È possibile il Cibo come Arte?

 

È possibile il Cibo come Arte?

Copertina del testo Filosofia della gastronomia laica

Il Web Magazine dell'Orientale ha documentato la presentazione del libro Filosofia della Gastronomia laica, di Nicola Perullo, alla Libreria Ubik di via Benedetto Croce

Nicola Perullo ha presentato il suo libro assieme a Flavia Cuturi, Giampiero Moretti e Arturo Martone: ne è emerso un incontro che è andato oltre la formula rituale della presentazione di una nuova pubblicazione.

Martone ha introdotto la questione sottolineando l’importanza della tematica gastronomica che, a suo avviso, non sempre godrebbe di uno spazio e di un’attenzione particolare. Siamo tutti consumatori di cibo. Consumatori sembra essere proprio la parola adatta, data la sempre più comune mancata consapevolezza da parte nostra dell’identità di ciò di cui ci nutriamo: cosa mangiamo e soprattutto come mangiamo?

Si è partiti con l’evidenziare speciali categorie di mangiatori: da un lato ci sono stati casi di eremiti come Sant’Antonio Abate e Sant’Ilarione che hanno assunto un atteggiamento di totale rifiuto nei confronti del cibo. Uomini vissuti all’insegna dell’ascetismo, i due si nutrivano il meno possibile: era necessario garantire la centralità spirituale della propria anima e il cibo distoglieva da questo fondamentale obbiettivo.

In seguito all’introduzione di Martone, che ha rivestito il ruolo di coordinatore della discussione, il professore Moretti ha espresso il suo punto di vista di studioso e docente di Estetica.

Ricollegandosi alla questione della scelta gastronomica degli eremiti, Moretti ha evidenziato che, paradossalmente, nonostante il loro disprezzo nei confronti del corpo e dei bisogni ad esso connessi, questi uomini hanno goduto di un’esistenza lunghissima.

Il professore si è poi avviato verso un discorso più precisamente estetico sottolineando la proprietà transeunte del cibo. Esso è soggetto all’imminente consumazione e da qui una prima risposta è già possibile: l’Arte permane ed è immune alla consumazione, da questo punto di vista è evidentemente impossibile accostare il Cibo ad essa.

Procedendo con la sua relazione Moretti ha descritto il momento in cui l’Occidente cambia il suo modo di porsi nei confronti del gusto: nasce l’esigenza di riflettere a tal proposito.

Il nuovo elemento di riflessione sul gusto evidenzia il legame tra Estetica e Gastronomia: l’ambiguo rapporto tra Universale e Particolare, oggetto e protagonista di ogni riflessione estetica, si fa ora spazio anche in quella del gusto. Si tratta di partire dal particolare gusto, relazionarlo ad una serie sempre più ampia di individui e vederlo così ampliato fino a diventare giudizio universale.

Se precedentemente alla svolta estetica in Occidente i sensi della vista e dell’udito godevano di particolare stima rispetto agli altri (data la loro destinazione verso ciò che non muta), successivamente invece abbiamo una nuova considerazione dei sensi: dal rapporto verticale si passa a quello orizzontale e la mescolanza che ne deriva si fa testimone della stessa che coinvolge ora anche tutte le discipline.

Eppure il cibo non ha mai goduto del privilegio di vedersi accostato al concetto di eternità: non sembra possibile rendere eterno o anche solo conservare il momento del gusto. Da qui si arriva all’introduzione dell’elemento malinconico, frutto della scomparsa e dell’annientamento di tutte le speranze: disperazione.

Ed è proprio questa malinconica e disperata scomparsa dell’esperienza gustativa che ha impedito che durante il corso della storia dell’Occidente si pensasse il gusto come degno di salvezza: l’estetica occidentale riesce ad avvicinare l’elemento dell’eterno ad un’unica esperienza sentimentale, quella artistica.

Terminata la relazione di Moretti, si è lasciato da parte il profilo estetico per avvicinare quello antropologico: Flavia Cuturi ha preso la parola e si è collegata alla questione dei sensi dell’uomo evidenziando le diversissime visioni culturali che accompagnano l’esperienza gustativa: è apparso indubitabile che ci sono frontiere che l’occidente non è in grado di oltrepassare.

Secondo il comune punto di vista occidentale il piacere gustativo non può essere mezzo di conoscenza ma, anzi, ostacola ogni nostra aspirazione conoscitiva.

Ma davvero il gusto non può essere definito un senso conoscitivo? La professoressa Cuturi, da studiosa e docente di antropologia, ha fatto numerosi esempi di paesi come l’Amazzonia e la Colombia dove la riflessione sul gusto non è necessariamente associata al concetto di transeunte. Basti pensare infatti che in culture come queste, ogni sapore gastronomico è legato ad esperienze tutt’altro che effimere. Ne sono un esempio il sale e il peperoncino che, amplificando la dimensione della gola, sono credute in grado di garantire una maggiore conoscenza spirituale di un individuo.

Dopo gli interventi dei docenti dell’Orientale si è assistito a quello di Antonio Tubelli, il quale è stato chiamato ad intervenire per esprimere il punto di vista di chi, come lui, si definisce produttore oltre che consumatore di piatti e dunque di gusto.

Tubelli ha immediatamente introdotto quello che secondo lui è il nuovo e contemporaneo problema della questione del gusto: la prevalenza del gusto estetico su quello materiale.

Oggi, sempre più spesso, ci troviamo di fronte piatti belli ma senza sapore. La ricerca dell’elemento estetico del piatto mette sempre più da parte la conoscenza della modalità di produzione di esso e, ovviamente si finisce per perdere la memoria del gusto del cibo: finiamo per mangiare cibi prodotti da una cucina indifferente e priva di emozioni; le stesse emozioni che facevano del gusto uno dei peccati capitali e che, nonostante esso venisse considerato padre di edonismo e piacere, non hanno avuto difficoltà a farne, paradossalmente, oggetto di interesse anche da parte di discipline come la filosofia.

Lorena Jessica Alfieri

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