Comprendere la lingua significa comprenderla come strumento di comunicazione
Comprendere la lingua significa comprenderla come strumento di comunicazione
“Facendo il mestiere di linguista in Angola si contribuisce, sebbene in parte estremamente minima, alla ricostruzione civile di un paese”
Professoressa Turchetta, lei ha partecipato alle Giornate di studio su Comunicazione e Ambiente che si sono svolte all'Orientale dal 24 al 26 marzo. Come considera il rapporto tra la quantità e la qualità delle informazioni che circolano su comunicazione e ambiente?
“La quantità probabilmente e certamente è forte, visto che è un tema di grandissima attenzione, in particolare per le istituzioni, nella relazione con il cittadino; e poi per tutti quegli organismi privati che si occupano di tutela del territorio. Per quello che riguarda la qualità certamente ho i miei dubbi poiché spesso l'informazione relativa al rapporto con l'ambiente è di scarsissima qualità e, per questo motivo poi, non ha quasi alcun impatto sul cittadino.”
Esiste una seria identificabilità della comunicazione ambientale di destra o di sinistra?
“Sostanzialmente no. È uno dei classici temi della sinistra. Da un punto di vista politico il movimento dei verdi è nato nell'ambito della sinistra in un contesto europeo e dunque è senz'altro uno degli argomenti prediletti di un certo ambiente di sinistra – che è un ambiente direi intellettuale, ricercato che noi abbiamo in Italia – forse più circoscritto che altrove poiché il movimento dei verdi in Germania, dove è nato, si è allargato e si è diffuso a strati della popolazione che sono lontani dalla disquisizione intellettuale, nel nostro caso, invece, è rimasto molto più ancorato a un certo tipo di ambiente fortemente acculturato e questo forse è un peccato.”
Ci fa un esempio efficace di comunicazione ambientale?
“Un esempio efficace di comunicazione ambientale di più forte impatto direi che non è nelle mani delle nostre istituzioni ma di un organismo internazionale che è Green Peace, che spesso accompagna le sue campagne con delle manifestazioni fisiche forti di occupazione, per esempio, di territori che si reputa essere a rischio di altissimo inquinamento. Ecco, è una forma senz'altro di comunicazione efficace che, devo dire, in Italia si vede poco... si vede ancora poco.”
Ci sono a suo avviso eco-mode orientate dalla comunicazione di specifici canali massmediali? Ci farebbe un esempio?
“Fortissime. In questo momento, in particolare, più che la tutela dell'ambiente sulla tutela della salute della persona, il benessere della persona. Stanno fiorendo centri privati che mirano a comunicare questo tipo di messaggio dove il benessere della persona non ha in sostanza alcun tipo di legame con il benessere dell'ambiente ma è puramente un benessere legato a cure di tipo estetico e fisico, che ricadono esclusivamente sulla persona.”
Come è rappresentato in Italia sul piano della comunicazione il quadro europeo delle reali emergenze ambientali ?
“Il quadro europeo delle emergenze ambientali in realtà è mal rappresentato: rispetto a ciò che viene discusso in ambito europeo, l'informazione resta un'informazione di nicchia, purtroppo, in Italia.”
Lingua, linguistica e ambiente: quali sono i rapporti tra biodiversità e diversità linguistica?
“Bel tema, uno dei temi centrali del mio intervento. Tutelare la biodiversità vuol dire anche tutelare la diversità linguistica e culturale del genere umano che è fondamentale per la sopravvivenza del genere umano stesso poiché è l'essenza della ricchezza degli esseri umani.”
Si riflette linguisticamente la concezione che una popolazione ha dell'ambiente in cui vive?
“Moltissimo, in particolare per quelle comunità dove il rapporto con la natura è ancora strettamente confidenziale. É un tipo di rapporto che noi abbiamo quasi completamente perso; e quindi la conoscenza dell'ambiente naturale, degli agenti atmosferici si traduce poi in una molteplicità di differenze di natura lessicale che vanno ad indicare i fenomeni e che servono, appunto, anche a differenziarli l'uno dall'altro.”
È necessario supportare progetti di raccolta di dati linguistici come il World Atlas of Language Structures e altri?
“Questo sì, perchè è un buono strumento per controllare, per verificare qual è l'ordine di danno che viene arrecato alla biodiversità, in questo caso ovviamente culturale e linguistica.”
Quale ruolo ha o potrebbe avere la linguistica nell'attuale dibattito sulla salvaguardia dell'ambiente?
“Forse, certamente un sostegno di natura comunicazionale, come la chiamano i semiologi di oggi, e cioè un consiglio su come rendere efficaci le campagne di attenzione alla tutela dell'ambiente.”
Linguistica e comunicazione: quali sono i punti di contatto e quelli di divergenza tra le due discipline?
“La linguistica ha come oggetto principale l'osservazione dei meccanismi di funzionamento di una lingua e il rapporto che l'essere umano ha con lo strumento principale della sua comunicazione, che è appunto la lingua; e dunque anche il relativo rapporto tra la lingua e la cultura di una società. Gli studi di comunicazione molto spesso in Italia esulano totalmente dal rapporto con le lingue e questo è assai sorprendente perchè si arriva a studiare la comunicazione e la semiotica senza considerare minimamente i fatti linguistici che sono quelli dai quali di fatto parte principalmente la comunicazione.”
Che cos'è l'ecologia linguistica?
“L'ecologia linguistica è una scienza nata da circa una quindicina di anni che mira a fare propri una serie di principi che si studiano nella ecologia intesa come tutela della diversità biologica. Nell'ecolinguistica si vanno ad osservare tutti quei fenomeni di degenerazione del rapporto con l'habitat naturale o, viceversa, di costruzione di un rapporto di armonia dove la cultura e la lingua di una comunità sono in totale simbiosi con l'habitat naturale nel quale è inserita la comunità.”
Che rapporto c'è tra la diffusione di tematiche ambientali a livello massmediatico e lo sviluppo di tassonomie per tale campo semantico in lingue diverse?
“Per alcune lingue europee la cosa è particolarmente sviluppata, non è tale nel caso dell'italiano, dove in realtà le tassonomie usate, il lessico utilizzato per indicare ciò che si può e vuole intendere come tutela dell'ambiente è assai limitato.”
Quanto conta la terminologia ai fini di una buona comunicazione ambientale non specialistica, cioè divulgativa?
“Molto moltissimo. La comunicazione sull'ambiente dovrebbe avvenire con un linguaggio efficace, di impatto, per esempio andando a selezionare quelle che sono le peculiarità delle stratificazioni sociali che si osservano nelle lingue. In altri termini sarebbe molto più utile una campagna utilizzando gergo giovanile, per esempio, piuttosto che campagne dove il lessico è spesso tecnico scientifico e dunque viene anche mal compreso dalla popolazione.”
Identità etnica e identità linguistica costituiscono due termini di una questione molto studiata già in passato ma evidentemente ancora attuale, viste le continue trasformazioni geopolitiche e culturali del nostro pianeta. In questo senso, quali sono state le urgenze degli ultimi anni? E quali sono i territori in cui ancora oggi la questione resta delicata?
“La questione resta molto delicata in quei territori dove lo Stato deve interagire con numerose pulsazioni di autonomia locale, e il caso italiano è proprio forse il caso migliore fra quelli che abbiamo. Qui l'autonomia locale viene vissuta in termini aggressivi nei confronti della diversità e dunque il rapporto con la propria lingua, la propria identità culturale divengono inevitabilmente uno strumento di aggressione verso la diversità che comporta necessariamente poi il convergere verso fenomeni di tipo razzista, che sono fortemente pericolosi. Per quanto riguarda altre realtà culturali e politiche al di fuori dell'Europa, le diversità, le diverse identità linguistiche e culturali hanno di fatto efficacemente contribuito a costruire l'identità nazionale, e in molto casi lo si vede benissimo, come ad esempio nel caso del Sud Africa che – liberato dall'apartheid – è di fatto cresciuto in una identità nazionale proprio a partire dalle diversità locali.”
Professoressa Turchetta, dal 2004 è attiva in Angola ed ha collaborato a diversi progetti che vanno dalla standardizzazione linguistica alla preparazione di programmi e materiali didattici per l’istruzione pubblica e l'educazione alla legalità, fino alla descrizione delle lingue “non note”. Cosa significa fare il mestiere di linguista in Angola?
“Significa contribuire, sebbene in parte estremamente minima, alla ricostruzione civile di un paese. L'Angola ha subito un conflitto civile per trent'anni, ne è uscita stremata da un punto di vista culturale, e dunque la ricostruzione di un paese non passa soltanto attraverso la ricostruzione delle infrastrutture o degli edifici, ma passa soprattutto attraverso la ricostruzione di un'identità linguistica e culturale della nazione; e questo, devo dire, rappresenta davvero una grandissima sfida per un paese che è effettivamente provato da una lunghissima guerra civile.”
Come nasce l'interesse per l'Africa? Ci racconta qualche aneddoto?
“L'interesse per l'Africa devo dire è nato spontaneamente, successivamente senz'altro guidato nel contesto della formazione universitaria da quello che è stato il mio maestro che è Giorgio Raimondo Cardona, forse primo e unico etnolinguista italiano. Ma la curiosità per l'estraneità culturale e la distanza culturale in realtà, per quello che mi riguarda, nasce qualche anno prima degli studi universitari quando, nell'aiutare un compagno di scuola, di liceo, che era di origine nigeriana, fui in qualche modo spinta verso la spiegazione di fatti culturali che davamo per scontati, come potrebbero essere le tematiche dell'individuo che soffre nelle poesia di Leopardi, che soffre per un malessere di natura esistenziale che gli africani con conoscono assolutamente. E dunque è stata lì in qualche modo la scintilla che poi mi ha legato indissolubilmente al continente nero.”
Che ruolo svolge il contatto linguistico nella definizione di comunità linguistiche di frontiera?
“Un ruolo fondamentale, poiché è solo attraverso l'accettazione dell'ibridismo linguistico che si possono comprendere le questioni di frontiera. Laddove la linguistica occidentale ha per decenni concentrato la propria attenzione sull'idea di sistema – dove per sistema intendiamo, sebbene un insieme di varietà, comunque una strutturazione linguistica a compartimento stagno, blindata – in realtà è con l'osservare l'inevitabile fenomenologia del contatto linguistico, della contaminazione linguistica che interessa qualunque lingua del mondo, che si va poi a capire che quel tipo di lingua che nasce in un contesto di frontiera, e dunque ibrido per eccellenza, è di fatto una lingua fortemente complessa al pari di ciò che noi abbiamo sempre inteso essere, per esempio, un sistema con delle radici storiche, come potrebbero essere le lingue europee.”
Cosa consiglierebbe ad giovane linguista che si vuole occupare di descrizione di lingue non note? Quali strumenti o caratteristiche personali deve avere?
“Forse soltanto una: una grande curiosità intellettuale. Dopodiché la capacità di liberarsi da modelli precostituiti, la capacità di accettare, sebbene non capire all'inizio, delle cose che sono apparentemente completamente diverse; ma senz'altro metterei come prima la curiosità intellettuale.”
Quanto conta un approccio etnico/antropologico allo studio delle lingue in generale?
“Questo tipo di approccio – lo dice un'etnolinguista quindi il parere è fortemente viziato (forse dovremmo sentire un linguista storico o un generativista per questo tipo di opinione) – per quel che mi riguarda è fondamentale. Comprendere la lingua significa comprenderla come strumento di comunicazione, e se non si studia, se non si osserva l'essere umano nella sua interezza – quindi, per quanto possibile, non solo nel suo rapporto con l'ambiente dove vive ma anche nelle sue relazioni sociali, nella sua auto-rappresentazione culturale – è praticamente impossibile comprendere il vero funzionamento di una lingua.”
Valentina Russo
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