Stefano Casi: vi parlo delle strisce di Copi
Stefano Casi: vi parlo delle strisce di Copi
Un'occasione irripetibile per ricordare la maestria di Raúl Damonte
Stefano Casi, su cosa è incentrato il suo intervento alle Giornate di studio “Un ambiente fatto a strisce”?
“Seguirò la richiesta specifica che mi ha rivolto il prof. Alberto Manco invitandomi alla Giornate da lui organizzate e parlerò di Copi, un autore che amo molto, che ha avuto grande successo in Italia qualche decennio fa (era uno degli autori di punta di Linus) e che ora è un po' dimenticato, purtroppo. In particolare mi concentrerò su due aspetti: sulla teatralità delle strisce di Copi, che sono caratterizzate da un'idea di spazio e di tempo molto teatrale, con sospensioni dell'azione e della parola che danno il ritmo alla lettura, e dall'altra parte su una sua opera di surreale graphic-novel (anche se forse è improprio definirla così), Un libro bianco del 1970, che innesca un fortissimo rapporto con il lettore.”
Come si è avvicinato all'ambiente a strisce?
“A parte l'avvicinamento a questo mondo come normale fruitore, e quindi fin da bambino, come studioso ho iniziato a ragionarci proprio con Copi. Io vengo da studi teatrali, e quindi proprio l'impegno ambivalente di Copi come teatrante e fumettista mi ha portato ad addentrarmi in questo mondo, sia pure cautamente, anche in un'altra veste.”
Fumetto, graphic novel, graphic journalism: quali le differenze?
“A parte le più classiche definizioni, credo che un aspetto importante per capire le differenze sia il rapporto con il lettore. Il fumetto è soprattutto una scheggia micronarrativa (o medionarrativa) conficcata dentro la giornata di un lettore; la graphic novel è un viaggio che porta il lettore dentro il proprio mondo narrativo; il graphic journalism chiede al lettore di confrontarsi con se stesso e il mondo che lo circonda.”
Graphic novel: cosa rappresenta per lei?
“Come dicevo prima, l'occasione per essere risucchiato in un viaggio.”
Il fumetto e l'ecologia: una relazione connaturata?
“No, non direi. Il fumetto è un mezzo espressivo e come tale mi sembra piuttosto neutro.”
Ci fa un esempio di comunicazione, a suo parere ben riuscita, attraverso il fumetto?
“Non saprei proprio che esempi fare. Credo che la comunicazione attraverso il fumetto riesca nel momento in cui riesce a ottenere i suoi scopi. Detto questo, il successo di molti fumetti ne dimostra automaticamente la loro riuscita.”
Come è cambiata la percezione del fumetto negli ultimi cinquant'anni? E i suoi contenuti?
“Non ho seguito con molta attenzione l'evoluzione, ma credo che ormai il fumetto sia stato ampiamente sdoganato da quella zona per ragazzi o per appassionati in cui è rimasto a lungo. E proprio la graphic novel ha contribuito in maniera sostanziale a questa evoluzione. D'altra parte continuo a ritenere che il disegno sia profondamente infantile come espressione (esattamente come il teatro) e che quindi il fumetto debba rimanere sempre in un limbo magico che è la sua peculiarità e la sua forza, anche quando affronta temi complessi e adulti.”
Qual è il lettore ideale di fumetti?
“L'ho appena detto: il bambino. O l'adulto che sa aprire spiragli di godimento infantile nella propria giornata.”
Ci sono temi che si prestano meglio o peggio al racconto tramite il fumetto? Se sì quali?
“No, credo che il fumetto possa (e debba) affrontare qualsiasi tema.”
La costruzione dell'immaginario del lettore è “guidata” nel fumetto dalle immagini (anche sonore) che fanno da contesto alla scena. In questo senso, rispetto ad un romanzo o racconto scritto “tradizionale”, nella trasposizione da una lingua ad un altra c'è una parte del racconto (una parte fondamentale) che resta immutata. Rispetto all'immediatezza delle immagini, quanto contano le parole nel fumetto?
“Non c'è dubbio che la chiave di volta del linguaggio del fumetto sia l'immagine, e da un po' di tempo anche la composizione grafica complessiva che straripa oltre le cornici predefinite, come sappiamo. Detto questo, se un fumetto comprende le parole, queste sono assolutamente fondamentali. Il fumetto non è semplicemente arte visiva, ma narrativa: si può narrare solo con le immagini, certo, ma se l'autore ha inserito delle parole, queste sono concettualmente paritarie rispetto all'immagine. Ovviamente ci saranno fumetti in cui l'elemento visivo è preponderante rispetto a quello verbale o viceversa, ma il senso della presenza di questi due elementi è assolutamente paritario.”
Quali sono secondo lei le motivazioni della minore (o tarda) attenzione rivolta a questo genere nell'ambito degli studi letterari e accademici in generale?
“Storicamente questo fatto è comprensibile, come in tutti i casi in cui un'espressione sviluppatasi marginalmente rispetto alle muse classiche si è lentamente emancipata mostrando tutte le proprie potenzialità. È accaduto anche con il cinema, per dire... Adesso c'è l'onda lunga di questo atteggiamento, che si configura più che altro come ignoranza o snobberia. Comunque ricordo qualcosa di molto più sconcertante, e cioè che una delle arti più antiche del mondo, e cioè il teatro, è entrato come disciplina di studio nelle università soltanto sessanta anni fa, con un ritardo di qualche migliaio di anni... E tuttora studiare teatro è visto con sospetto.”
Qual è il suo fumetto preferito?
“Non ho un fumetto preferito. Per ragioni generazionali ho molto amato prima le storie del Corriere dei ragazzi nei primissimi anni Settanta (con autori straordinari come Milani, Castelli, Bonvi, Silver, Sclavi), e poi il fumetto dei primi anni Ottanta, quello della grande rivoluzione di Frigidaire, Valvoline, Alter Alter... Diciamo che sono eclettico: da Jacovitti a Moebius, da Stefano Ricci a Ralf König, da Asterix a Zanardi.”
Ha mai letto un fumetto in lingua straniera? Qual'è la bellezza della lettura in lingua originale, quali le perdite nella trasposizione in un'altra lingua e dunque cultura?
“Non mi è mai capitato, ma mi ha dato uno stimolo interessante...”
Quale ruolo ha o può avere il fumetto nella mediazione interculturale, anche considerando la sua vasta circolazione?
“C'è da dire che sono sempre un po' perplesso sugli usi strumentali dei mezzi artistici (e io considero il fumetto un'arte). Ma sicuramente la possibilità che il fumetto possa creare una rete di collegamento tra culture o addirittura contribuire attivamente a scopi di mediazione interculturale è interessante. Da questo punto di vista, anzi, mi sembra possa essere uno strumento privilegiato, se non altro verso i bambini e i ragazzi.”
Quale ruolo può avere il fumetto nella formazione ed educazione dell'individuo, considerata la sua diffusione in fasce d'età molto giovani?
“Come dicevo, personalmente non amo usi strumentali di queste espressioni artistiche, quindi non mi interessano tanto i temi che un fumetto può affrontare. Molto più interessante, invece, mi sembra il ruolo che il fumetto può giocare proprio come mezzo espressivo in sé, portando i ragazzi a interagire con un sistema di comunicazione e rappresentazione che stimola le attitudini grafiche e quelle narrative, e soprattutto la loro combinazione. Insomma, mi sembra che leggere i fumetti e soprattutto provare a crearli possa essere una pratica formativa molto utile in sé e per sé, proprio per far esprimere la fantasia e d'altra parte per far maturare le capacità organizzative di quella stessa fantasia. Se poi i bambini e i ragazzi facessero come accade spesso nel mondo del fumetto, in cui capita che autore della storia e disegnatore non coincidano, allora anche questo lavoro in tandem finalizzato a una narrazione complessa credo che costituirebbe una straordinaria occasione formativa.”
Perché nel titolo di un libro del 2008, ha giudicato il teatro di Copi inopportuno? Quali sono le tematiche principali del teatro di Copi?
“Il teatro di Copi non è mai dove si crede che sia in quel momento. È un teatro tragico e comico al tempo stesso, grottesco e surreale, dove l'identità si moltiplica a dismisura fino a perdersi; dove lo spazio (letteralmente) esplode fino all'astrazione assoluta della scena e della parola; dove un personaggio è indifferentemente uomo o donna, vivo o morto; dove accadono le peggiori efferatezze, violenze, stupri, torture, eppure si ride; dove tutto è improntato all'anarchia, anche politica, più sfrenata, ma all'interno di strutture drammaturgiche raffinatissime; dove la morte regna sovrana senza essere mai presa sul serio, perfino quella di Copi stesso che, sul suo letto di morte malato di Aids, ha scritto una commedia in cui si parla di un teatrante sul letto di morte malato di Aids, dimostrando così di saper ridere perfino della propria fine, e obbligando i suoi amici più cari a sbellicarsi dalle risa quando la commedia stessa debuttò in teatro proprio pochi giorni dopo la sua morte. Quella commedia si intitola Una visita inopportuna: da qui ho preso l'aggettivo, che mi sembra inquadrare perfettamente l'intero teatro di Copi, e cioè un teatro sconveniente, indiscreto, capace di affondare il coltello nelle nostre angosce più nere, ma spiazzandoci continuamente.”
Quali elementi ha portato Copi dal teatro al fumetto e viceversa?
“Per certi versi, il teatro di Copi sembra un fumetto per come l'autore fa esplodere tutte le aspettative logiche di una normale commedia o dramma, e non è un caso che spesso chi mette in scena le opere di Copi lo faccia evidenziando il loro aspetto fumettoso. D'altra parte, tanto per far intuire meglio la follia delirante di alcune opere di Copi, i suoi testi teatrali contemplano talvolta personaggi animali, in particolare topi, che interagiscono normalmente con gli umani. Dall'altro punto di vista, i fumetti di Copi prendono dal teatro, come dicevo all'inizio, un senso del ritmo spazio-temporale fortissimo. In quasi tutte le sue storie ci sono momenti in cui nessun personaggio parla e agisce: semplicemente sta fermo e zitto, anche per molte vignette di seguito. La forza di quel silenzio e di quel vuoto è fortemente teatrale, prende in contropiede le aspettative di chi legge, evidenzia lo stesso meccanismo di rappresentazione teatrale che le sue strisce hanno. E se chi mette in scena le sue opere teatrali sceglie spesso una chiave fumettosa, d'altra parte ci sono molti che hanno portato in scena i suoi fumetti, praticamente senza cambiare assolutamente nulla, dimostrando così l'assoluta permeabilità in Copi dei due linguaggi.”
Che tipo di mezzo di comunicazione era il fumetto per Copi? Per lui era più diretto il fumetto o il teatro?
“La passione per il fumetto e per il teatro nascono in Copi insieme, fin da bambino: da sempre sono due facce della stessa necessità espressiva. Copi nacque in Argentina (in Francia arrivò in esilio solo nel 1962, poco più che ventenne), ma aveva una cultura cosmopolita fin da ragazzo, visto che la sua era una famiglia un po' pazza di intellettuali, artisti e politici, amici di personalità come Borges o Neruda, e al tempo stesso costretta a fuggire all'estero dai vari colpi di stato. Insomma, per Copi non c'è assolutamente una distinzione di importanza tra fumetto e teatro: e però non c'è mai confusione, nel senso che il fumetto ha una profonda cognizione delle sue fondamenta visive e ci gioca con raffinatezza, mentre il teatro è realizzato con una sapienza drammaturgica di grande cultura. Per spiegarmi meglio: è vero che il fumetto assorbe dal teatro e viceversa, ma il miracolo di Copi è saper inserire un linguaggio nell'altro nel rispetto delle rispettive caratteristiche.”
Pasquale De Candia