Diritti umani e carcere
Diritti umani e carcere
di Giovanni Carlo Bruno, Giuseppe Cataldi, Anna Papa, Napoli: Guida, 2008, 239 pp.
Il volume presenta una serie di saggi volti ad analizzare il rapporto, spesso problematico, tra diritti umani e il “pianeta carcere”. In esso sono raccolti anche gli interventi di professionisti, dirigenti dell’amministrazione penitenziaria, dai quali emerge ancora più chiaramente la necessità di un confronto continuo tra il dato normativo e la realtà quotidiana.
L’art. 1 della 1. 26 luglio 1975, n.354 - Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà - afferma che "Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona" (comma1).
L’Italia repubblicana, nata dopo la caduta del fascismo e la fine del secondo conflitto mondiale, aveva conservato le norme sul sistema penitenziario - il Codice penale (1930), il Codice di procedura penale (1930) e il Regolamento carcerario (1931) - cancellando solo quelle disposizioni che presentavano chiari elementi di legame con il precedente regime.
La presenza dell’articolo 27, terzo comma della Costituzione - "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato" - non sembrava comunque dar spazio, nel paese che cambiava tanto rapidamente sul piano politico ed istituzionale, a concrete riforme del Regolamento carcerario che, sostanzialmente, lasciava "il mondo libero" e "il carcere" come due entità distanti e senza alcun canale di comunicazione.
A partire dal 1948 erano stati numerosi i progetti di riforma. Il primo, poco più che una proposta, venne elaborato nell’ambito dei lavori di una commissione parlamentare d’inchiesta incaricata di "vigilare e riferire al Parlamento" sulle reali condizioni di vita dei detenuti e sullo stato di applicazione del Regolamento carcerario.
Solo nel 1960 venne presentato il primo progetto di legge, dal Guardasigilli Gonella, alla Camera. Tale progetto, poi, non venne mai preso in esame, decadendo per la fine della legislatura nel 1963.
La stessa sorte - presentazione e mancata discussione per la fine della legislatura - toccò al progetto presentato dal successivo Ministro di grazia e giustizia Reale.
Solo tra il 1968 e il 1971 il terzo progetto di legge, presentato nuovamente da Gonella, venne presentato, discusso e approvato dal Senato. La Camera, pure impegnata in una serie di udienze conoscitive sulla realtà carceraria, non esaminò il testo per la fine della legislatura.
La legge 354/1975 vide quindi la luce, in un contesto sociale e politico che riteneva ormai ineludibile affrontare la situazione carceraria, durante la VI legislatura.
La riforma penitenziaria, dando piena attuazione all’art. 27, terzo comma, della Costituzione, riconosceva e garantiva agli interessati, detenuti e internati, quei diritti che lo Stato era obbligato ad assicurare. Nelle intenzioni del Parlamento, quella riforma non solo risolveva il conflitto tra i principi della Costituzione repubblicana e le leggi ispirate a valori ad essi opposti, ma avviava anche un progetto di mutazione della percezione sociale del carcere e del trattamento penitenziario.
Giovanni Carlo Bruno, Giuseppe Cataldi, Anna Papa, Diritti umani e carcere, Napoli, Università degli Studi di Napoli "L’Orientale", Dipartimento di Scienze Sociali, 2008, 339 pp.
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