Angel de la Calle: un omaggio a Tina Modotti

 

Angel de la Calle: un omaggio a Tina Modotti

Angel de la Calle

Le tre opere a fumetti più importanti? “Una ballata del mare salato di Hugo Pratt, Valentina di Crepax e Tratto di gesso di Miguelanxo Prado”

Angel De La Calle, lei parteciperà alle Giornate di studio organizzate da Alberto Manco all'Università L'Orientale dal 3 al 7 maggio e dedicate a Comunicazione e Graphic Novel. Su cosa verterà il suo intervento?

“Si intitolerà Letteratura disegnata, biografia e storia e parlerò della mia graphic novel pubblicata in Italia: Modotti, estendendo il discorso alla mia visione della letteratura disegnata, del fumetto, e di come trattare la storia con la S maiuscola all’interno del fumetto e, all'interno della storia stessa, il tema della biografia, che è un tema a me molto caro. Vorrei anche proiettare un piccolo video su Modotti che credo riassuma un po' tutto il libro.”

Quali sono le differenze tra fumetto, graphic novel e graphic journalism?

“Tra graphic journalism e graphic novel io vedo solo una differenza tematica. Credo che Joe Sacco possa raccontarci la sua visione della Palestina così come i grandi autori del mondo letterario possano raccontarci la loro visione dell'Africa. È una differenza a volte di genere, io credo che il fumetto non sia un genere ma un linguaggio, e all'interno di questo linguaggio il graphic journalism è un genere. Per quanto riguarda invece quello che siamo abituati a chiamare fumetto, io credo che la differenza fondamentale sia nella percezione del linguaggio del medium. Attualmente è semplicemente un'etichetta che si pone a qualsiasi cosa, ma al principio la graphic novel fu il tentativo di fare fumetti con un contenuto più colto, che potessero interessare a un pubblico differente da quello tradizionale del fumetto, che era lo stesso pubblico al quale si indirizzava la letteratura per l’infanzia e la letteratura per ragazzi.”

Cosa rappresenta per lei il fumetto? Come definirebbe il suo stile?

“Per me è un linguaggio, un sistema narrativo meraviglioso, una tra le più grandi invenzioni dell'umanità insieme alla scrittura. Il fumetto è ciò che nasce da due linguaggi che unendosi ne formano uno nuovo differente, che non è la somma delle due ma qualcosa di completamente nuovo. Per me è un modo di comunicare impressionante che ha solo cento anni di storia e adesso sta compiendo i primi passi. La letteratura esiste perlomeno da Omero, il fumetto invece esiste da Rodolphe Töpffer e da Outcault, da molto poco tempo quindi, ma in questi cento anni sono state prodotte opere di enorme valore, e se ne stanno facendo di ancora più grandi. Nel caso di Modotti, il termine graphic novel sarebbe restrittivo, perché io ho disegnato una biografia che è anche un saggio sulla biografia, ed è anche un'autobiografia della mia ricerca del personaggio. Io lo definirei più un saggio romanzato che una graphic novel, ma il termine graphic novel le si addiceva per la sua parte letteraria, il mio lavoro su Modotti infatti è una biografia ma è anche una storia della cultura di sinistra della prima metà del XX secolo. Ma è anche un'autobiografia, e un'opinione su altre biografie anteriori, tutte scritte in formato narrativo, quindi, per me sarebbe un saggio romanzato, ma se vogliamo attenerci a quello che dicono i critici, il formato è quello della graphic novel.”

Esiste una relazione tra fumetto e ecologia?

“Si può sempre cercare. Il fumetto è un medium resistente, perché in un mondo formato da immagini in movimento, il fumetto, composto da immagini fisse, è un oggetto culturale che ancora resiste. Ecologicamente è qualcosa a conservare, adatta a chi fa funzionare il cervello in una forma differente. Per me il fumetto è qualcosa che si basa sulla solidarietà sincronica tra le vignette: quando hai due vignette, ed una segue all'altra, il linguaggio del fumetto sta già funzionando. Ci sono fumetti ecologici, o che cercano di esserlo, ma il fumetto in generale è un linguaggio che ha la stessa relazione con l'ecologia che può avere un qualsiasi altro linguaggio, come il romanzo o la poesia.”

Secondo lei che valore comunicativo ha il fumetto?

“È un linguaggio impressionante, ma la storia del fumetto è anche la storia degli editori che, fino a poco tempo fa decidevano tutto: dalla lunghezza agli argomenti. E questa era una cosa assurda, nessuno può immaginare un editore che dice ad Antonio Tabucchi di scrivere una storia di ottanta pagine, non una in più, nel fumetto invece si, dovevi scrivere delle storie di quarantotto pagine se eri in Francia, di ventiquattro pagine se eri negli Stati Uniti, e le strisce dovevano contenere massimo quattro vignette. Quando gli editori decisero che i giornali sarebbero diventati più piccoli, le strisce vennero ridotte ad un massimo di tre vignette, decretando così la fine delle strisce di avventura nei giornali, perché in tre vignette non si poteva raccontare una storia. Tenendo in conto il fatto che, come dicevo prima, il fumetto si rivolgeva ad un pubblico composto prevalentemente da bambini e ragazzi, questo ha fatto sì che i lettori si allontanassero definitivamente dal fumetto perché una volta raggiunti i 17/18 anni, già non c'era più niente da leggere. O eri un appassionato, e lo rimanevi per tutta la vita, per tornare a leggere i fumetti a 35/40 anni per ricordare con nostalgia la tua infanzia, o non ne leggevi più. Che cosa poteva raccontare ad un uomo o a una donna di cinquanta anni un fumetto come SpiderMan? Erano sempre le stesse storie scritte per i bambini o gli adolescenti che ancora non avevano superato la censura. Fortunatamente, grazie al movimento iniziato circa quindici anni fa con l'underground americano, oggi il fumetto può essere letto anche da un pubblico più adulto. A partire dal fenomeno Maus inoltre si cominciò a trattare nel fumetto tematiche più interessanti, adatte ad un pubblico più colto.”

Ci fa un esempio di comunicazione, a suo parere ben riuscita, attraverso il fumetto?

“Credo che Persepolis sia uno, Maus ne è un altro, l'intera opera di Alan Moore e di Eddie Campbell, insieme a molte opere di Joe Sacco ne sono un’altro. Per me il fumetto spagnolo più importante è il Segno di Gesso di Miguelanxo Prado pubblicato in Italia con lo stesso editore di Modotti: 001 Edizioni.”

Si parla spesso di semiotica del fumetto, quale potrebbe essere un approccio semiotico al fumetto?

“Per me i lavori più importanti sull'argomento sono stati fatti dai francesi Thierry Groensteen, con Systeme de la bande dessinée, e Harry Morgan con Principes des littératures dessinées. Questi mi sembrano i due libri più importanti per quanto riguarda l'approccio semiotico non strutturalista al fumetto. Io sono dell'opinione che il fonema nel fumetto è la vignetta, non è né un punto né una linea, la cellula è la vignetta, e questi due autori, soprattutto Groensteen, sono quelli che espongono meglio questa teoria. In Systeme de la bande dessinée, Groensteen dice che il fonema è la vignetta, l’iperquadro è la pagina e il multiquadro è il susseguirsi di tutte le pagine, e questa mi sembra la lettura più interessante.”

Secondo lei esiste un lettore ideale di fumetti? Quale potrebbe essere?

“Per me il lettore ideale è lo stesso del romanzo. C'è un lettore meraviglioso per qualsiasi genere, ed è l'adolescente. Quando l'adolescente diventa lettore bisogna saperlo prendere, perché resterà un lettore per tutta la vita. Io mi rivolgo ad un lettore più colto, il mio lettore ideale è quello che quando legge Modotti, e appare Walter Benjamin, sappia chi è Walter Benjamin, e quando appare Ernest Hemingway sappia chi è Ernest Hemingway. Uno cerca sempre il lettore ideale, ma il lettore ideale è quello che legge il tuo libro e successivamente legge un saggio o va a vedere un film e mostra lo stesso interesse per tutto.”

Lei come si è avvicinato al fumetto?

“Io? Da piccolo. La mia prima lingua è stata il fumetto, prima di saper leggere guardavo i fumetti, la mia lingua madre è il fumetto prima ancora dello spagnolo. Lo spagnolo è la mia seconda lingua. Il primo fumetto che lessi, ricordo era un Tebeo, la rivista che poi diede il nome al fumetto in Spagna, e ricordo che guardavo le immagini di questo autore molto importante a quell’epoca in Spagna che faceva delle storie molto visuali, piene di disegni, e ricordo che era la storia di una macchina molto piccola e di un signore molto grande, e alla fine dicevano qualcosa che io non potevo leggere perché allora non sapevo ancora leggere e quasi nemmeno parlare. Poi all'età di 6 o 7 anni il primo fumetto che mi colpì fu Blueberry, tradotto molto male in spagnolo nella rivista Bravo. Il primo fumetto che ho letto fino all’esaurimento invece è stato Cinco por infinito di Esteban Maroto, avevo già dieci anni allora.”

Quando ha iniziato a disegnare? Quali sono state le sue prime produzioni?

“In quello stesso periodo iniziai anche a disegnare, perché di solito si tende ad imitare ciò che si vede. In quegli anni il fumetto puntava tutto sulla parte grafica, mettendo da parte quella che era la parte letteraria, io iniziai a disegnare e a scrivere allo stesso tempo, ho scritto anche delle monografie su molti autori di fumetti, ad esempio ho scritto un libro su Hugo Pratt, un altro su Lorenzo Matotti, e molti altri. Quando hai un minimo di capacità tecnica già poi fare un fumetto, lo farai pieno di errori di ortografia ma già saprai come disegnare i personaggi: con due braccia e una testa, a meno che tu non stia disegnando supereroi o mostri. Puoi non saper scrivere ma saper fare un fumetto, è questo il problema del fumetto, la poca attenzione per la parte letteraria, ci sono infatti moltissimi fumetti scritti male. Il primo fumetto che disegnai ricordo che non sapevo come si passasse il colore, e cercavo di imitare lo stile di un fumettista spagnolo che si chiamava Miguel Calatayz che faceva delle storie molto pop, il pop spagnolo era lui, e io lo imitavo ma dato che non sapevo che il colore si passasse con una piuma, lo passavo con una paletta di legno e poi lo coloravo con gli acquarelli. Questo fumetto ancora ce l'ho conservato, successivamente incollai le vignette su una pagina e pubblicai la mia prima storia all'età di 17 anni nella rivista Star.”

Come sono cambiati secondo lei la percezione e il contenuto del fumetto negli ultimi cinquanta anni?

“Cinquant'anni è quasi la metà della storia del fumetto. Dagli anni Sessanta il primo colpo è stato l'underground americano, i cui autori utilizzavano lo stesso materiale con cui si divertivano da bambini per fare critica. L'autobiografia inizia con Justine Green, negli anni Settanta, e con tutto il movimento francese intorno alla rivista Métal Hurlant. Secondo me è stato fondamentale anche Hugo Pratt con Una ballata del mare salato che credo sia l'inizio della graphic novel. Con alcuni miei amici discutiamo spesso sul fatto che Una ballata del mare salato non sia una graphic novel perché è di genere, è d'avventura, e il genere d'avventura non può essere una graphic novel perché la graphic novel non può assumere un genere. A me questo sembra un errore perché non possiamo tenere fuori dalla storia del romanzo Stevenson solo perché fa libri d'avventura, e allo stesso tempo non possiamo tenere fuori Hugo Pratt che crea una graphic novel di avventura realmente adulta. Negli anni Settanta la graphic novel cambia radicalmente dal punto di vista grafico grazie a disegnatori come Moebius e Crepax che pubblicavano sulle pagine di Linus. Per me la rivista Linus ha inventato il fumetto moderno, la prima volta che andai a Milano andai nella strada dove ci fu la sede della prima redazione di Linus a togliermi il cappello, mi feci una foto lì davanti perché quella è la mia origine, perché se io non avessi letto Hugo Pratt o Crepax adesso non sarei un disegnatore. Gli anni Ottanta sono terrificanti dal punto di vista creativo perché tutto diventa di genere, ma di generi già raccontati dai francesi. I fumetti dovevano essere di quarantotto pagine, con la copertina rigida e questo satinato che la ricopriva perché se al bambino gli colava la bava non la rovinava. Questo mi sembrò la morte, si fracassò tutto quello che avevano creato gli autori di Métal Hurlant e si fecero spazio le serie, che io considero come il peggio del genere supereroistico nordamericano. Fino agli anni Novanta, quando in Francia sorge L'Association, in Europa sembra non esserci niente di interessante, è la decadenza. C'è un momento in cui con il fumetto supereroistico si stavano facendo delle cose molto interessanti grazie a Frank Miller e Alan Moore, dopo Hugo Pratt infatti non c'è stato nessuno con una simile abilità nel controllare il tempo narrativo nelle vignette come Frank Miller, e Frank Miller era un ammiratore di Pratt, quando lo vidi a Lucca si stava comprando tutti i suoi libri alla Mondadori. L'esplosione definitiva la si ebbe negli anni Novanta con l’Association, Maus, ed altre proposte molto interessanti provenienti un po' da tutte le parti. Anche in Spagna da una decina d’anni i media tradizionali puntano molto sul fumetto, è stato indetto un premio nazionale, e i giornali dedicano molto spazio a questo medium.”

Secondo lei quali sono le perdite che si possono avere nella traduzione di un fumetto da una lingua all’altra? Crede sia più semplice tradurre un fumetto rispetto ad un romanzo o un saggio?

“È lo stesso del romanzo o della poesia, il traduttore è una persona fondamentale, è una persona che attraversa le frontiere e che ti accompagna, ti porta da un paese all’altro. Senza del traduttore non potresti andare da nessuna parte, una traduzione cattiva distrugge un'opera, e tradurre un fumetto è molto difficile perché ad un traduttore di romanzi nessuno impone di mantenersi entro un determinato numero di righe, ad un traduttore di fumetti si. Se si sta traducendo dall'italiano al tedesco per esempio, il tedesco si espande, ha bisogno di un maggior numero di parole. Immagina se al traduttore dicessero che quella pagina deve rimanere di venticinque righe, nel fumetto è così, la grandezza del baloon è quella e non si può prescindere. Io sono stato molto fortunato perché il traduttore di Modotti in tedesco è un poeta che ha vissuto per molti anni in Argentina ed è un ottimo traduttore. La versione italiana del fumetto è anch'essa molto buona credo, ma non posso esserne certo perché non sono italiano, conosco solo le domande che il traduttore mi ha fatto e le risposte che gli ho dato. Ricordo che una domanda che mi fece era cosa significasse piso franco, e io gli chiesi se aveva qualche amico che era stato nelle Brigate Rosse di domandarlo a lui, io non so come si dice piso franco in italiano, piso franco è una casa che teoricamente la polizia non conosce, dove ci si può riunire liberamente. Molto dipende anche dalla lingua, una lingua che si adatta facilmente come l'inglese entrerà sempre nel baloon, ma una lingua che si espande come il tedesco può portare molte difficoltà. Nel fumetto il testo è disegnato e il disegno è scritto, il testo non si scarica da Internet, non è una font già preconfezionata, il testo lo creo io disegnandolo, e i disegni sono scritti. Quando scelgo l'editore con cui pubblicare le mie opere in un altro paese non voglio che sia un grande editore perché non si occuperebbe dell'opera, questa è un'opera piccola, un'opera che cammina lentamente ma che non si ferma mai, in Spagna continua ad essere un opera di riferimento dal 2003, l'anno in cui è stata pubblicata e continua ad essere stampata tutti gli anni. Questo perché è curata, un grande editore non può occuparsi di un'opera dalla quale non ne ricaverà un guadagno immediato, questa è un'opera che rende a lungo andare, ma deve essere ben curata, questo è un libro che cerca il proprio lettore.”

Ci sono temi che, secondo lei, si prestano meglio al racconto tramite il fumetto? Se sì quali?

“Credo che questo dipenda dalla capacità dell'autore, non credo ci siano tematiche che si prestano meglio o peggio, come è evidente che esiste un romanzo filosofico e un libro di filosofia. Sono due cose ben differenti, può essere una romanzo filosofico la Nausea di Sartre, ma L’essere e il nulla è un libro di filosofia di Sartre, e non sono la stessa cosa. penso che ci siano temi più o meno difficili da trattare attraverso la narrativa, ma dipende sempre dalla capacità e dall'abilità dell'autore.”

Nel 2005 lei ha pubblicato Modotti un’opera a fumetti sulla famosa fotografa e attivista di origine italiana, come mai ha scelto proprio quel personaggio e come ha conosciuto Tina Modotti?

“La prima volta che ne sentì parlare fu in un programma televisivo in cui si diceva che la stella pop newyorkese Madonna aveva comprato una fotografia di Edward Weston che ritraeva Tina Modotti, e aveva pagato molti soldi per averla. Non molto tempo dopo, a Città del Messico stavo leggendo un libro su Trotsky e c'era una frase in cui ci si chiedeva cosa c'entrassero nell'omicidio di Trotsky la strana coppia formata da Victorio Vidal e l'esotica avventuriera Tina Modotti. Quella di esotica avventuriera fu una definizione che mi piacque e volli sapere chi fosse quella donna. Così lessi la prima biografia su di lei, scritta dalla direttrice della fotografia del museo di arte moderna di New York, all'inizio degli anni Sessanta. Era una biografia piena di errori, mancava di documentazione, ma è stata una biografia molto importante e tra l'altro molto carina nella prima edizione nordamericana. A partire da lì iniziai ad appassionarmi al personaggio, inoltre in quel periodo vivevo a Città del Messico, una città fondamentale per Tina Modotti, dove morì, dove svolse una parte molto importante della sua vita e da dove fu espulsa come terrorista. E poi chiaramente una donna diva di Hollywood, lavoratrice San Francisco, musa e modello per i murales di Diego Rivera, compagna di Edward Weston, eroina della guerra civile spagnola, amica di Antonio Machado, di Sergei Eisenstein, di Pablo Neruda eccetera eccetera, è senza dubbio un personaggio interessante, e per questo mi interessò. La prima volta che lessi di lei senza saperlo fu nelle memorie di Pablo Neruda, Confieso que he vivido, libro che lessi nel ‘76 e che parla di Tina Modotti, ma all’epoca non sapevo chi fosse. Da quando decisi che la mia opera su Tina Modotti sarebbe stata un fumetto, fino a che non terminai tutte le tavole passarono circa cinque anni, ed erano dieci anni che non disegnavo fumetti ma lavoravo nel campo del disegno grafico e delle illustrazioni. Dovetti quindi inventare un nuovo disegnatore, completamente diverso da quello di dieci anni prima. Da quel momento, finché non venne pubblicato il primo volume, passarono altri cinque anni. Inizialmente pensai di poter raccontare tutta la storia in cento pagine, scelsi quel formato perché l'idea che avevo in mente era Maus, un formato piccolo ed economico, e poi io ero sempre stato un disegnatore di storie brevi, la mia storia più lunga era stata di undici pagine, quindi per me cento pagine sarebbero state già moltissime, ma quando cominciai a scrivere mi resi conto che non avrei potuto raccontare la storia di Tina senza raccontare anche la mia, e allora il numero delle pagine andò aumentando, finché l'editore non si stancò di aspettarmi e decidemmo così di pubblicarlo in due parti: la prima sarebbe terminata con l'espulsione di Tina dal Messico, e la seconda con la sua morte. L’editore fu SinSentido, un editore spagnolo alle prese con la sua prima graphic novel, fino a quel momento avevano pubblicato solo libri di Matotti, graficamente molto belli, di grande formato, questa era la prima edizione che pubblicavano in questo formato e fu come un esperimento. Ora pubblicano solo graphic novel ed hanno abbandonato i libri di disegni di grande formato.”

Nel 2006 ha pubblicato Diarios de Festival una specie di diario personale a fumetti, ci parli di questa esperienza, come è nata l’idea?

Diarios de Festival si chiama così perché è una raccolta di cose che mi succedono durante i festival o durante i convegni ai quali partecipo. Ovunque vado prendo appunti, faccio disegni, e quando vado ai convegni annoto le conversazioni della gente e tutto quello che mi sembra interessante. La mia idea era quella di raccoglierli e pubblicarli in un edizione limitata: solo cinquecento copie di ognuno, in modo che una volta finiti non sarebbero stati più disponibili sul mercato e i possessori si trovassero con un pezzo unico a casa. L'unico problema è che non avevo tempo per preparare il libro, selezionare, scannerizzare, montare, e quindi fui costretto a lasciare tutto lì. Ricevetti subito diverse proposte da diverse case editrici e pensai che con duecento esemplari venduti già sarebbero state coperte tutte le spese, ma si vendettero tutti e ora ho diverse offerte da numerosi editori che mi chiedono di continuare a farlo, ma ora sono impegnato in un'altra opera lunga e non posso dedicarmici, quindi finché non esce il nuovo libro non tornerò più a pubblicare Diarios de festival.”

Oltre ad essere un autore lei è anche un critico e storico del fumetto, ci racconti la sua esperienza con la rivista Dentro de la viñeta.

“Decidemmo di fare quella rivista in un momento in cui le riviste di teoria in Spagna erano scomparse, ma nel momento in cui cominciammo a farla ne nacquero altre tre o quattro. La differenza sul resto delle riviste la faceva il fatto che in ogni numero c'era un'intervista lunga ad un autore, sul modello del comic journal americano, e le interviste le facevamo noi. In quel periodo in Spagna tutte le interviste erano traduzioni di altre interviste apparse in riviste nordamericane, noi invece intervistavamo di persona gli autori sia europei che nordamericani. In quel periodo la Spagna non se la passava bene dal punto di vista del fumetto, non c'erano edizioni spagnole, il panorama sembrava deserto, ma noi volevamo dare una spinta a questo medium, cercare di trovare quello che c'era di buono e raccontarlo alla gente. Parlavamo di qualsiasi tipo di fumetto, dalle riviste indipendenti nordamericane fino all'ultimo numero di Spiderman. Pubblicammo in tutto trenta numeri, non guadagnammo soldi ma non ne perdemmo nemmeno. Fummo costretti a smettere di pubblicare la rivista perché non ce la facevamo più con i tempi, ma la missione che c'eravamo proposti era stata portata a compimento ovvero elevare il livello del fumetto in Spagna. Da quando cominciammo a quando chiudemmo l'ultimo numero della rivista infatti il panorama era cambiato radicalmente. Se dovessimo rifare la rivista ora mi interesserebbe molto di più parlare soltanto degli indipendenti americani ad esempio e non del mainstream, e questo significherebbe cambiare un poco la filosofia della rivista, ma in verità non abbiamo davvero il tempo per farlo.”

Quali sono secondo lei le tre più importanti opere a fumetti mai realizzate?

Una ballata del mare salato di Hugo Pratt, Valentina di Crepax e Tratto di gesso di Miguelanxo Prado. Ma se potessi sceglierne un'altra sceglierei Maus di Art Spiegelman.”

Davide Aliberti

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