Cristina Gimignani: Comunicazione ambientale? Troppo legata a diktat politici e associazionisti
Cristina Gimignani: Comunicazione ambientale? Troppo legata a diktat politici e associazionisti
“Siamo di fronte a una forzatura della modernità”
Lei sarà ospite delle Giornate di studio che si terranno dal 24 al 26 marzo all'Orientale nella sede di Procida. Le Giornate sono dedicate a “Comunicazione e Ambiente”. Su che cosa verte il suo intervento?
“Sull’immaginifico come volano di comunicazione per arrivare all’immaginario, perché la comunicazione ambientale è eccessivamente ingessata e proibitiva e dunque non arriva al cuore delle persone, non viene fatta propria.”
Come considera il rapporto tra la quantità e la qualità delle informazioni che circolano su comunicazione e ambiente?
“Pessimo, perché la qualità la trovo troppo pessimista e la quantità è eccesiva in quanto non segue le regole della comunicazione ma soltanto i diktat politici e associazionisti. All’estero la comunicazione ambientale è molto più libera, in Italia è contingentata o è troppo d’emergenza o troppo facilona, sembra che dell’oggetto non importi a nessuno.”
Esiste una seria comunicazione ambientale di destra o di sinistra?
“Non esiste una seria comunicazione ambientale perché è ancora una materia nuova, c’è voluto tanto tempo affinché l’ecologismo e l’ambiente diventassero materia di studio. Occorre tempo e soprattutto occorre superare il concetto di destra e di sinistra. La comunicazione ambientale deve essere parte di noi e il concetto di sostenibilità deve essere protagonista.”
Ci fa un esempio a suo avviso molto efficace di comunicazione ambientale?
“Una comunicazione ambientale di successo, che però non aveva ancora la consapevolezza di esserlo, si ebbe negli anni ’70, quando venne fatta una campagna sulla corretta alimentazione. Questo è un esempio di corretta comunicazione ambientale, e una comunicazione è tale quando è diretta, non può essere dovuta solo alla catastrofe o alla proibizione.”
Ci sono a suo avviso eco-mode orientate dalla comunicazione di specifici canali?
“Assolutamente sì. C’è una comunicazione ambientale eccessivamente conformista: tutto fa male, il progresso ha portato migliaia di morti per l’inquinamento. Tuttavia spesso di tratta di cose non vere, infatti l’indice di mortalità è molto diminuito negli ultimi cento anni. C’è un grosso fraintendimento alla base e d’altra parte la comunicazione ambientale deve essere innanzitutto immaginazione.”
Esauribilità delle risorse, nuove forme di gestione delle risorse: a che punto si è? Fa un esempio di comunicazione efficace su questo tema da parte di uno specifico canale massmediale?
“La natura si rinnova. Un conto è tutelare un bene, come può essere l’acqua che non va sprecata, però, se parliamo di ciò che l’acqua rappresenta per le persone, non possiamo ridurci a dire quali sono le conseguenze dello spreco perché in tal modo si assimila solo il divieto: non si può comunicare uno sviluppo sostenibile oppure la tutela di un bene o di una razza animale con lo stesso metodo di una proibizione legale.”
Cosa pensa delle cosiddette energie alternative? Ci sono casi esemplari di comunicazione sulla questione?
“Non esiste una comunicazione esemplare perché non esiste un comportamento virtuoso. Chi dovrebbe comunicare queste energie alternative? Ognuno tende a tirare acqua al proprio mulino. Lo dovrebbe fare il Ministero, ma esso deve attenersi a tante logiche e vincoli burocratici, per cui sono poche le campagne di comunicazione che rispondono bene. Ci si limita all’emergenza del politico: un politico in un programma elettorale può lanciare il problema energetico, ma è il politico che interessa, non il programma. Oggi c’è la tragedia in Giappone e su internet si parla di tragedia provocata, ci sono infinite spiegazioni e teorie: siamo bombardati di informazioni e spesso le persone non sono in grado di filtrarle.”
Nucleare: sì o no?
“Per me sì, naturalmente con tutti i controlli possibili. La politica del petrolio ha portato solo tragedie. Si può morire per un disastro nucleare ma anche per le guerre del petrolio.”
Come è rappresentato in Italia sul piano della comunicazione il quadro europeo delle reali emergenze ambientali ?
“Ho cominciato a occuparmi di comunicazione ambientale nel 1994 e allora eravamo lontanissimi rispetto a oggi. Oggi la sensibilità ambientale del singolo e dei governi è molto cambiata, il ruolo del Ministero dell’Ambiente è più importante rispetto al 1986, quando è stato istituito, i ministri facevano una grande fatica a imporsi, oggi invece c’è una collaborazione collaudata tra ministero e associazioni. I popoli del Nord Europa sono attaccati alla natura in modo diverso da noi, perché hanno una diversa formazione culturale, risentono ancora dell’idea di una dea Natura. Noi viviamo in un paese mediterraneo e quindi abbiamo la percezione di una natura più amica. L’Italia, per quanto riguarda ancora il discorso sulla comunicazione, è ancora rifugiata nel discorso della comunicazione d’emergenza e quindi la gente non l’ha capita, invece nel Nord Europa ne sentono parlare da più anni, anche perché i movimenti ambientalisti si sono costituiti all’inizio del Novecento, da noi invece è sempre stata vista come una parte della politica in genere e solo dagli anni ’70 si è iniziato a parlare di una politica ambientalista in quanto tale.”
Politiche ambientali, finanza, economia. Sponsorizzazioni, preorientamento della percezione positiva del marchio. Ingenti investimenti di tipo comunicazionale spingono a consumare risorse primarie, oltre quelle effimere. Un esempio che caratterizza l’Italia: le acque minerali. Cosa dice a questo proposito? E avrebbe qualche altro esempio da suggerire?
“C’è un grandissimo business sulle acque minerali: in Italia, di sicuro, ci sono delle acque buonissime ma questo non giustifica il grande divario di prezzo che c’è tra una e l’altra. Spesso mi sorprendo che a Roma la gente compra l’acqua in bottiglia quando invece si sa che l’acqua del rubinetto è buona. Posso capire l’acquisto dell’acqua minerale quando la propria non è potabile, ma in caso contrario siamo di fronte a una forzatura della modernità.”
Un’azione massmediale per salvare il Pianeta?
“È molto difficile dare una risposta.”
Il progetto OASI promosso dall’Università L’Orientale pone la necessità di aprire uno spazio di ragionamento sull’ambiente. Lei crede che la televisione abbia dato qualche contributo su questa tematica?
“Sì, pur non volendo. La comunicazione ambientale più riuscita è quella non volontaria, e a questo proposito ho scritto un libro sulla storia dell’ambiente attraverso la storia del cinema. Un audiovisivo per essere ambientalista non deve necessariamente avere a oggetto l’ambiente come The day after Tomorrow oppure Erin Brockovich. Un grande film ecologista è, per esempio, Via col vento, perché in esso vi è un richiamo alla natura, al rispetto della terra, c’è un messaggio molto forte, perché non intenzionale, che arriva al cuore delle persone più di The day after Tomorrow. Lo stesso vale per la televisione, perché gli sceneggiati televisivi hanno rappresentato la nostra realtà e l’influenza della cultura ambientalista su di essa.”
Lei crede che le immagini possano scuotere le coscienze, ritagliandosi un ruolo anche politico?
“Assolutamente sì, anzi a volte anche troppo perché vengono usate per fini strumentali.”
Aniello Fioccola
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