Razzismo, Immigrazione e potere dell'Immagine

 

Razzismo, Immigrazione e potere dell'Immagine

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Rassegna di cinema africano e della diaspora a Napoli

Palazzo del Mediterraneo, 16 ottobre - Si conclude oggi la rassegna di cinema africano e della diaspora in Italia organizzata dall'Orientale e che ha visto, dal 14 ottobre, la partecipazione di personalità del calibro di John Akomfrah, il regista inglese di origini ghanesi che negli anni ottanta ha guidato in Inghilterra la trasformazione del discorso pubblico sui e dei migranti. Discorso che in Italia ancora manca: "Abbiamo bisogno - ha ricordato Triulzi - che i migranti in Italia parlino in prima persone di se stessi. È importante per noi, per le prossime generazioni e per l'Europa disporre di film di successo in Italia che parlino di loro e siano realizzati da loro". L'importanza della self representation è il tema anche dell'intervento di Leonardo Di Costanzo: "Il mio gruppo di lavoro, Ateliers Varan, organizza workshop nei paesi in cui il cinema non esiste per insegnare quest'arte alle popolazioni locali. Quando sono stato in Cambogia i ragazzi che dovevano lavorare al progetto sapevano filmare, già conoscevano cioè le tecniche cinematografiche, ma non sapevano raccontare la loro storia, la loro identità. Glielo abbiamo insegnato. Da questa esperienza si è potuto iniziare a lavorare sulla memoria e sul genocidio, cosa che sarebbe stata impossibile con una troupe straniera perché il genocidio era innanzitutto un loro affare, una cosa che dovevano capire, e quindi raccontare, i Cambogiani stessi. Finora in Italia le migrazioni vengono raccontate dal nostro punto di vista, invece bisogna che mettiamo in condizione i migranti di esprimere il loro punto di vista". Mentre le due giornate precedenti si sono concentrate sul ben più consolidato cinema della diaspora in altri paesi occidentali, del cinema della diaspora africana in Italia si occupa la giornata di oggi che prevede, a partire dalle 17, le proiezioni di Alkpegy boys di Vincent Andrew e Simone Sandretti, Soltanto il mare di Dagmawi Yimer e, alle 20, Il sangue non è acqua fresca di Theo Eshetu. Quest'ultimo regista, Eshetu, è un caso particolare di cittadino del mondo, nato a Londra da padre etiope e madre olandese, cresciuto in Inghilterra e educato lì, e dal 1982 trasferitosi a Roma dove attualmente vive. Come regista e autore di istallazioni di Video Art e servendosi della metafora e del simbolismo - gli piace far notare che l'obelisco di Axum è stato dapprima, in Etiopia, simbolo della storia e delle origini di quel popolo, poi, in Italia, simbolo di colonialismo, poi, di nuovo in Etiopia, simbolo di decolonizzazione - Eshetu racconta l' Etiopia il paese delle origini che egli, come gli altri artisti immigrati di seconda generazione, scopre e conosce nel momento in cui lo racconta.

Concetta Carotenuto

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