Essere scrittori all’Orientale

 

Essere scrittori all’Orientale

Università "L'Orientale": un terreno fecondo anche per chi ama la letteratura e aspira a diventare scrittore. Tra questi, il giovane poeta Giuseppe Sterlicco

Nel 2007, in un testo dal titolo eloquente, La littérature en péril, lo studioso Tzvetan Todorov, partendo dalla sua esperienza personale nella Bulgaria degli anni ’50 e nella Parigi dei ’70 e da una riflessione storica sull’estetica della letteratura dalle origini alle avanguardie, ha cercato di analizzare gli orientamenti della letteratura, oggi, e dei suoi metodi di insegnamento nelle scuole e nelle università. La sua posizione è critica nei confronti di molti studiosi di formazione strutturalista, che hanno dominato il modo accademico nella seconda metà del secolo scorso e che hanno rovesciato il paradigma letterario, concentrandosi esclusivamente sui metodi di analisi e perdendo di vista la vera meta: l’opera. È invece necessario ritornare sui testi.
Un’università antica come “L’Orientale”, che affonda le proprie radici nel diciottesimo secolo, potrebbe far pensare a una struttura di insegnamento immobile, ferma su posizioni classiche, dove a essere insegnata è soltanto la storia della letteratura dimenticando la letteratura in senso stretto. E invece no. Se si dà uno sguardo, anche rapido, ai programmi delle discipline letterarie ci si rende conto che quasi tutti i docenti hanno una predilezione particolare per un approccio diretto all’opera.
Studiare un esame di letteratura all’Orientale significa innanzitutto leggere gli autori. Non solo, dunque, la vita dello scrittore, il contesto storico o la critica sull’opera ma in primis l’opera stessa. E questo non è per nulla scontato in ambito universitario. Si va, per fare solo qualche sparso esempio, dal Genij monogatari alle novelle di Le mille e una notte, dall'Odissea di Omero alle Satire di Giovenale, dal Canzoniere di Petrarca a La tempesta di Shakespeare, da I Lusiadi di Camoes al Faust di Goethe, dal Moby Dick di Melville al Papà Goriot di Balzac, dal Tempo ritrovato di Proust a L’età della ragione di Sartre, da La morte a Venezia di Mann al Grande Gatsby di Fitzgerald, da Ecco il mio nome del poeta libanese-siriano Adonis all’Ode alla notte di Neruda, da Miramar di Naguib Mahfuz ad Al di là della montagna del turco Yasar Kemal.
Questa breve rassegna serve soltanto a mostrare quanto possa essere fecondo l’ambiente universitario dell’Orientale, a patto che lo studente sia mosso da un interesse vivo per la letteratura. Questo è importante non solo per chi ama la letteratura in tutte le sue declinazioni, ma anche per chi aspira a farla: cioè… a scrivere!
Negli ultimi decenni i grandi scrittori e soprattutto i più importanti poeti sono venuti dagli Stati Uniti. I poeti americani Robert Pinsky e Rita Dove, lo scorso anno al Festival della Poesia di Capri, hanno spiegato questo fenomeno alla luce della grande diffusione negli States di corsi di laurea in scrittura creativa (Masters of Fine Arts). Sedici tra i vincitori del Premio Pulitzer per la poesia negli ultimi anni sono laureati al Writer’s Workshop dell’Università dello Iowa, la più importante scuola di scrittura creativa al mondo. Questi dati sono certamente significativi ma la stessa Università dello Iowa, nella home page del Writer’s Workshop, alla voce Philosophy dice: “We continue to look for the most promising talent in the country, in our conviction that writing cannot be taught but that writers can be encouraged”.
Dunque chi aspira a fare il poeta o lo scrittore va innanzitutto incoraggiato, e in questo un ruolo decisivo può averlo l’università aprendo alla scoperta e alla lettura delle grandi opere della letteratura. Leggere Hölderlin e Rilke o Leopardi e Montale, come accade nella nostra università, vale più che seguire un corso di creatività. Una misura di quanti giovani che scrivono ci siano all’Orientale si può avere dando uno sguardo al sito della casa editrice Orientexpress (http://www.orientexpress.na.it/pc/autori.asp), che raccoglie i testi di studenti con la passione della scrittura.
Tra questi emerge Giuseppe Sterlicco. Iscritto al corso di laurea in “Lettere Moderne”, Sterlicco ha già al suo attivo due pubblicazioni: nel 2008 esce per Orientexpress la raccolta di versi Poesie dure&crude, nel giugno 2010 è pubblicato da Dante & Descartes il libro di poesie Dal luogo crudele.
Una scrittura tagliente e tesa che nasce da un istinto naturale, quasi selvaggio, che conduce il poeta alla consapevolezza lacerante di essere diverso “perché ho bisogno di scrivere”, al punto che c’è una differenza carica di tensioni tra l’io che scrive, per il quale, come afferma Celan, “la lingua è tutto, matrice e destino” e un “voi” con i suoi sguardi, le sue facce e le sue parole da “spaventapasseri”.
Tutti i versi di Sterlicco sono segnati da questo strappo esistenziale (lo stesso insistito utilizzo del simbolo “&” sembra essere una forma non tanto di congiunzione ma di rottura), risultato di uno sguardo disilluso sul mondo, sulla sua terra, su quel “luogo crudele” nel quale è stato sartrianamente gettato senza permesso, ma che al tempo stesso rappresenta la fucina dove si dà “la chimica della composizione”, che ricorda molto l’“alchimia del verbo” di Rimbaud. E proprio il poeta francese, chiamato “Arthur suole di vento”, è tra le letture preferite di Giuseppe Sterlicco, insieme a Leopardi, Baudelaire, Nietzsche, Bukowski.
Dal luogo crudele, un titolo che sembra alludere a un doppio movimento, di discesa e di risalita: come “l’inferno” in cui Rimbaud restò una stagione per portarne fuori i suoi versi, o come il “porto sepolto” di Ungaretti dove “vi arriva il poeta e poi torna alla luce con i suoi canti e li disperde”.
In Sterlicco c’è questo stesso movimento, questo sostare nel “luogo crudele” in attesa dell’attimo (l’ispirazione? termine ormai usurato…) in cui le parole “selvagge come bestie costrette in gabbia” esplodono verso un pubblico spesso incapace di sentire. Questa è l’altra faccia della crudeltà: una parola strappata alla morsa del silenzio ma ugualmente condannata dalla sordità di chi non sa ascoltare.
È la crudeltà dell’incomunicabilità, ma al poeta poco importa perché “mi basta solo questo per sentirmi vivo”.
Sterlicco in parte richiama alla mente autori da lui stesso citati, ma ricorda anche certa poesia americana della seconda metà del Novecento. Non tanto gli scrittori di San Francisco, tutti caratterizzati da uno spirito di fare gruppo, dall’essere un solo corpo con l’intento di costruire uno spazio politico-utopico di scrittura alternativa, aperto a un pubblico predisposto ad accoglierlo ma piuttosto gli autori della Scuola di New York, fautori del poeta fabbro, che trae materia di composizione dalle esperienze quotidiane e dall’osservazione diretta della vita urbana anche meno significativa.
I poeti della prima generazione della scuola newyorkese ruppero con i custodi dell’accademismo poetico degli anni ’40-’50 riuscendo ad aprire una nuova strada tutta votata alla libertà nella scrittura dei versi e alla tendenza a portare nei testi il pulsare della vita quotidiana. In questo, Sterlicco sembra fare propria la lezione dei newyorkesi quando dice: “scrivo poesie | ma le mie poesie | non hanno rima, |non hanno schemi, | non hanno regole: | c’è solo vita e ritmo | ritmo e vita”.
 
Se Frank O’Hara, padre della Scuola di New York, nel Saggio intorno allo stile ha potuto affermare che occorre “trattare la macchina da scrivere come un organo interiore”, la scrittura di Sterlicco è la voce di un organo malato.

Aniello Fioccola

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