabilito entrambi; eppure ogni volta qualcosa non riesce e sbagliano le battute, oppure si perdono in un gioco a soggetto, sperimentando varie convenzioni varie convenzioni del dialogo tra gli innamorati. Walczak mette a disposizione dei suoi personaggi mille varianti della stessa situazione, moltissime convenzioni dialogiche che, filtrate dal loro linguaggio giovanile, quasi adolescenziale, rimandano comunque a letture scolastiche e a convenzioni linguistiche altrettanto facilmente riconoscibili. Ma la moltitudine delle possibilità crea l’occasione per fuggire dal messaggio e il gioco di convenzioni rende impossibile il dialogo serio; infatti ad un certo punto lui, ripetendo quasi a memoria la solita scena, bussa alla porta di una ragazza diversa, compie i soliti passaggi e non si accorge neanche dell’errore.
Walczak, così come Jacek Papis, problematizza la questione della comunicazione, le cui regole linguistiche e la varietà delle convenzioni impediscono spesso di trasmettere il messaggio. Ma i suoi personaggi non padroneggiano fino in fondo le conversazioni linguistiche di cui si servono, imitando il lessico burocratico o quello scientifico scivolando sulla superficie dello stile, come se la loro conoscenza non provenisse da letture approfondite ma fosse invece trasmessa da un unico mezzo che appiattisce tutti i registri: la televisione.

 

Ewa Bal, Polonia Nuova generazione Nowe Pokoleine: Antologia della giovane drammaturgia polacca, Università degli Studi di Napoli "L’Orientale". Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale, 2007, 410 pp.

Roberta Rosmino

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