Scambio culturale tra giapponesi e occidentali
Scambio culturale tra giapponesi e occidentali
A Villa Pignatelli la professoressa Lucia Caterina ha tenuto la conferenza “L'arte del Giappone incontra l'Occidente”
Una delle immagini che meglio rappresenta l'interazione che i giapponesi hanno sempre avuto con l'Occidente è l'opera Incontro tra Giappone, Cina e Occidente del pittore Shiba Kōkan (1747-1818): un giapponese è seduto ad un tavolo tra un cinese ed un occidentale.
Il primo contatto con gli occidentali avvenne nel 1543 quando nel sud del paese arrivarono i portoghesi. Questi furono accolti con molta curiosità in quanto portarono in Giappone tecniche e conoscenze fino a quel momento sconosciute – le armi da fuoco, il tabacco, le costruzioni in murature – dando via alla nascita di una nuova forma artistica d'ispirazione straniera.
Dato che i portoghesi erano chiamati Nanbanjin, uomini del sud, l'arte a loro collegata è detta Nanban. Quest'arte si sviluppò seguendo due percorsi diversi: da una parte gli stranieri erano rappresentati su oggetti che appartenevano alla tradizione giapponese, dall'altra si lavorava su commissione portoghese producendo oggettistica di forma occidentale destinata agli stranieri in loco o all'esportazione. Tra i pezzi più caratteristici c'è una coppia di byōbu, i paraventi, di Kanō Naizen composta da sei pannelli su cui è raffigurato l'arrivo di una nave portoghese. Nella rappresentazione di questi soggetti le tematiche erano fisse: fondo oro, nave scura, uomini riportati in modo quasi caricaturale con strani copricapi, pantaloni rigonfi e abiti scuri.
I prodotti per l'esportazione erano lavorati con l'arte della lacca (maki-e) ed intarsiati in madreperla; oltre il mobilio in stile occidentale, molto comuni erano gli oggetti di tipo religioso, come leggii, scatole per le ostie e altarini.
Nel 1639 i portoghesi furono cacciati dal Giappone ed il loro posto fu preso dagli olandesi. Questi non ebbero grande libertà di movimento in quanto furono confinati sull'isola artificiale di Deshima nella baia di Nagasaki.
I giapponesi però erano molto interessati a conoscere l'Europa e quello che succedeva in Occidente e quindi spesso entravano in contatto con gli olandesi per poter usufruire dei loro numerosi libri e stampe; nacque anche un filone di studi, il rangaku, dedicato agli olandesi.
Oltre la lacca, molto apprezzata in Europa era la porcellana. A differenza della Cina, in Giappone l'arte della porcellana non aveva avuto un grande sviluppo; era preferita la terracotta perché permetteva di apprezzare meglio la mano del vasaio, preferenza figlia di una concezione estetica completamente diversa da quella cinese. Ma a causa dei problemi politici cinesi interni, gli olandesi furono costretti ad accontentarsi della porcellana nipponica. All'inizio questa porcellana era un'imitazione dei modelli cinesi apprezzati in occidente. Ad un certo punto però si ebbe un'inversione di tendenza: in Giappone iniziò la produzione delle porcelle imari (decorazioni policrome in rosso, blu e oro) e kakiemon (fondo bianco e predominanza del color kaki), talmente apprezzate che quando si riaprirono i commerci con la Cina gli europei chiesero agli artigiani locali di imitare i modelli giapponesi.
Anche a Napoli sono presenti collezioni di oggettistica asiatica. La più importante si trova nel Museo Duca di Martina: i pezzi sono soprattutto cinesi, ma si possono ammirare anche porcellane imari e kakiemon, lacche, coppe da sakè e netsuke, piccole sculture in avorio che servivano per reggere alla cintura del kimono i contenitori inrō. Alcuni bronzi e porcellane fanno parte della collezione del Museo Artistico Industriale, mentre la collezione forse più corposa di pezzi giapponesi si trova al Museo Filangieri, purtroppo però al momento non è più aperto al pubblico.