Archivi di Donne: tra psiche, danza ed espressione
Archivi di Donne: tra psiche, danza ed espressione
Secondo appuntamento della serie di conferenze al PAN: Domenico Esposito ospita la professoressa Silvana Carotenuto
Continuano le conferenze tratte dal ciclo intitolato Poetiche del Museo d’Arte Contemporanea. Martedì 3 maggio, il Palazzo delle Arti di Napoli, ha fatto da scenario ad un incontro curato dalla professoressa Silvana Carotenuto – docente di Letteratura inglese presso l’Università di Napoli L’Orientale – accompagnata dagli interventi delle dottoresse Manuela Esposito e Annalisa Piccirillo.
L’evento in questione – denominato Danze, donne e dimore dell’archivio mediterraneo – ha preso spunto dal lavoro di ricerca che coinvolge il Centro di Studi Post-Coloniali, diretto proprio dalla professoressa Carotenuto.
Partendo con l’evidenziare l’arretratezza di tecniche digitali tipica del nostro paese, la professoressa ha espresso l’esigenza di incentivare un impegno che interessi gli ambiti di ricerca universitaria al fine di limitare questo disagio.
Una delle fasi della ricerca consiste nella riflessione sul concetto di archivio nella contemporaneità. Si avverte la necessità di trovare una chiave di lettura dei fenomeni: ed è proprio l’archivio che può fare al caso nostro.
Descrivendo le varie fasi interpretative che hanno coinvolto il concetto di archivio, la professoressa Carotenuto si è soffermata soprattutto sulle idee varie che emergono dalla lettura di particolari opere più o meno contemporanee.
Il primo autore a cui si è fatto riferimento è stato Foucault, che nel notissimo Archeologia del sapere mette in dubbio l’innocenza dell’archivio: esso viene descritto come la principale causa dell’occultazione di determinati eventi storici. A detta di Foucault, l’archivio è quel sistema culturale a cui è stato affidato il compito di decidere del destino della storia: la sua è una vera a propria funzione di controllo.
Si è poi passati a Said. Quest’ultimo nel suo lavoro “Orientalismo”, non manca di sottolineare la stessa negatività associata all’idea di archivio: dal suo punto di vista esso si paragonerebbe ad una sorta di biblioteca di informazioni la quale, gestita dagli occidentali, avrebbe lo scopo di dirigere le norme comportamentali degli orientali. In quest’opera si sottolinea la tipica idea tutta post-coloniale della superiorità delle popolazioni occidentali le quali, si assumono il compito di civilizzare quelle orientali, colpevoli di inferiorità. Entrambi gli autori fin qui citati fanno evidentemente riferimento alla cosiddetta Violenza Epistemica.
In ultima analisi si è giunti al testo di Derrida Mal d’Archivio. La novità rispetto ai precedenti testi riportati consiste in una nuova visione del concetto di archivio, qui descritto come desiderio dell’umanità. Quest’ultimo si trova ora a rivestire l’insolito ruolo di antidoto contro la dimenticanza e la cancellazione totale a cui, inevitabilmente, l’uomo va incontro: la morte. Da qui l’esigenza della conservazione e della raccolta, da qui l’idea di Archivio come salvezza.
A questo punto però la visione di Derrida si ritrova a fare i conti con la nuova idea emersa dagli studi di Freud.
Il padre della psicoanalisi sostiene la naturale dedizione umana verso la distruzione totale: dall’idea di archivio psichico, che fino ad ora era stato rappresentato come necessario per esorcizzare la paura di una distruttiva cancellazione, si passa ora paradossalmente all’idea di rimozione desiderata dello stesso. Per mediare a questa conclusione si riscontrava la necessità di fare della stessa psicoanalisi un archivio: così si sarebbe evitato il completo decadimento a cui la nuova scienza andava incontro.
Si è infine riportato il concetto di archivio ad una contemporaneità a noi più prossima: esso, staccandosi dal suo vincolo con il passato, si apre ora ad un futuro a sua volta portavoce di speranza.
L’incontro si è poi concluso con le relazioni delle dottoresse Esposito e Piccirillo.
La prima si è soffermata sul concetto di archivio naturale: la natura si fa specchio di emozioni per le donne, le quali riescono a trovare in elementi quali l’ Acqua, il Deserto e il Ghiaccio, l’unica possibilità di espressione, facendo spesso uso della Danza.
La Danza è stata poi la protagonista anche della relazione della dottoressa Piccirillo. Quest’ultima ha espresso il necessario abbandono dell’idea di danza come arte effimera che, destinata a passare immediatamente non è considerata degna di essere oggetto di archivio. Si rende dunque evidente il rapporto problematico tra danza e memoria, che viene però in qualche modo sconvolto e risolto dall’introduzione della tecnologia la quale, fa dell’attimo artistico della danza un attimo riproducibile: paradossalmente si finisce per danzare la memoria.
Lorena Jessica Alfieri
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