Shakespeare in India: la riconversione di un’icona nella cultura indiana

 

Shakespeare in India: la riconversione di un’icona nella cultura indiana

La copertina del testo Shakespeare in India

Il Centro Archivio delle Donne e il Dottorato in Studi Culturali e Postcoloniali del Mondo Anglofono hanno presentato “Shakespeare in India”, a cura di Lidia Curti e Alessandra Marino

Shakespeare in India (Editoria & Spettacolo, collana Disseminazioni, 2010, pp. 274) è una raccolta di saggi curata da Lidia Curti, professore onorario di Letteratura inglese all’Orientale e Alessandra Marino, dottore di ricerca in Studi Culturali e Postcoloniali del Mondo Anglofono, che ruota intorno alla figura di Shakespeare così come metabolizzata nella cultura indiana, analizzandone il passaggio da emblema della colonizzazione britannica a spunto di nuove forme di riflessione che sembrano esorcizzarne la presenza.
La professoressa Rossella Ciocca, docente di Letteratura inglese all’Orientale, ha esaminato a fondo il volume in cui l’immagine shakespeariana viene presentata come “icona da smantellare, da riconvertire e far circolare nella cultura indiana”. In uno scenario come quello offerto dall’India, già di per sé estremamente frammentato e variegato, la produzione di possibili tracce critiche rispetto all’opera di Shakespeare appare come un enorme mosaico di complessità: da strumento per assolvere la funzione educativa richiesta in periodo coloniale, vessillo di “britannicità”, canone letterario imposto con violenza, si assiste ad un graduale declino della figura di Shakespeare, ad un apparente tramonto che ha via via riportato in auge lo scrittore attraverso una stagione vitale altamente creativa correlata proprio al rimaneggiamento delle sue opere. Una sorta di rinascita che si basa proprio su ciò che più veniva rigettato, su ciò che appariva come ormai obsoleto e pericoloso. Ciocca ha mostrato poi degli esempi di quanto detto tramite la proiezione di estratti da Shakespeare Wallah, film del 1965 diretto da James Ivory e Omkara del 2006 di Vishal Bhardwaj.
La parola è passata poi a Maurizio Calbi, docente di Letteratura inglese all’Università di Salerno, che si è innanzitutto soffermato sulla copertina del libro, un fermo immagine tratto da In Othello, film del 2003, diretto da Roysten Abel, e ne ha approfittato per discutere ancora una volta delle riletture dell’opera shakespeariana, rivisitata in chiave contemporanea e spesso ironica: questa sembra infatti invadere la vita reale, sotto forma di una forza che Calbi ha definito “seduttiva, potente, pericolosa”. A proposito di rappresentazioni teatrali messe in scena al cinema il docente ha poi mostrato un estratto da “Cosa sono le nuvole?” episodio di Capriccio all’italiana, film del 1967 di Pier Paolo Pasolini.
Questo tipo di produzioni sottintende un nuovo modo di concepire l’ibridità come imitazione che “afferma e stabilizza” la cultura di origine quanto quella di arrivo.
Ed è quanto affermato anche dalle due curatrici del libro: Lidia Curti ha definito in questo senso Shakespeare come “catalizzatore nel bene e nel male” di una memoria che appare tutt’altro che lineare. Teatro, cinema, nuovi media, linguaggi digitali sono strumenti portatori di un potere trasformativo che serve a rinnovare il testo shakespeariano. Tema sviscerato dalla stessa Alessandra Marino che ha focalizzato l’attenzione su quella che ha definito una “risignificazione del linguaggio egemone, attualizzato e deviato dalla sua ortodossia” .
 

Francesca De Rosa

© RIPRODUZIONE RISERVATA