Federico Albano Leoni: sensi e prosodia
Federico Albano Leoni: sensi e prosodia
Partendo dalle “dicotomie sbilanciate” nella linguistica del Novecento, come quella linguistico-paralinguistico, Federico Albano Leoni riflette sulla prosodia come generatrice di sensi.
28 novembre 2012 – Nell'ambito delle attività del Dottorato in Teoria delle lingue e del linguaggio, Federico Albano Leoni ha tenuto una lezione dal titolo “Sensi e Prosodia. Per una critica della dicotomia linguistico/paralinguistico”. In linea con quello che è il filo conduttore del suo ultimo volume, Dei suoni e dei sensi (Il Mulino, 2009), il linguista ha parlato del ruolo della prosodia nel parlato focalizzando l'attenzione su alcune “asimmetrie” concettuali che, a suo parere, meritano di essere messe in discussione soprattutto alla luce della storia linguistica del secolo scorso. Si tratta, in particolare, di alcune dicotomie quali langue/parole, linguistico/paralinguistico, segmentale/soprasegmentale, parlante/ascoltatore, significato/significante, delle quali salta agli occhi come il primo membro sia stato studiato in maniera molto approfondita, mentre non è accaduto altrettanto con il secondo membro di ciascuna coppia.
Dopo un breve excursus relativo al termine paralinguistico – con il quale di solito si fa riferimento a numerosi fenomeni che appaiono ben lontani dall'essere esterni al dominio linguistico, come quelli prosodici – il linguista ha formulato una domanda tramite la quale è stato possibile raggiungere direttamente il cuore del discorso. Dato che nella comunicazione verbale l'elemento prosodico – anche ontogeneticamente – precede quello linguistico in senso stretto, perché non scegliere come coppia prosodico/subprosodico piuttosto che quella ampiamente utilizzata di linguistico/paralinguistico?
A ben guardare, secondo Albano Leoni, dato che la parole non si scelgono a caso, l'adozione di questa particolare dicotomia rispecchia una sorta di “filosofia della linguistica” nella quale si lascia poco spazio all'idea di contesto e di dimensione pragmatica della lingua, per privilegiare la dimensione strutturale e sistemica tramite la quale è possibile osservare le lingue e il loro funzionamento come se queste fossero entità astratte. Tuttavia, la vera attività linguistica non avviene in un “vuoto pneumatico”, queste le parole del linguista, ma in un mondo condiviso dal quale il soggetto parlante non può essere espunto, diventando – come accade in taluni approcci, come quello del primo generativismo – una sorta di macchina di Turing senza vita, lavoro, età, sesso, e così via. In questo senso, per ritornare ancora alla storia linguistica dell'ultimo secolo, Albano Leoni ha legato tra loro i nomi di alcuni importanti autori e pensatori quali Wegener, Saussure, Gardiner, Malinowski, Bühler e Wittgenstein, capaci non solo di riconoscere la fallacia della separazione linguistico/paralinguistico ma di porre al centro delle proprie riflessioni sul linguaggio – per quanto formulate in modo diverso – il concetto di contesto. Grazie all'attenzione posta sulla dimensione pragmatica della lingua, infatti, è possibile aprire la strada ad una visione gestaltica della comunicazione linguistica nella quale tutti i sensi e i significati – sia quelli propri sia quelli figurati che fanno parte di “quella nebulosa che appartiene ad ogni singola unità semantica” – vengono determinati, precisandosi, anche al di là dei loro aspetti referenziali.
Se per il lessico, tuttavia, si accetta l'idea che i significati possano slittare, diventando sempre passibili di estensioni o restrizioni a seconda dei contesti comunicativi, non si capisce come mai la medesima variabilità e contestualità debba costituire un ostacolo tale da far porre i fenomeni prosodici al di fuori degli interessi strettamente linguistici e rientrare in quell'insieme di “para-” o “extra-” che, secondo quanto affermato provocatoriamente da Albano Leoni, “alcuni linguisti hanno creduto o credono che debba essere studiato dai tarallari”. Lo studioso ha infine sintetizzato, attraverso un efficace esempio, il fulcro della questione. Se nella lessicografia è possibile tracciare una storia del senso proprio e di quello figurato delle parole, il cui punto d'arrivo è tutto linguistico – come nel caso della parola calcolo che, a partire dalle sue origini etimologiche in quanto pietruzza, ha potuto trasformarsi grazie al senso figurato nel calcolo aritmetico in cui il valore iniziale viene opacizzato, fino a tornare al calcolo adoperato in ambito medico-chirurgico nel quale quel primo valore torna ad essere primario – lo stesso non si può dire di un'espressione quale Sei proprio bravo! che, quando pronunciata con un tono serio mantiene il suo contenuto referenziale, restando nell'ambito del linguistico, ma che tuttavia viene relegata all'ambito del “paralinguistico” quando la si pronuncia con un tono ironico-sarcastico, capace di alterarne il senso. Come sottolineato da Albano Leoni, tra i due esempi citati – calcolo e Sei proprio bravo! – non c'è alcuna differenza dal punto di vista dei meccanismi mentali della progettazione e dei procedimenti ermeneutici. L'unica differenza è che, mentre per il lessico esistono i vocabolari capaci di restituire un'idea di fissità e rigidità delle parole, non esiste ancora – come aveva pur auspicato Giovanni Nencioni, ricordato da Albano Leoni – un vocabolario dei prosodemi.
Al di là del complesso quadro delineato dallo studioso – grazie al quale si è spinti a riflettere su apparati teorici e metodologici della disciplina – negli ultimi anni, negli studi linguistici, la centrale importanza sia del contesto pragmatico sia dei fenomeni prosodici sembra acquistare un peso sempre più consistente, e l'intervento di Federico Albano Leoni ne è un'ulteriore testimonianza.
Azzurra Mancini - Direttore: Alberto Manco
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