Ricordi di un Giappone che non c'è più

 

Ricordi di un Giappone che non c'è più

Ragazza che legge a letto (Kusakabe Kimbei)

La mostra “La fotografia del Giappone (1860‐1910). I capolavori” a Villa Pignatelli

Nella Casa della fotografia di Villa Pignatelli è stata allestita una mostra fotografica unica nel suo genere. Il Museo delle Culture di Lugano ha messo infatti a disposizione del pubblico parte della sua collezione di 5185 fotografie giapponesi della fine dell'Ottocento. Questa fu raccolta dal 1973 da Marco Fagioli e poi acquistata dalla Fondazione “Ada Ceschin Pilone” di Zurigo che la diede al Museo in comodato permanente.
Prima esposizione con pezzi originali, la Mostra, inaugurata a Lugano nel 2010, è composta da 154 fotografie divise per tema: Esotismo, Natura domata, Universo femminile, Stereotipi maschili e Grandi Atelier.
L'arte della fotografia giapponese si può considerare una fusione tra la tradizione pittorica locale e la tecnica fotografica occidentale della stampa all'albumina: dopo la stampa, le fotografie venivano colorate a mano da coloristi professionisti che in passato si erano dedicati alla pittura su carta e tessuto o alle stampe xilografiche policrome. Ogni studio fotografico aveva decine di coloristi, spesso divisi per specializzazioni – c'era chi dipingeva gli occhi e le labbra utilizzando un pennello con un solo pelo.
La maggior parte di queste foto furono realizzate per essere conservate in album e vendute ai turisti occidentali che, dopo aver visitato il Giappone, volevano portare via un ricordo del paese tradizionale che stava scomparendo a causa della veloce modernizzazione dell'epoca Meiji (1868-1912) – il sentimento di nostalgia per qualcosa che stava svanendo permea tutte le opere del tempo ed è più forte nelle fotografie presenti nella sala Esotismo, geometrie e mimesi, forse per questo la più affascinante; furono utilizzate anche per illustrare guide turistiche e racconti di viaggio.
I primi album-souvenir avevano una semplice copertina in tela, sostituita presto dalla seta; dalla seta si passò agli orihon, fogli di cartoncino legati e inquadernati da coperte in legno laccato: con sfondo rosso o nero, queste copertine erano lavorate a intarsio con inserti in oro e argento e applicazioni lavorate ad altorielivo di avorio, madreperla e corno. Nella collezione svizzera sono presenti 91 album e nella mostra ne sono esposti due, affiancati da due schermi touchscreen che permettono di sfogliare l'intero album.
Un'intera sala è dedicata ai fiori di Ogawa Kazumasa: grazie alla tecnica della collotipia a colori, Ogawa riuscì a dare maggiore consistenza alle sue opere rendendole più simili a quadri che a fotografie.
Un elemento originale  della Mostra è costituito dalle carte da visita in bianco e nero, ovvero delle piccole foto (6,5 x 9), montate su cartoncini colorati poco più grandi, utilizzate da attori e geishe per farsi pubblicità.
Oltre alle fotografie degli artisti giapponesi, come Ueno Hikoma, Kusakabe Kimbei, Tamamura Kōzaburō, la Mostra propone le opere dei tre principali fotografi occidentali che lavorarono in Giappone, tra i cento fotografi stranieri che furono presenti tra il 1860 e il 1910: gli italiani Felice Beato e Adolfo Farsari e il barone boemo Raimund von Stillfried-Ratenicz.

La Mostra, che resterà a Napoli fino al 3 giugno 2012, è arricchita dalla collaborazione con l'Università degli Studi di Napoli “L'Orientale” che ha organizzato, a cura del professore Giorgio Amitrano, un ciclo di conferenze sulla cultura giapponese ogni sabato mattina, per tutta la durata dell'evento.

Francesca Ferrara

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