Devo all’Orientale se ho scoperto le mie passioni

 

Devo all’Orientale se ho scoperto le mie passioni

Gala Follaco

Intervista a Gala Maria Follaco del Dottorato di Ricerca in Asia Orientale e Meridionale, promettente giovane studiosa di letteratura giapponese e traduttrice dell’ultimo libro di Banana Yoshimoto Un viaggio chiamato vita

Dottoressa Follaco, in questo momento a che punto è del corso di dottorato?

“Faccio parte del IX ciclo e ho iniziato da poco il terzo anno.”

Di cosa si occupa nella sua ricerca?

“Ho scelto di trattare di Nagai Kafū (1879–1959), uno scrittore della moderna letteratura giapponese divenuto ormai un grande classico nel suo Paese anche se ancora poco tradotto in Italia. Nella tesi m’interesso del senso della città, inteso come luogo letterario, attraverso un excursus tra le immagini della Tokyo in continuo cambiamento presenti nelle opere dell’autore dalla fine dell’epoca Meiji (periodo di grande rinnovamento e occidentalizzazione del Giappone tra il il 1868 e 1912) fino alla ricostruzione del secondo dopoguerra.
Si tratta di una ricerca che non è mai stata condotta prima in Italia e alla quale ho iniziato a pensare già alla fine del corso di laurea quando ho potuto conoscere Kafū grazie all’enorme fondo del quale L’Orientale dispone, raccolto in gran parte dal professore Polese, grande amante di questo autore.”

A proposito, in cosa si è laureata?

“Ho studiato all’Orientale al Corso di Laurea Vecchio Ordinamento in Studi Comparatistici, scegliendo come lingue l’inglese e il giapponese e discutendo la tesi nell’Aprile del 2006.”

Come mai ha deciso di iscriversi a L’Orientale?

“Al liceo classico ero molto brava in greco e latino anche se la mia materia preferita era la letteratura, soprattutto inglese della quale amavo Conrad, in particolare. Ero quindi decisa a continuare questo studio anche all’università quando, sfogliando una delle tante guide dello studente, venni a sapere che all’Orientale c’è un corso di Laurea in Studi Comparatistici che permette di affrontare in maniera parallela due differenti filoni linguistici. Mi sembrava un percorso molto stimolante e mi iscrissi scegliendo, senza tante indecisioni, l’inglese come prima lingua. Per la scelta della seconda non avevo idee particolari anche perché pensavo di non poterle dedicare troppo tempo.
In quel periodo avevo apprezzato però Kawabata, in traduzione italiana di Giorgio Amitrano, docente all'Orientale, e allora scelsi il giapponese.
La mia passione per questa lingua nacque poi piano piano, senza essere prevista, attraverso l’esperienza diretta con la grammatica, le continue sorprese rivelate dal suo sistema di scrittura e l’espressività caratteristica dei suoi brani che mi permisero ben presto di apprezzare profondamente la letteratura di questo Paese.”

Quando è andata la prima volta in Giappone? E poi?

“Nel 2004, dopo aver vinto la borsa di scambio con l’Università Waseda di Tokyo che l’Orientale bandisce annualmente. Con il beneficio dell’esenzione dalle elevate tasse d’iscrizione e un contributo alla partenza, per un anno sono stata in questo campus universitario partecipando a seminari e corsi di lingua assieme a studenti da tutto il mondo in un clima di continuo scambio d’idee ed interessi. Una bellissima esperienza che mi ha permesso di consolidare le basi della lingua che già avevo e acquisire sicurezza nel parlato, durante la quale ho potuto fare tantissime conoscenze che tuttora mantengo. Ma questo periodo all’estero soprattutto mi ha aiutato a capire cosa volessi fare dopo: non abbandonare la mia passione per la letteratura giapponese.
Dopo qualche breve viaggio per colmare la nostalgia sono quindi ancora tornata a Waseda nel 2007 come vincitrice della borsa di studio biennale del Monkashō (Borsa del Ministero dell’Educazione Giapponese riservata ai laureati italiani che si voglio specializzare presso università giapponesi) dove, con la qualifica di kenkyūsei (studente ricercatore), ho seguito il corso di Master al Dipartimento per l’Educazione portando avanti un progetto di ricerca su Nagai Kafū sotto la guida del professor Chiba, esperto di Tanizaki.”

La formazione ricevuta a L’Orientale secondo lei è competitiva? L'ha aiutata all’estero?

“Ho avuto la fortuna di sperimentare sia il nostro sistema universitario che quello giapponese e con tutta sicurezza posso ammettere di essere sempre stata fiera di essere italiana e di aver studiato all’Orientale. Trovo che infatti che quest’università (l’unica che ritengo veramente mia) offra una solida formazione sia per quel che riguarda le lingue sia per la letteratura, e aiuti veramente a prendere dimestichezza anche con le culture più lontane.
Lo dico sinceramente, poiché mi ricordo che quando arrivai in Giappone per la prima volta, malgrado le iniziali incertezze, notai subito come noi studenti dell’Orientale fossimo già in partenza più avanti di altri.”

C’è un aspetto delle università giapponesi che le manca qui e un aspetto dell’Orientale che le mancava in Giappone?

“Forse una cosa che mi manca in Italia sono le grandi biblioteche universitarie dove poter accedere per consultare testi, o solo per studiare, anche la sera e nei giorni festivi.
In Giappone invece trovavo che mi mancasse il tempo da dedicare ai miei interessi personali: dato che si ha l’obbligo di seguire numerosi seminari e consegnare lavori a ripetizione, si vede drasticamente ridotta la possibilità di svolgere ricerche individuali. Inoltre non c’era la stessa empatia e possibilità di scambio d’opinioni con i professori come ho qui.
Io amo l’Orientale anche per questo clima di confronto e vicinanza tra docenti e studenti.”

Che reputazione avevano Napoli e L’Orientale a Tokyo?

“L’Orientale gode senza dubbio di un’ottima reputazione sia per la qualità degli insegnamenti, la preparazione dei docenti che per l’alto livello delle ricerche prodotte anche in collaborazione con istituti giapponesi.
A proposito di Napoli, avvertivo sempre molta curiosità da un lato verso la città e le sue bellezze paesaggistiche, e dall’altro verso lo stile di vita delle persone di quella che, nella mente di un giapponese medio, è la culla dello stereotipo dell’Italia come «mangiare, cantare, amore». Mi trovai quindi molte volte a dover spiegare che la realtà era diversa e la città non era né un covo di malavitosi né tantomeno un posto dove non si facesse altro che ridere o suonare il mandolino!”

Si parla molto di cervelli in fuga e perché lei nonostante tutto ha deciso di svolgere il dottorato in Italia e a L’Orientale?

“Arrivata alla fine dei due anni di Master a Waseda mi sono resa conto che se avessi continuato a studiare letteratura in Giappone lo avrei sicuramente fatto ad un livello più basso delle istituzioni europee, questo perché anche nei corsi di dottorato giapponesi si deve dedicare gran parte del tempo ai seminari e alle relazioni previste nella serrata attività didattica.
Ritengo invece che in Italia il dottorato sia più formativo proprio perché uno ha la possibilità di dedicarsi alle proprie personali ricerche nella quasi totalità del tempo.
Il caso ha voluto poi che, proprio pochi mesi prima del termine della borsa biennale a Tokyo, uscisse il bando di concorso per i dottorati dell’Orientale al quale partecipai senza indugio poiché consideravo, e lo considero tuttora, un grande privilegio poter studiare letteratura giapponese con docenti prestigiosi come Giorgio Amitrano.
Fu per me quindi una immensa gioia, oltre che una importante soddisfazione, vincere la selezione e poter ritornare finalmente al mio amato Ateneo.”

Lei fu ammessa con borsa sia al dottorato in Letterature Comparate sia in Asia Orientale e Meridionale, scegliendo poi di iscriversi a quest’ultimo. Si reputa soddisfatta della didattica offerta dal Dottorato in Asia Orientale e Meridionale?

“Certamente, soprattutto per la multidisciplinarietà delle conferenze proposte. Nel mio dottorato si raccolgono difatti persone che si interessano di Cina, India, Indonesia, Giappone o Corea e le lezioni spaziano in tutte queste direzioni.
Seguire seminari in materie e argomenti tanto differenti non solo sollecita la curiosità ma permette di allargare le proprie vedute e non limitarsi solo al proprio ambito di ricerca.”

Se non sbaglio è appena tornata da un convegno in America, è stata la sua prima esperienza come relatrice all’estero?

“Sì, sono stata al convegno organizzato a Yale dalla Association for Japanese Literary Studies (AJLS), come unica participante dall’Orientale per questa edizione. Il tema di quest’anno era Tecnologia e Letteratura ed ho presentato un intervento sulle Nagai Kafū e la fotografia, che ha riscosso, mi sembra, un discreto interesse.
Inoltre, ho appena saputo che la mia proposta è stata scelta per il convegno annuale dell’Association for Asian Studies (AAS) che si terrà a Honolulu il prossimo Marzo.
La mia prima esperienza ad un convegno all’estero invece risale a quando, appena laureata a 24 anni, su consiglio del mio tutor a Waseda, il professor Chiba, partecipai ad un convegno su Tanizaki all’INALCO (Institut National des Langues et Civilisations Orientales) di Parigi con una relazione sul rapporto tra Tanizaki e Kafū.”

C’è qualche docente che l’ha seguita (o la segue ancora) al quale è particolarmente riconoscente?

“Se non si è già capito, sicuramente questi è Giorgio Amitrano al quale devo molto. Mi ha insegnato un modo diverso di vivere un testo letterario e di rapportarlo anche ad altre forme d’arte.
Inoltre, ora che mi sto dedicando alla stessa attività, ho come modello il suo talento di traduttore fatto allo stesso tempo sia di sensibilità nel capire un testo che di estrema metodicità nello svolgere questo lavoro.”

Come vede (o spera) il suo futuro, diciamo tra tre anni?

“Naturalmente ancora non c’è nulla di certo ma spererei di poter continuare la ricerca in letteratura come di continuare a tradurre. Rendere un libro nella propria lingua materna è una sensazione veramente bella, come scoprire un tesoro nascosto, e rendere accessibile i suoi contenuti a tutti è un grande orgoglio. Anche se non è sempre così facile e quante indecisioni vengono sul come esprimere al meglio un concetto, dubbi che continuano anche ora che magari rileggo la copia già pubblicata.”

Se non si fosse dedicata alla ricerca, che cosa avrebbe voluto fare? Studiare giapponese aiuta a trovare lavoro?

“Devo dire la verità: non ci ho mai pensato. Forse avrei provato ad entrare nelle aziende di moda, un campo che registra sempre forti vendite in Giappone, oppure avrei cercato lavoro come interprete. Trovare lavoro con il giapponese sicuramente si può, ma senza dubbio bisogna conoscere la lingua adeguatamente!”

Un consiglio da dare ad una matricola che si appresta allo studio delle lingue orientali.

“Non vorrei fare la figura della secchiona ma ritengo che innanzitutto bisogna seriamente impegnarsi e, se ci si accorge che quello che studiamo non ci piace, raccomando di cambiare percorso al più presto.
Ritengo che la chiave per riuscire nello studio delle lingue orientali, e non solo, sia appunto la passione: bisogna incuriosirsi alle nuove scoperte e amare tutto quanto si apprende.”

Fabiana Andreani

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