Rassegna di cinema iraniano all'Orientale
Rassegna di cinema iraniano all'Orientale
Napoli, 29 aprile 2010 – Continua all’Università di Napoli "L’Orientale" la proiezione di alcuni dei più significativi lungometraggi iraniani sufficienti, nei sei incontri previsti, ad elaborare – e sicuramente da approfondire – spunti e riflessioni sulla storia del cinema persiano tutto
Dal 1960 alla fine del decennio: momento eccezionale per la cinematografia iraniana. Vogliamo in particolare guardare in questi anni pahavi alla tendente – ma comunque tradizionale – reciprocità tra cinema e letteratura.
Buona parte della produzione, fino agli anni '70, cederà la scena ai film commerciali (melodrammi e thriller), ovvero i film della tipizzazione, fenomeno cinematografico stereotipante e aneddotico. La settima arte deve tale inficiazione, dunque gliene attribuisce i natali, a Sharmsâr (Vergogna) di Esmâ‘il Kushân, il primo film iraniano a riscuotere notevole successo in patria. La formula scelta da Kushân verrà ripresa in molti titoli persiani, nei successivi due decenni, tanto da creare un vero e proprio filone cinematografico denominato film-fârsi ("film persiano" originariamente usato per contraddistinguere i film iraniani da quelli stranieri). Si tratta di pellicole che combinano sgraziatamente narrative, numeri musicali, danze, scene d'amore, scene di violenza, vendetta, il tutto condito di un acre moralismo.
Ė doveroso tuttavia, ai fini dell’evoluzione artistica iraniana, riconoscere già negli anni '50 l’agire di molti uomini di lettere che, di ritorno dal Vecchio Continente, verranno influenzati dal realismo italiano, riconoscendo ai propri tipi – una volta ritornati in patria – una caratterizzazione stavolta carica di spessore psicologico d’educazione europea. Ė la Nouvelle Vogue iraniana: la combinazione di elementi tra il poetico e l’ordinario, tra narrazione filmica e documentarismo. Linguaggio estetico, umanistico, nuovo, figlio d’una espressione identitaria prima individuale che nazionale, ma mai globalizzante e nutrita da una spinta creativa riconosciuta ora da un pubblico più vasto di solo quello locale.
Insomma, la fine degli anni '60 vedrà scrittori e poeti della corrente modernista (Golestan, Forough Farrokhzad) muovere i primi passi da sceneggiatori, adattando i propri testi ai codici del grande schermo.
Delle tre fasi di sviluppo del cinema iraniano, riconosciamo alla fase iniziale tutte quelle storie della letteratura classica, patrimonio a cui attingere per familiarizzare lo spettatore con soggetti marcatamente emotivi ma in questo modo riconoscibili; alla seconda attribuiamo l’opera di scrittori colti e indipendenti, padri del cinema d’autore (inteso come altro dal cinema maggioritario). Sono gli anni dal '53 al '79, e gli intellettuali si impegnano nel prendere coscienza e farsi latori di quella società alle soglie della rivoluzione. Ė alla terza ed ultima fase (dal '79 all’epoca post-rivoluzionaria) che guardiamo per datare invece il Cinema del Diavolo – così altrimenti noto per le storie di sesso e corruzione – e l’ingresso di nuovi plot, alla ricerca di forme più originali.
In contraddizione a quest’ultima corrente viene presentato il film previsto per la giornata di oggi: Zemestân, di Rafi Pitts.
Ispirato al romanzo Il Viaggio dello scrittore iraniano Mahmoud Dowlatabadi, It's winter narra una vicenda di emigrazione, disoccupazione e forse d'amore nell'Iran contemporaneo. La costruzione del racconto filmico viene dalla poesia Inverno di Mehdi Akhvan Saless, che con la metafora (anti-censura) del freddo descrive la natura del potere in Iran.
Presentato in concorso alla Berninale nel 2006 (l’anno dell’Orso d’Argento a Offside di Jafar Panahi), il film intreccia due storie di emigrazione e disoccupazione nella periferia di Teheran. Un uomo lascia sua moglie e sua figlia in cerca di fortuna; nello stesso momento Marhab, aspirante meccanico, arriva per sostituirlo in speranze e in matrimonio.
Con un’approssimazione quasi neorealista, ma sempre con un occhio alla composizione visuale, il mondo che si figura in Zemestân registra le ore lente del dopo-lavoro, le relazioni che ne susseguono, la drammaticità del quotidiano nell’impossibilità del protagonista di vivere di solo "good time".
Rielaborazione, adattamento di un adattamento, la letteratura nutre ancora il cinema di Rafi Pitts (Season Five, Sanam), che con la sua terza pellicola intende di proposito sfumare – senza certezze – una storia di uomini e strade sui binari innevati della periferia di Teheran, dove qualcuno è morto e Marhab lascia, almeno per ora, il treno chiudere le porte e partire senza di lui.
Claudia Cacace