Storia della menzogna. Finzione o colpa?

 

Storia della menzogna. Finzione o colpa?

Secondo appuntamento del ciclo di Seminari su Menzogna e Politica curato dalla professoressa Rossella Bonito Oliva

Napoli – 14 marzo 2012. Archeologia della Menzogna. Potrebbe essere questo il sottotitolo della lezione seminariale che Domenico Silvestri ha tenuto oggi a Palazzo Giusso. Mediante l’analisi etimologica, Silvestri ha mostrato l’evolversi nel tempo e nel linguaggio del significato dei termini storia, menzogna, finzione e colpa. Da questi termini Silvestri è passato ad analizzare un termine vicino, quello di bugia. Il seminario costituiva il secondo incontro del ciclo Menzogna e Politica organizzato e diretto dalla professoressa Bonito Oliva. Il 7 marzo c’era stato l’incontro inaugurale con Bruno Accarino dove si era parlato dei rapporti tra le metafore animali e il loro impiego in politica. Questa volta invece si è trattato di affrontare un’analisi genealogica del campo semantico della menzogna. Finzione o colpa? Pone la domanda il titolo del seminario. In realtà, secondo Silvestri, esso pone i due termini sia in rapporto di opposizione sia in rapporto di congiunzione. Per arrivare alle sue conclusioni egli sfoglia strato dopo strato le sedimentazioni accumulate sul significato iniziale delle parole. Portando alla luce le radici indoeuropee delle parole analizzate appare come questi termini abbiano avuto in passato dei significati ben precisi che col tempo hanno subito uno slittamento semantico continuo. Per questa ragione il significato delle parole che usiamo oggi è il frutto di questa stratificazione. Scopriamo così che il primo ad utilizzare la parola storia è stato Erodoto. Tuttavia per il grande storico greco la parola historie, diventata in latino historia, aveva il significato di “conoscere per aver visto”. L’origine della parola è infatti dalla radice indoeuropea *wid- che significa “vedere”, ragion per cui l’originario significato implicava una dimensione di testimonianza diretta: la storia era coincidenza di quanto raccontato con quanto visto. Lo stesso lavoro è stato fatto da Silvestri per gli altri termini presi in esame. Ne risulta così un angolo inusuale dal quale vedere alcuni dei termini che usiamo ogni giorno. Così la parola menzogna aveva una contiguità semantica con il pensare e la memoria, la parola finzione invece era attinente al modellare con l’argilla, cioè al rappresentare. Ed è stato proprio l’uso quotidiano a provocare quella stratificazione di sensi che ne ha deviato il senso fino a identificarla con la rappresentazione. Ma la ricerca di Silvestri non si è fermata qui. Egli ha infatti allargato il campo della sua ricerca alla parola bugia. Partendo da una ricognizione nelle diverse lingue antiche il professore arrivare ad analizzare il ricorrere della bugia fino ai giorni nostri. La lingua sumera, la Bibbia, i poemi omerici sono una fonte inesauribile di notizie e di esempi. Ma qual è il luogo in cui si produce la menzogna? La risposta è, ovviamente, il linguaggio. Ed è quello che si dimostra con l’acuta analisi di un passo di Aristotele. Il brano in questione è tratto dal Perì Hermèneia (16a 3 - 8) dello stagirita (noto anche come De Interpretatione). Il brano è uno dei più studiati, non solo per l’importanza del passaggio ma anche per le difficoltà interpretative. È uno dei passi in cui si fonda la distinzione aristotelica tra segno e simbolo. Confrontandosi con il testo originale, Silvestri ha messo in rilievo come il filosofo greco aveva individuato una distinzione fondamentale tra simboli e segni. Mentre i primi agiscono in praesentia i secondi non necessitano della presenza della cosa a cui fanno riferimento. Questo comporta la possibilità di dire il falso in quanto ogni possibilità di verifica è negata. E dire il falso è la tematica ricorrente del Pinocchio di Collodi. La storia del burattino bugiardo è un continuo ritornare di situazioni in cui la bugia è messa in atto. Con questo incontro Silvestri ha mostrato che i termini della lingua che usiamo tutti i giorni non sono per nulla neutri, ma nascondono una stratificazione di significati che a lungo andare li ha allontanati dal loro significato originario deviando così il rapporto tra la parola e la cosa. In questo modo il linguaggio è sempre menzognero, diventando un’interpretazione a sua volta. Certo, ci sarebbe da discutere se anche la percezione sensibile non sia frutto di una interpretazione. Ma in questa sede ci basti avere sapere che ogni volta che usiamo il linguaggio stiamo compiendo un atto interpretativo che ci allontana irrimediabilmente dalla cosa a cui facciamo riferimento.

Salvatore Chiarenza

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