In ricordo di Alessandro de Maigret
In ricordo di Alessandro de Maigret
Omaggio allo Studioso scomparso nei giorni scorsi
Da poco più di una settimana è scomparso Alessandro de Maigret, che per trent’anni ha insegnato presso l’Università di Napoli “L’Orientale”.
Era nato a Perugia il 14 agosto 1943, ed è stato – oltre a molti altri incarichi – membro della Missione Archeologica Italiana in Siria (scavi di Ebla), tra il 1970 ed il 1976, e Direttore di Missioni Archeologiche nella Repubblica dello Yemen, dal 1983, a Baraqish, e poi (dal 1998) per gli scavi dell’antica Tamna.
Dal 1980 professore associato e dal 1990 professore ordinario di “Archeologia e storia dell’arte del Vicino Oriente antico” presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”.
Autore di numerose pubblicazioni scientifiche (più di 90 articoli e 5 volumi specialistici), ha pubblicato un bellissimo libro di alta divulgazione: Arabia Felix: un viaggio nell’archeologia dello Yemen, Rusconi, Milano 1996 (ediz. inglese: London 2002, Stacey International).
Alle qualità dello studioso si accompagnava qui una rara padronanza di scrittura: elegante e preciso al tempo stesso, lo stile di Alessandro de Maigret aveva straordinarie capacità evocative. Gliene parlai un giorno, poco dopo aver letto il libro. Accolse le mie espressioni di ammirazione con quella serena “sprezzatura” che era una delle sue cifre come persona.
Era in pensione dal 1° febbraio 2010.
Non sono esperto di Archeologia, e tanto meno di quella del Vicino Oriente antico.
Vorrei rendere omaggio ad Alessandro de Maigret, pubblicando una email che m’inviò il 22 giugno 2004 dopo una nostra conversazione, e che ho sempre conservato come un testo prezioso.
Eccola:
Subject: Rovine e tempo
Caro Francesco,
la necessità d'interpretare le vestigia del passato mi portano spesso ad annullare il tempo. Scavando a Baraqish sono diventato un Mineo e a Yala un Sabeo. Si sta bene con loro, si parla insieme, si mangia, si vive, si sente il divino, e cioè il tutto che comprende anche noi.
Dirai che la mia è una visione ottimista e che dipende dalla deformazione professionale. In realtà non è né buona né cattiva; non è nemmeno una visione: è il frutto di momenti d'estasi tali e quali a quello vissuto da Camus a Jamilah. Non godé forse anche lui esteticamente, e quindi estaticamente, del vento che lo legava al passato rappresentato dalle mute (per lui) rovine? Solo che nel senso di annullamento del tempo avvertì quello, terribile e definitivo, del baratro. Ma perché si sentì obbligato a giudicare qualitativamente (forse moralmente) quel baratro? Secondo me è qui lo sbaglio, perché in realtà quel baratro non è né terribile né definitivo, anzi non è nemmeno un baratro.
I miei amici, gli antichi sudarabici, si stanno sgolando con me per farmi capire che molto meno IO debbo mettere nella ricetta del TUTTO.
Per farti riavere da queste noiose considerazioni ti mando una bella immagine della città dove mi vedo spesso con i Sabei (non sai quant'è bella la loro regina!) e i Minei (Plinio aveva proprio ragione: i loro profumi sono davvero soavi!).
Ciao, Alessandro.
Francesco De Sio Lazzari