Rosanna Borgo: rivedo dunque vedo

 

Rosanna Borgo: rivedo dunque vedo

Rosanna Borgo, "Antonino", 2010

La grandiosità nell’infimo. Grande e piccolo nel gioco delle sproporzioni. Bagni di colori immensi: un’artista visionaria

Rosanna Borgo, lei si è laureata all'Orientale di Napoli. Con chi?

“Con la straordinaria Pia Vivarelli in Storia dell’Arte Contemporanea con una tesi dal titolo Patafisica a Napoli: storia e sviluppi dal Collège de Pataphysique all’Institutum Pataphysicum Parthenopeium. Solo grazie alla sua profonda intelligenza ed apertura, ho potuto trattare quesrto argomento irriverente.”

Coma mai la Patafisica?

“Ho voluto cimentarmi con gli sviluppi dell’Istituto Patafisico Napoletano che aveva ripreso vita col rettorato di Mario Persico dopo la gestione di Luca Castellano. Proprio l’immagine di casa Persico che io già frequentavo, testimone di piacevoli discussioni sull’arte e non, e sempre durante un pranzo o una cena ricca di leccornie preparate da Tina, inseparabile compagna di vita dell’artista, è il nucleo concettuale che fa da filo conduttore di tutto il lavoro, intenzionato ad evidenziare la perfetta simbiosi tra patafisica contemporanea e tradizione napoletana.”

Come ricorda Pia Vivarelli?

“L’ho sempre adorata per quel suo modo di essere distratta e attentissima contemporaneamente. Dolce e infinitamente esigente. L’ho seguita per anni. Sapevo che se le avessi chiesto la tesi sarebbe stato impegnativo. Ma lei, nonostante la malattia, è stata presentissima. È venuta ad assistere alla mia discussione quando stava già molto male. Una docente favolosa con una preparazione eccezionale. Una donna di profonda umanità. Credo che tutti gli insegnanti dovrebbero essere come lei. Un grande esempio.”

Che le ha trasmesso?

“Sicuramente, nell’applicazione, mi ha trasmesso la cura per i particolari e l’amore per la conoscenza. Questo grazie al suo modo di farti scoprire le cose.”

Faccia un elenco, possibilmente breve, di alcuni suoi difetti.

“Presa dall’entusiasmo posso diventare molto irruenta o, al contrario, chiudermi in una dignitosa inattività. I pregi e i difetti secondo me sono interscambiabili e diventano tali a seconda del momento e del contesto in cui ci si trova o della persona che si ha di fronte.”

Rosanna Borgo e la musica.

“Tanta. Dalla classica all’elettronica, alle sigle dei cartoni animati . Il mio interesse per la musica non è limitato. La musica completa spesso i miei lavori. Uso anche quella che non preferisco: ma ne faccio una questione di utilità.”

Che libro sta guardando?

“Volti nascosti, il romanzo di Salvador Dalì. Non molto interessante dal punto di vista stilistico, però mette a nudo qualche aspetto sconosciuto del personaggio. Un romanzo prolisso con qualche punto interessante, che ho ripreso in occasione della sua mostra.”

Che ricordo ha dell’Orientale?

“Ricordo la dispersione e la disorganizzazione e quei docenti che mi hanno lasciato qualcosa. Mi piaceva la Viganoni. Mi ha fatto aprire gli occhi, più che sulle coordinate geografiche, sulle abitudini degli italiani sul tema del territorio, spesso confrontato con altri paesi. Ma anche il modo nuovo di porre la storia dell’appassionato professor Fatica, non più concentrato su schemi e date ma su concetti e curiosità.”

Perché fa quello che fa? Non potrebbe dedicarsi ad altro?

“Sono condannata a restare in un limbo infantile dove il gioco è una cosa molto seria e necessaria. Non ne posso fare a meno ed è l’unica cosa che mi distrae, assorbe e incanala i miei pensieri nefasti.”

Andiamo alle sue opere. Innanzitutto Antonino.

“Antonino è la mia ultima creatura, un grosso bimbo di spazzatura.”

Di solito si dice che il futuro sono i giovani e Antonino sembra addirittura il nome di un bambino.

“Sì. Il futuro sono i bambini. Ho scelto per quest’opera un nome tipico napoletano ma che facesse comprendere il senso affettuoso dei diminutivi popolari, a chi napoletano non è, e ho immaginato che sia il nome di un bambino, cioè di chi ha pochi anni per poter reagire. Mi spiego: i bambini con più anni avranno un’alternativa. Chi sta nella monnezza ora non l’avrà.”

In questo caso è stata la spazzatura. In altri casi cosa la ispira?

“Mi ispirano i luoghi. Quelli dove vivo, quelli dove passo. Mi ispira ciò che fa parte del mio mondo e che mi sta vicino. Osservo le cose durante il mio cammino.”

In Lido Pedamentina i disgraziati sulle macerie sono felici.

“Sì e anche in costume da bagno. Anziché disperarsi stanno come in uno dei migliori lidi a bere qualcosa di buono. Prendono il sole in un gioco del capovolgimento e del paradosso. Gli attori di Lido Pedamentina sono abitanti del quartiere, anzi, siamo, perché anche io abito lì.”

Sempre in Lido Pedamentina l’attacco a un certo modello di pienezza di senso appare totale.

“Sì. Sembrano contenti, felici. Stanno su un cumulo di macerie, in realtà. La protesta è leggibile solo tra le righe ed è una conseguenza dell’associazione mentale che mette in atto il fruitore ma io mi limito a fotografare la realtà per come la vedono i miei occhi: ironia e dramma, convivono in un'unica scena. Considero importante non aggiungere parole, amo l’intensità delle cose che parlano da sole.”

Il colore è molto presente. In Vedo Pedo ci sono cromie di straordinaria grandezza.

“Ho un grande legame con i colori. Sono nata pittrice. Mi piace che l’essere umano diventi come una bambola. Mi piace il vero che diventa finto. Umanizzo le bambole, bambolizzo gli umani. Per farlo il colore può essere indispensabile.”

Le Barbie e i Ken in un modo, i Paciocchini in un altro: nel suo lavoro il tratto etico è ben leggibile.

“Il mix deve essere sempre forte. E bisogna farlo arrivare come uno schiaffo. Fino a un attimo prima ti aspetti una carezza, poi ti svegli.”

E poi ambienti di indicibile miseria o falsità. Uomini e cose plastificati. Cumuli umani dietro una grata che affaccia sul Vesuvio. Una vera schifezza.

“È una foto dei tempi nostri. Tempi di modelli imposti, divertenti come può essere divertente un cavolo a merenda. Cerco di toccare quella distruzione, quell’azzeramento, quel fondo totale dal quale si dovrebbe rinascere. In un modo o nell’altro.”

Un’angoscia opprimente e poi si torna su.

“Questa sensazione d’angoscia non rappresenta né la fine né l’inizio ma ciò che li collega.”

La preoccupazione maggiore resta quella relativa all’infanzia.

“Confermo. I lavori in cui tocco questi temi sono duri. In particolare Vedo Pedo è stato difficile. Agghiacciante e deprimente, seppur condito con questa falsa riga ironica che in qualche modo sottolinea la leggerezza di un dramma che sconvolge. Un dramma che sta sia da una parte che dall’altra. Prendo atto della disperazione umana e , in questo caso, all’impossibilità di uscirne.”

Oltre ad Antonino, a che cosa sta lavorando?

“A tre o quattro cose contemporaneamente, negli ultimi due, tre anni. Ad esempio proprio a Quartieri, che non ho ancora completato. Palazzine in tre quartieri diversi. Nei miei lavori c’è sempre un po’ il gioco del paradosso e degli opposti che convivono: si tratta di situazioni di vita quotidiana. Ci sono elementi reali. Ho riutilizzato reinventandoli a mio modo elementi del presepe napoletano. Ho usato la plastilina per il contrasto del colore. La plastilina dà molto il senso di gioco, infatti in questi ultimi lavori l’aspetto ludico è presentissimo. Questo momento è il risultato di un percorso. Un percorso lungo. Precedentemente quando facevo pittura, mi prendevo sul serio. Facevo arte attingendo ad una dimensione meditativa. Ora no. I lavori che vedi sono ispirati ai giochi della mia infanzia. Ma rinascono senza inutili psicologismi e senza tralasciare le esperienze, i traumi di quando avevo quattro, cinque, sei anni, eccetera. Però il mio divertimento è lo stesso.”

Anche Incurabili ha qualche zona di innegabile divertimento. Un disorientamento scioccante per il fruitore dell'opera.

“Sto riproponendo in ogni punto tutte le cose che ho vissuto personalmente ma pensavo anche di estrapolare questo lavoro dal progetto iniziale, e svilupparlo in video. Vorrei fare delle riprese in una clinica. Sto pensando se restare così, col progetto iniziale, o no. In effetti, tutte le scene potrebbero rientrare in un mio progetto che riguarda il dolore che sia fisico o spirituale o etico. Anche questo è ispirato al presepe. Ci sono, nei miei lavori , sempre contaminazioni e richiami artigianali. In ogni angolo ritrovi il gusto delle cose: dove c’è quello che si lamenta c’è quello che gioca a carte, oppure bambini che si rincorrono. Non è il mio pensiero che va a formare un’immagine: è la realtà ad essere fatta così!”

Barbie e Ken: a un certo punto lui la punta col mitra.

“Sì, perché nel mondo dei ricchi lussuriosi – dico quelli che sicuramente non ce la faranno a passare per la cruna dell'ago nemmeno su questo mondo – nelle feste, c’è di tutto e le ragazze non mancano mai. Non manca il vuoto ma nemmeno momenti poetici che sfuggono al controllo dei cinici. E poi non posso spiegare questa scena: la domanda dice tutto, e l’osservazione fa il resto.”

Alberto Manco

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