Un archivio per ricordare

 

Un archivio per ricordare

Il professor Alessandro Triulzi ascolta i relatori

Si conclude con gli ultimi panel in programma la Conferenza di Studi Africanistici

Palazzo del Mediterraneo, 2 ottobre – Si è conclusa oggi la tre giorni dedicata agli studi africanistici per celebrare i cinquanta anni d'indipendenza africana con una riflessione meditata sul vecchio continente. Il continente, si è ricordato in questi giorni, in cui l'homo sapiens ha mosso i primi passi ed è partito alla colonizzazione dell'Europa. Tre giorni fitti d'impegni, ma non c'era segno di stanchezza nei relatori del panel Per un archivio delle memorie migranti, narrare, conservare, condividere, e nemmeno nel pubblico di studiosi che non voleva porre fine al dibattito anche se, ormai, bisognava correre alla seduta plenaria per il bilancio dei lavori.
Le relazioni di Valerio Petrarca, Luigi Gaffuri, Monica Bandella hanno affrontato il tema doloroso dei viaggi dei migranti e dei rifugiati, ma da un punto di vista nuovo: quello della necessità di documentarli e di mantenerne la memoria. Un'esigenza che diviene impellente in un mondo senza memoria, dove persino la strage di San Gennaro del 2008 (quando a Castel Volturno per mano della camorra persero la vita sei africani) viene già negata da vergognosi revisionisti. Di qui il lavoro svolto dall'associazione Asinitas per un Archivio delle Memorie Migranti in cui le testimonianze dei viaggiatori – siano essere narrazioni scritte, registrazioni audio o video, oppure testi elaborati durante i laboratori di lingua italiana, o ancora disegni o oggetti materiali – vengono classificate e conservate per i posteri, ma anche per i contemporanei perché in un presente così mistificatorio ci sia un luogo dove poter attingere la realtà, perché i viaggi dei migranti, la loro vita nei nostri lager (è così che viene spontaneo definire i campi per i rifugiati) fanno parte della nostra storia. Negli astanti pesa ancora la commozione dei racconti di Gabriel, Ruth e della "sorella guerrigliera" che ieri per la prima volta aveva trovato il coraggio di parlare in pubblico, e senza vittimismi, delle violenze subite dalle donne al fronte: le testimonianze, ha dimostrato ieri Triulzi, servono e oggi il suo gruppo ci spiega come documentarle. Ma la commozione pesa soprattutto proprio su Alessandro Triulzi che racconta della notte insonne, sua e di Gabriel Tseggai, di come sia doloroso ricordare e costringere al ricordo. Doloroso ma necessario. "C'era il cimitero delle barche del Museo delle Migrazioni di Lampedusa: il mese scorso gli hanno dato fuoco, come ha ricordato Monica” – si accalora l'africanista – “questo è chiaramente un vergognoso tentativo di distruggere la memoria. E io mi vergogno di vivere in un paese dove avvengono cose del genere. Tutti dobbiamo vergognarci. Ma la vergogna non ci deve fermare, come non si è fermato a Lampedusa il piccolo gruppo di studiosi che ha raccolto dalla cenere pezzi d'imbarcazione carbonizzati, pezzetti di carta bruciacchiati: testimoni, ora, del loro viaggio e della nostra vergogna”.

Concetta Carotenuto

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