Andalusia: dove Oriente e Occidente si incontrano

 

Andalusia: dove Oriente e Occidente si incontrano

Frontespizio del celebre libro di intavolature per vihuela di Luis de Milán

Prosegue il viaggio di Musica Occidentale Orientale. La rassegna curata dal professore Giovanni La Guardia presenta il flamenco andaluso, musica nata dall’ibridazione

Come tutti i prodotti culturali folklorici il flamenco è strettamente intrecciato alla storia del territorio sul quale è nato e si è sviluppato, l’Andalusia. Questa musica è il frutto delle numerose culture e popolazioni che questa regione ha conosciuto durante il medioevo e che il flamenco porta inscritte nel suo corpo: vandali (Andalusia significa terra dei Vandali) e arabi intanto ma anche ebrei e gitani. A ricostruire le vicende del flamenco attraverso i secoli dal Medioevo a oggi è stato il musicista ed etnomusicologo Stefano Aruta accompagnato dal chitarrista Umberto Maisto, durante l’ultimo incontro di Musica Occidentale Orientale, tenutosi lunedì 21 maggio a Palazzo Corigliano. A introdurre l’incontro è stato il Maestro Salvatore Morra, padrino di questo mini ciclo dedicato alle musiche orientali che si concluderà con il prossimo incontro. Accompagnato dal maestro Maisto, che con la sua chitarra ha eseguito alcune composizioni di flamenco, Stefano Aruta ha raccontato la storia di questa musica dai suoi inizi segnati dall’incontro fra la tradizione musicale europea e quella araba proveniente dal Nord Africa e portatrice di influenze persiane. Sotto la dominazione araba la musica andalusa, che poi sarà chiamata flamenco, si sviluppa, assumendo le caratteristiche che poi saranno registrate dai compositori di musica colta. Dopo la reconquista cristiana il flamenco sarà costretto a cambiare volto. Una metamorfosi, questa che riguarda soprattutto la strumentazione adottata. Uno degli strumenti più diffusi fino al Quattrocento era l’ud, il liuto arabo. L’inquisizione spagnola però vedeva in questo strumento un segno inequivocabile del paganesimo musulmano, ragion per cui lo condannò. L’abbandono dell’ud costrinse i musicisti a ricorrere ad altri strumenti e l’ingegno dei progettisti portò alla creazione della vihuela, una specie di chitarra che vede il suo massimo periodo di utilizzo durante il Cinquecento. La parentela fra l’ud e la vihuela è strettissima, e riguarda l’accordatura ma anche il modo di suonare lo strumento. Insomma si potrebbe dire che la vihuela sia un ud dalle forme mascherate! Le influenze della tradizione musicale arabo-islamica non riguardano soltanto la strumentazione ma anche il modo in cui questa musica viene fruita. Il flamenco prevede un’attiva e ben codificata partecipazione del pubblico, che deve battere il tempo con le mani (palmas) ed emettere esclamazioni come il famoso olé, che probabilmente proviene dal nome di Allah. Non solo, la partecipazione del pubblico è fondamentale affinché si manifesti il duende, una sorta di estasi mistica che ispira il musicista ed è necessaria affinché la musica possa manifestarsi. Questo carattere rituale è una delle marche caratteristiche del flamenco, e riguarda anche il modo in cui i vari sottogeneri, detti palos, sono utilizzati in determinate occasioni. Questo aspetto, legato alla ritualità, ha assunto una dimensione centrale nelle culture gitane, ultime in ordine di tempo ad essere giunte in Andalusia. Partiti intorno al 1000 d.C. dal Rajastan, i gitani hanno assorbito come spugne le culture dei paesi che visitavano, facendole proprie. Il flamenco ha subito la stessa sorte, divenendo una musica per gli usi privati di questa popolazione. E dalle strette cerchie delle riunioni familiari, dove aveva la funzione di segnare le epoche della vita (esisteva ad esempio un palos che aveva la funzione di imeneo detto arboreal) il flamenco non doveva fuoriuscire. E proprio nel momento in cui questa musica cominciò a perdere questa sua funzione privata fu l’inizio del suo declino. Questo passaggio è situabile tra la fine del XIX secolo e gli inizi del Novecento. Tutto iniziò con la fondazione di café chantant, come “El Café de Silverio”, fondato dal cantaor Silverio Franconetti a Siviglia. In questo contesto il flamenco perdette tutte le caratteristiche che gli davano una funzione all’interno di alcuni gruppi sociali della società andalusa per diventare musica fatta per essere suonata davanti a un pubblico passivo, come del resto accadeva da secoli con la musica colta Occidentale. Se da un lato questi sviluppi furono all’origine della diffusione del flamenco dall’altro costituirono l’inizio della decadenza e la sua trasformazione in prodotto di consumo. Un destino questo che il flamenco condivide con molti prodotti folklorici, che nel momento in cui vengono trasformati in oggetto di intrattenimento, perdono la funzione sociale della cerchia in cui sono nate per dare origine a una tradizione, tanto falsa quanto vendibile.

Salvatore Chiarenza

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