Due conferenze di Pierre Masson

 

Due conferenze di Pierre Masson

Un libro di Pierre Masson

Due gli appuntamenti: il primo sull'affirmation de soi nella letteratura francese del XX secolo e il secondo sugli approcci semiologici e storici alla bande dessinée

Il 12 e 13 maggio il professore Pierre Masson, docente all’Università di Nantes, ha tenuto due interessanti conferenze sul tema della morte nella letteratura francese e su quello riferito ai differenti approcci rintracciabili nella lettura della Bande dessinée.
Il primo incontro, intitolato Tuer ou se tuer: l’affirmation de soi dans la littérature française du XX siècle, è cominciato con un rapido excursus sul differente valore letterario che ha avuto la morte nella letteratura. Se nel XVII secolo la morte viene inflitta volontariamente a se stessi, soprattutto nel dramma teatrale, come mezzo di conformità sociale e come affermazione gloriosa di sé a cui spetta un certo riconoscimento, al cospetto di un dio o di un re, nel XVIII costituisce quello che Masson definisce una “differenziazione sfortunata” per cui l’eroe, quello romanzesco in particolare, si afferma proprio in quanto differente, nel senso di superiore: la felicità non sembra possibile per coloro che sono dotati di una sensibilità altra e quindi l’opposizione alla società, sebbene si configuri come blanda e trasversale, appare sicuramente imprescindibile. La morte si fa dunque forma di espressione ultima di un sentimento di carità universale. Il XIX è poi il secolo del Romanticismo e la differenziazione dell’eroe diventa assolutamente positiva: è facile distinguere i cattivi dai buoni ed il sacrificio di questi ultimi insegue un’ideologia cristiana che, tuttavia, non rappresenta alcun dio. Il “suicidio glorioso” costituisce così un motivo di differenziazione rispetto agli altri che, invece, cercano di raggiungere il successo a tutti i costi. Con il XX secolo invece la ricerca di un trionfo personale viene un po’ messa da parte, addirittura vietata: il periodo si contraddistingue per una sorta di anti-individualismo che viene invece guardato con sospetto ne L’immoralista (1902) di André Gide. L’eroe cerca qui di rivendicare la differenza, è egocentrico ed egoista, e l’affermazione di sé non può avvenire che in riferimento a se stessi: il personaggio diventa autonomo in virtù di una libertà suprema ed è abilitato all’omicidio come atto immotivato, gratuito, con un certo valore estetico. Dopo la guerra, però, l’idea di uccidere diventa sempre meno seducente e l’impatto letterario dell’omicidio diminuisce: affrontare la morte altrui diventa in questo senso problematico, e il suicidio comincia a rappresentare l’unico mezzo che possa dare in qualche modo un senso alla propria vita. Nel romanzo contemporaneo è possibile notare un certo allontanamento dall’omicidio/suicidio che, se ricompare, non ha alcun senso: l’affermazione dell’autore non passa più per la morte ma viene raggiunta semplicemente parlando di sé.
Le differenti tappe delineate hanno mostrato dunque un quadro abbastanza eterogeneo secondo cui però appare chiaro che uccidersi o uccidere sono in fondo atti che cercano una risonanza rispetto a qualcuno o qualcosa d’altro.
L’appuntamento conclusivo Lire la Bande dessinée: approches sémiologique et historique è stato invece un momento di riflessione sulla potenza comunicativa del fumetto che, come ha sottolineato Masson stesso “è un mezzo unico, capace di rappresentare il movimento attraverso strumenti di staticità”. Differenti e variegate le letture che si possono dare alle vignette, denotativa e quindi realistica, connotativa e dunque simbolica, o addirittura poetica. Il fumetto appare insomma come espediente di rappresentazione dell’impossibile che entra a far parte della letteratura considerata degna di un riconoscimento solo a partire dagli anni Trenta.

Francesca De Rosa

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