The Swahili language odyssey
The Swahili language odyssey
Napoli, 27 maggio 2010 – Nell'ambito delle attività del Dottorato di Ricerca in Africanistica – programma Erasmus, mobilità docenti – il professore Jean de Dieu Karangwa (INALCO, Parigi) tiene una lezione sulla lingua kiswahili, dalle origini alla modernità
Le parole soffrono – a scapito dell’immaginazione visiva – il contrasto tra i rumori di piazza San Domenico Maggiore e il discorso di terre lontane, le cui tappe sono tutte disposte lungo le coste dal Kenya al Mozambico. Il primo passo è la definizione stessa di lingua ibrida o, piuttosto, di vera e propria lingua bantu. Diversi infatti i ricercatori (Johnson, Reusch) che, in seguito ai matrimoni contratti tra gli immigrati arabi e le donne della costa orientale africana, considerano lo swahili il risultato di una prolungata influenza tra l’arabo e il bantu. Si tratta di ripercorre lessico-sociolinguisticamente prestiti, aspetti culturali e fisici – islam, modo di vestire, tratti somatici. Molti altri invece gli studiosi che giudicano lo swh una lingua bantu, appartenete al sottogruppo delle lingue Sabaki, e che supportano questa ipotesi evidenziando aspetti legati alla morfologia (noun-prefix), alla sintassi (noun+verb+complement) e al lessico.
Più probabilmente databile dopo l’anno 100 A.D., restano due le ipotesi di localizzazione originaria dello swh: ipotesi monogenetica (è apparsa sulle coste del Kenya per poi migrare al sud attraverso fratture dialettali) e ipotesi poligenetica. Per quest’ultima, il kiswahili di per sé non sarebbe mai esistito se non per la diacronicità con cui molti dialetti sono venuti in contatto con prestiti dalla lingua araba [Massamba]. Il termine swahili – come glossonimo – è recente e non propriamente legato alla lingua (Ibn Battūta, 1333). Il testo più antico risale al XIX secolo, ma restano poche le testimonianze scritte, per di più trascritte in alfabeto arabo e tradotte in swh. Culturalmente, sono popoli legati alle attività di commercio e pesca, storicamente aperti alle genti del subcontinente indiano e della penisola araba.
Il 1498 è l’anno della conquista (costiera) portoghese – si sottolinea la superficialità della dominazione territoriale per delimitarne il conseguente influsso sulla lingua. Inizia nel 1752 l’era Omani, ovvero il ritorno degli arabi nella politica, nell’economia, nella vita artistica e culturale, dunque nella linguistica del posto. Zanzibar diventa la capitale del sultanato, Ustaarabu il modo di vivere arabico, la letteratura islamica tra i primi promotori del passaggio dall’oralità alla scrittura. L’espansione coloniale porta con sé carovane cariche di merci ed influenze da vendere. Sono vere e proprie comunità costrette dalla necessarietà della comunicazione ad utilizzare, tra le lingue bantu, lo swahili come lingua franca. E allora, swahili come strumento di colonizzazione, prima tedesca poi inglese e belga. Ė il periodo della continuità nella ricerca della swahilization in tutti i settori, dell’introduzione dell’inglese, della standardizzazione – con la scelta della varietà kiunguya – e dell’appropriazione della lingua da parte dei colonialisti (kizungu, lingua degli europei). Swahili come strumento di indipendenza, prima voce del risveglio politico e mediatico, cemento per l’unità nazionale in Tanzania, in Kenya, ma ultimamente scalzato dall’inglese – sintomo dell’era globalizzante all’interno di una politica capitalistica – tutt’ora dominante. Ė il caso del Ruanda, dove si preferisce l’inglese in risposta allo swahili parlato dalle forze dell’ordine. Ė il caso di paesi come l’Uganda e il Congo (vedi l’imperialismo linguistico della famiglia Lingada) dove lo swh è diventato un’imposizione, per trasformarsi ben presto da lingua dei liberatori a lingua dei nuovi oppressori.
Dunque, strumento di indipendenza/regionalismo, liberazione/oppressione, globalizzazione e rapide evoluzioni, lo swahili (lingua ufficiale della East Africa Community e dell’Unione Africana) resta oggi una questione aperta nelle mani dei 80-100 milioni di parlanti distribuiti in gran parte dell'Africa subsahariana.
Claudia Cacace
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