Edoardo Bennato per L'Orientale
Edoardo Bennato per L'Orientale
L'autore di Burattino senza fili e di altri storici album in concerto nella sede di Procida dell'antico Ateneo campano
Proveniente da una famiglia di musicisti, amante dei rock'n'roll sin da piccolo. Cos'è il rock per lei?
"La musica rock è lo scardinamento dei luoghi comuni, delle convenzioni, di quelle cose che si ritengono scontate e non lo sono. Il rock ha soprattutto questa funzione. Alcuni lo fanno in modo istintivo, appariscente, come negli anni Settanta: muovendosi, agendo e vivendo controcorrente, provocando i canoni della società perbenista, di quella che un tempo si chiamava borghesia.
È sempre stato così, anche se spesso il rock viene poi utilizzato e strumentalizzato dalle case discografiche o da chi detiene il potere musicale e non solo. Faccio un esempio emblematico: quando in America Elvis Presley iniziò a far musica fu censurato. Questo perché l'America del 1957 era nel pieno dei problemi razziali e c'era una reazione di estremo disagio nei confronti degli afroamericani. In quel contesto, Elvis, figlio di un pastore che faceva gospel in chiesa, faceva un tipo di musica tribale, molto nera e ciò lo si vedeva anche nei movimenti. Non a caso lo chiamavano Elvis The Pelvis proprio per il suo stranoto movimento di bacino, all'epoca considerato disdicevole. L'America del '55 era invece quella dei classici padri di famiglia con i figli biondi con gli occhi azzurri e la borghesia, molto attenta alla facciata, non poteva tollerare un personaggio come Elvis. Tuttavia, come capita spesso, i depositari del potere scoprirono che questo Presley però piaceva, soprattutto alle donne: gli uomini si accorsero che le loro figlie conservavano le sue foto nei diari e capirono che la battaglia era senza speranza. Fu, insomma, in base a una sconfitta che cercarono di strumentalizzarlo. Nel 1958, quando ad Elvis, oramai famoso ma sprovveduto, arrivò la cartolina per il servizio militare, il manager, il Colonnello Parker, decise che sarebbe stato inviato presso una base tranquilla in Germania e sarebbe stato fotografato con le divise, rispettivamente quella da soldato alla partenza e quella da tenente al ritorno. Tutto ciò fu fatto per incitare i giovani americani a prendere parte al servizio militare, così come aveva fatto il loro idolo. Il rock può dunque comportare queste contraddizioni se il rocker diviene poi l'antitesi di quello che era all'inizio a causa della strumentalizzazione da parte di chi ha il potere."
Ci racconti di un evento tra i tanti significativi della sua carriera.
"L'evento è legato ai miei inizi. Mi iscrissi alla Facoltà di Architettura a Milano. Scelsi Milano anche per motivi musicali. Riuscii a coinvolgere con la casa discografica Ricordi mio fratello Eugenio e Roberto De Simone nella realizzazione dell'album Non farti cadere le braccia del 1973. Il successo arrivò, ma terminò dopo tre mesi. Mi fu addirittura detto di lasciar perdere e la mia voce fu giudicata sgradevole. Non desistetti e mi piazzai col tamburello davanti alla Rai, suonando canzoni come Ma che bella città e lasciando momentaneamente perdere quelle del mio primo album. Dopo qualche tempo fui notato dai giornalisti di Ciao 2001, partecipai al Festival di Civitella e i media mi elessero rappresentante dell'insoddisfazione giovanile. Il motivo per cui dico questo è facile a capirsi: è tutto nelle mani dei media. Arte, valore e capacità contano fino ad un certo punto, perché l'esposizione mediatica e il discorso apparentemente retorico sul numero di copie vendute hanno un'importanza fondamentale. Ed è solo in seguito al secondo album I buoni e i cattivi del 1974 che furono rivalutati anche i miei lavori precedenti."
Il nome del suo ultimo lavoro è Le vie del rock sono infinite. Le tematiche sono varie ed affrontate sempre con il suo stile inconfondibile. Ce ne dice qualcosa?
"Sì. Premettiamo che io non scrivo poesie e non faccio lezioni di scienze politiche. Le mie sono solo canzonette al fine di sensibilizzare, far riflettere e invogliare la gente a discutere su determinati argomenti. È importante dire che quando io compongo non mi prefiggo di affrontare una data tematica, ma è la frase musicale che mi porta istintivamente a certe sonorità. Sono le sonorità che ti portano poi a parlare di uno specifico argomento. Come tutte le canzoni del mio repertorio anche Un aereo per l'Afghanistan è nata secondo questo parametro. La canzone recita: «Hei! Guarda quell’aereo che sta per partire per l’Afghanistan. Sembra la macchina del tempo, in sole poche ore ti trasporterà lontano, verso il passato, fino a mille anni fa». Ho voluto scrivere questo pezzo per riferirmi ad una cosa importante: il nostro pianeta è ancora diviso in compartimenti stagni.
Per esempio, nell'Italia del 1960 le donne, specialmente quelle del sud, vestivano ancora di nero, come in lutto perenne. Oggi la stessa cosa è ancora riscontrabile in altre zone del mondo. Addirittura, fino alla fine degli anni Quaranta in Italia le donne non avevano ancora il diritto di voto, mentre nel 1950 in Svezia, Norvegia o Seattle esse già rivestivano un ruolo importante. Erano figure politiche e culturali di tutto rispetto e non erano considerate degli oggetti. Diciamo che l'immagine dell'Italia del 1950 è un po' quella del Cairo attuale.
In questo tipo di discorso non bisogna mai parlare di buoni, cattivi, stupidi o intelligenti, ma di capacità di un gruppo sociale o di uno Stato di raggiungere un certo livello. Quando si parla di Iran o Afghanistan non si fa mai riferimento a coloro che hanno una coscienza sociale o un livello culturale, perché essi costituiscono la minoranza, mentre ci si riferisce quasi sempre alle masse, alla maggioranza, a coloro che vivono come potevamo vivere noi nel Medioevo. Ribadisco che non è un problema di bontà, intelligenza o altro, ma è una questione di latitudine ed è in relazione a questa che cambiano le capacità di organizzazione, gestione e socializzazione nelle varie parti del mondo. Noi, rispetto al 2010 di Oslo o Seattle, siamo, per alcuni specifici aspetti, come negli anni Sessanta. Per altrettanto specifici aspetti, a mio avviso, in alcuni anfratti del Cairo si vive come nel 1700. Ma ci sono posti anche più in difficoltà a mano a mano che ci si avvicina all'equatore. Sia chiaro: questo discorso si basa su fatti razionali; gli umani, nel corso dell'evoluzione, spostandosi verso le aree più a nord, sono stati costretti a incentivare le loro capacità tecnologiche e tecnico-scientifiche. La scintilla della civiltà è scoccata perché l'uomo aveva bisogno di difendersi o proteggersi dalla natura o dominarla. La ruota, il fuoco e tutto ciò che ne è seguito è avvenuto in relazione allo spostamento latitudinale. Per avere la prova di ciò, si possono esaminare dei nuclei umani che per una serie di circostanze geografiche sono rimasti esclusi da questo movimento latitudinale. Una tribù scoperta trent'anni fa nella foresta amazzonica viveva nella nostra età della pietra, in perfetta simbiosi con la natura e faceva a meno della conoscenza, che per noi è un grosso problema. La conoscenza ha le sue controindicazioni, come la disperazione o l'infelicità. Nel momento in cui questi nuclei umani ricevono il minimo contatto con il resto della famiglia umana, l'equilibrio è irrimediabilmente e irreversibilmente compromesso. A questo gruppo non resta che una singola scelta, ossia quella di raggiungere nel più breve tempo possibile i livelli della restante famiglia umana.
La scena emblematica è quella di Colombo che si trova davanti al resto della famiglia umana rimasta indietro. Essi non si ritrovano come appartenenti alla stessa famiglia, ma addirittura come nemici, perché l'altra parte è costituita da quella che i cosiddetti civilizzati ritengono selvaggi. Il tempo e il percorso latitudinale della civiltà li hanno divisi. Da lì è iniziato il trauma che viviamo ancora adesso. Questo è il problema del nostro pianeta: come fare in modo di evitare traumi gravi tra la famiglia umana adulta o evoluta e quella che è rimasta indietro, quasi fosse una bambina in confronto a questa entità che ho definito adulta. La pongo in questi termini perché è come quando il bambino riceve indicazioni dall'adulto e in pochi giorni, settimane, mesi e poi anni apprende l'intero percorso fatto dalla famiglia umana nel corso di milioni di anni. In questo frangente di tempo, le informazioni che riceve ne fanno un adulto, e sottolineo: un adulto a quel dato livello latitudinale in cui si trova a crescere. È evidente che la famiglia umana che si è attestata in prossimità del Circolo Polare Artico e poi nelle zone della Nuova Zelanda, dell'Australia, ecc., per motivi geografici è stata facilitata nei processi di apprendimento e di accelerazione del livello tecnologico. Noi stessi, negli ultimi trecento anni, abbiamo ricevuto e riceviamo input destinati a risolversi in innovazioni tecnologiche, ma anche etiche, estetiche e morali da coloro che vivono più a nord. Intendo questo nord come una vera e propria latitudine culturale.
Io farei bene a scrivere canzoni e non a spiegarle, altrimenti inizia la retorica degli stupidi che parlano di inciviltà, ignoranza e via discorrendo. Faccio un esempio: in questi giorni sono morti quattro soldati italiani. Molti si stanno chiedendo perché sono partiti quei quattro soldati. «Tu che hai le idee chiare spiega a chi ce le ha confuse che cosa si sta a fare lì. In nome di che colpa o di che ideale corre il rischio di farsi ammazzare chi ci va». Il senso è proprio questo. Ecco un argomento di confronto che è sicuramente tra quelli correnti in un'università come l'Orientale. Mi piace potermi trovare in luoghi di cultura dove è possibile parlare liberamente, come in questo momento mi accade qua. La prossima settimana andrò a fare e dire la stessa cosa a Bucarest."
Un discorso che fa riflettere. In questo contesto suona come una lezione di geopolitica.
"Sì e se mi è ancora consentita una riflessione, vorrei dire una cosa. Io stimo l'elettrauto o l'idraulico perché sanno quello che dicono, parlano con cognizione di causa. Certo, talvolta possono essere un po' imbroglioni e speculatori, ma nella nostra società sono pedine affidabili, perché sanno quello che dicono e sono qualificati nel loro lavoro. Il perito tecnico e l'ingegnere sono i più affidabili, perché si basano su delle leggi oggettive, su parametri in base a cui parli, ragioni, progetti e sei utile alla comunità a cui appartieni. Purtroppo non è la stessa cosa per le materie umanistiche, per esempio per la geopolitica. Molti del campo non sanno di cosa parlano. Un ministro, uno studente o un attivista non sempre conoscono i parametri fondamentali o le basi. Se noi parliamo di geopolitica, comunicazione o rapporti umani dobbiamo sapere cos'è e da cosa è fatto il nostro pianeta. Sono le basi di chi vuole fare questo mestiere. Molti, per esempio, non sanno cos'è il Tropico del Cancro: mi è capitato di sentir dire che è il titolo di un libro. Certo, è anche il titolo di un libro, ma non è questa la risposta che ci si aspetta, soprattutto quando si sa di che cosa si sta parlando. I parametri geografici sono fondamentali per capire perché in alcune parti del mondo si vive in maniera differente rispetto ad altre zone. Sono profonde le ragioni per le quali certi luoghi sono considerati più vivibili di altri. A mano a mano che procediamo verso sud la vivibilità decresce, fino alla Nigeria, dove il valore di vivibilità è pressoché pari a zero. Inoltre, anche quando le tecnologie e gli input arrivano dalle zone del nord a quelle del sud, in quest'ultimo si verifica l'incapacità di gestirle in modo appropriato. So bene che mi sto ripetendo rispetto a quanto ho detto qualche minuto fa, ma stavolta vorrei aggiungere un esempio. Mi riferisco alla cosiddetta scansione semaforica. È un input arrivato dall'Europa settentrionale, ma noi non ne facciamo lo stesso uso che se ne fa altrove. Procedendo, ad esempio, da nord a sud, verso Napoli, si vede come l'uso del semaforo è inappropriato, perché non si ha la coscienza o lo stesso livello di consapevolezza rispetto a coloro dai quali queste tecnologie ci arrivano. Lo so, è un'affermazione forte, ma la penso così. Quindi, quando parliamo di posti più vivibili nel mondo dobbiamo considerarli come i posti in cui si vive meno peggio, perché comunque anche lì ci sono gli squilibri, ma in misura minore rispetto al resto del pianeta, in quanto ci sono gradi più elevati di consapevolezza. Del resto l'uomo è un essere imperfetto, per cui non può mai venirne fuori un paradiso terrestre. Lo stesso discorso che ho fatto sui valori a livello planetario vale chiaramente anche per l'Italia come singola nazione, alla quale ho dedicato il pezzo C'era un Re."
In Le vie del rock sono infinite c'è anche un pezzo dedicato a Wanna Marchi in cui lei canta "o tutte le canaglie vadano in galera, oppure dentro nessuna!".
"Sì, è così. La canzone si chiama Wannamarkilibera. Se io fossi l'avvocato difensore di Wanna Marchi direi di osservare questa megera, sicuramente macchiatasi di colpe molto gravi, che ha sfruttato la buona fede delle vecchiette vendendo amuleti e pozioni per trarne profitto. Tuttavia, farei anche considerare che condannare, sia pur giustamente, quest'arpia dovrebbe comportare anche la condanna di coloro che, al pari di lei, truffano la gente. Dovremmo condannare tutti gli imbroglioni, anche «chi con aria fraterna ti promette la vita eterna». Invece, esattamente come per quei dischi che tutti conosceranno perché qualcuno ha deciso che così debba essere, è solo Wanna Marchi che va in galera: è innegabile, infatti, che la gran parte dei truffatori viva indisturbata."
"Ma i miracoli e santi non si fermano davanti a nessuno": sono parole di un suo brano, Per noi. Chi sono i santi?
"I santi e gli eroi di oggi sono coloro che, mentre i potenti pensano a come guadagnare e rovinarci, lavorano per il futuro dell'umanità. Futuro in positivo ovviamente. Parlo di medici, scienziati, persone che lavorano a contatto con la tecnologia per migliorare le nostre condizioni."
Lei ha partecipato a diverse manifestazioni che avevano come scopo principale la sensibilizzazione della tutela dell'ambiente. Il 30 ottobre si esibirà eccezionalmente a Procida con la sua band per dare man forte al progetto OASI organizzato dall'Orientale. Un progetto che tratta la relazione tra comunicazione, etica e ambiente. Qual è secondo lei il rapporto tra l'uomo e la natura, oggi?
"Ho scritto un pezzo a questo proposito, Io Tarzan, tu Jane, che è sempre contenuto nel mio ultimo album. La canzone parla di una studentessa che lascia tutto per andare a vivere nella giungla, in simbiosi con la natura e lontana dalla civiltà. Ad un certo punto però si rende conto che a regolare il tutto ci sono leggi spietate e fugge via. Noi diciamo che è l'uomo l'elemento negativo del pianeta, ma non è assolutamente così. L'uomo appartiene al pianeta come gli animali e, a differenza di questi, sta cercando di andare contro natura. La natura è regolata dalla legge del più forte. Noi, al contrario degli animali, che, agiscono per l'appunto in base al loro solo istinto, abbiamo una coscienza che ci spinge ad agire in modo determinato, anche in relazione all'idea e alla consapevolezza della morte che inevitabilmente ci portano a riflettere. Per gli animali è ovvio che il più grande mangia il più piccolo, è un meccanismo perfetto di sopraffazione di esseri su altri esseri. L'uomo invece cerca di evitare proprio questo. Ma dove è che esiste questo rispetto per la vita umana? Ritorno sempre a ciò che ho detto prima. Un simile rispetto esiste nei posti dove è più alto il parametro di vivibilità e questo è un dato che va oltre la retorica e i luoghi comuni. Il rispetto c'è dove c'è la famiglia umana adulta, perché c'è un livello più alto di consapevolezza ed è da qui che devono arrivare gli input positivi per evitare la catastrofe. È la famiglia adulta che ha la responsabilità, data la sua consapevolezza, di creare la migliore risposta possibile al trauma che proviene dalla conoscenza. Spesso però si parla senza coscienza, senza cognizione di causa, come Jane che, senza sapere, va nella giungla e poi se ne fugge perchè si è affidata alla retorica e non ai parametri propri di quel contesto. È come quando i genitori non hanno coscienza del loro compito e trascurano i figli che inevitabilmente cresceranno male. I miei pezzi trattano soprattutto di questo."
Lei come percepisce L'Orientale? Ne ha sentito parlare?
"Ovviamente. L'Orientale è un'ottima università. Le lingue sono fondamentali passaporti per capire i problemi e comunicare con la gente. Conoscere più lingue aiuta a mantenere i rapporti con le culture lontane. La comunicazione è importante ed è fondamentale che con le altre culture ci sia un dialogo costante. Ciò è fattibile solo attraverso le lingue, e quelle che si insegnano all’Orientale sono numerose."
Tempo addietro il Web Magazine dell’Orientale ha intervistato il suo chitarrista, Gennaro Porcelli, studente presso il nostro Ateneo. Porcelli l’ha definita "il numero uno". Cosa pensa di lui?
"Ognuno ha dei modelli da seguire. Io ho avuto il piacere di essere stato preso come modello da Gennaro. È un ragazzo e un chitarrista fantastico, uno dei migliori chitarristi blues che io conosca. Anche Giuseppe Scarpato che invece è un ottimo chitarrista rock è un giovane bravissimo. Sono ragazzi meravigliosi."
Bennato, lei cosa consiglia a chi vuole intraprendere una carriera musicale?
"Consiglio tanta gavetta. Bisogna suonare molto nei locali, farsi conoscere, pubblicizzarsi e mettere in mostra le proprie capacità. Lo stesso Gennaro ha fatto così. Girare e suonare nei locali è fondamentale. È la verifica sul campo ciò che conta, bisogna vedere se piaci. Il discorso poi può essere ampliato alla situazione musicale attuale che vede famosi, anche se per poco, questi giovani provenienti dai talent show e dai vari programmi televisivi. Qui il discorso diventa complesso, perché alle case discografiche e ai media interessa il pacchetto popolarità, per cui è più facile che venda un ragazzo che già è in televisione da un po'. La musica non è come lo sport. In quest'ultimo valgono le capacità fisiche oggettive, mentre nella prima l'arte è sovente nelle mani dei potenti e una canzone non può dirsi realmente uscita, come usa dirsi nel nostro gergo, se non quando viene pubblicata, pubblicizzata e ascoltata. Io stesso ho vissuto sulla mia pelle, talvolta, le conseguenze di una incompleta realizzazione di questi tre punti."
Qual è la canzone che riscriverebbe?
"Non c'è una canzone che riscriverei. Le canzoni sono manifesti, devono rappresentare qualcosa. Le ragazze fanno grandi sogni del 1995 è per esempio il mio personale manifesto della femminilità. E anche nel caso di questa canzone vale il discorso che ho fatto prima. Quando uscì non ebbe successo. Dopo molti anni, più di cinque, è stata ascoltata da un gruppo di pubblicitari che cercava la base per uno spot: fu immediatamente scelta e divenne in pochissimo tempo un manifesto di sintesi sulla donna."
Marialberta Lamberti - Direttore: Alberto Manco
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Audio intervista - Ibadi Theology. Rereading Sources and Scholarly Works