Ennio Remondino all'Orientale
Ennio Remondino all'Orientale
La guerra come bugia: questo il tema centrale dell’intervento del giornalista ed inviato Rai Ennio Remondino alla Summer School Comunicando, che per oltre trent’anni ha realizzato importanti e talvolta scomode inchieste. Tra le più note quella sui rapporti tra Cia e P2 e la guerra in Jugoslavia
Remondino, nel suo intervento alla Summer School "Comunicando" si è soffermato a lungo sulla questione dell’uranio impoverito, sulle diverse tipologie di armi di distruzione di massa (atomiche, biologiche e chimiche) nonché sulla non sempre corretta informazione circa le loro conseguenze per l’uomo. Se dovesse spiegare in poche parole cos'è il giornalismo d'inchiesta, come lo definirebbe?
"Un giornalismo curioso e irriguardoso, che va a rompere le scatole."
Che studi ha fatto?
"Io ho fatto Scienze Politiche e poi tanta strada. Tanta strada nel senso che ho percorso a piedi tante strade ed ho incontrato tanta gente normale, pochi potenti, pochi palazzi e questa è una bella scuola."
Come si diventa reporter d'inchiesta?
"Intanto devi trovare un direttore che te lo consenta. Devi essere un "rompiballe", curioso ed anche un po’ audace, per alcuni versi un po’ incosciente. Io credo di aver rischiato probabilmente più volte la pelle quando facevo il giornalista d’inchiesta che quando ho fatto il reporter di guerra."
Che consigli dà ai giovani che aspirano ad intraprendere la carriera giornalistica?
"Ripensarci un attimo! Poi però direi: insistete ma cercate di cambiare questa società perché così com’è, intrappolato nella prevaricazione del potere economico e del potere politico, il giornalismo è prigioniero. Quindi prima sbarchiamo questa struttura di potere e poi scegliamo un giornalismo bello, alto e nobile."
Dal suo punto di vista quali sono le condizioni della comunicazione in Italia?
"Pessime. Non ha etiche. Beh, peggio di così! C’è un editore privato che fa politica, casualmente in questo momento è Premier e nel suo ruolo di Premier controlla la televisione pubblica a fini privati, tra l’altro credo sia anche un reato l’utilizzo di mezzi pubblici a fini privati, potrebbe essere, figuriamoci! E quindi c’è qualcosa che non funziona. Se ad esempio vuoi pubblicare un libro, con chi lo pubblichi? Mi dici i gruppi editoriali che hanno il monopolio della comunicazione? Bruno Vespa, pubblica. Remondino anche, ma non con la Mondadori. Non so se hai colto un po’ di polemica."
Alla luce degli oltre trent'anni di attività giornalistica c'è qualcosa che cambierebbe del suo percorso lavorativo?
"Mi verrebbe da dire da cinico che avrei dovuto pensare un pochino di più alla carriera che alla notizia. In realtà no. I pentimenti riguardano l’eventuale notizia "bucata" o l’eventuale notizia non compresa sino in fondo, e mi è accaduto spesso; come a tutti coloro che provano e si cimentano quotidianamente sul lavoro e possono soltanto sbagliare: perché chi fa sbaglia, chi non fa non sbaglia. Io ho fatto tanto ed ho sbagliato tanto! Però mai in malafede, questo è importante. Quindi ho qualche scrupolo ma nessun rimorso."
Qual è l'inchiesta che ricorda con maggiore soddisfazione?
"Quella più clamorosa è quella dei rapporti tra Cia e P2. Con più soddisfazione. Beh, in questo momento avrei qualche difficoltà a tirarla fuori. Ho fatto inchieste che sono anche "abortite" perché tu inizi una strada e poi non sempre arrivi in fondo; quante notizie, quante dietrologie… Hai avuto il sussurro, la spiata… Tu le insegui, devi trovare i riscontri e poi non sempre li trovi e quindi non è notizia. Tuttavia torno a dire che l’inchiesta più clamorosa è stata quella dei rapporti tra Cia e P2 che fece arrabbiare molto un certo George Bush, non W., quello è un po’ scemo, ma suo padre; poi un certo Francesco, all'epoca Presidente della Repubblica italiana, cioè Cossiga, recentemente scomparso e un certo Giulio, cioè Andreotti. Quell’inchiesta costò il posto da direttore del Tg1 a Nuccio Fava: confesso pubblicamente che la direzione del Tg1 a Bruno Vespa l’ho regalata io che divenni da reporter investigativo reporter di guerra e fui mandato all’estero in esilio. Forse speravano che avessi qualche incidente."
E qual è l’inchiesta che dal punto di vista umano l’ha segnata di più?
"Sicuramente Sarajevo. Le mie missioni da inviato nei quattro anni del "macello" di Sarajevo di cui, al di là dei pezzi che facevo allora, non ho mai voluto scrivere una virgola perché ciò che ho visto supera ciò che io ho avuto la capacità di assorbire senza farmi travolgere e che non voglio ripescare dentro di me per raccontare perché orrori umani, bambini, donne, esseri umani che io non immaginavo potessero esistere. Io, per carità, arrivavo da una situazione di delitti di mafia, delitti di terrorismo che comunque erano mirato per certi versi all’ammazzamento indiscriminato. Difatti ho zone di rimozione e solo di tanto in tanto mi escono delle immagini nel sogno, delle brutte immagini… Sarajevo, per me, è la città che più mi ha coinvolto e più mi ha ferito: difatti l’ho messa in un canto."
Chiara Pasquinucci, Raffaella Sbrescia - Direttore: Alberto Manco
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