Il grande deserto e il piccolo popolo raccontati da Francesco Romanetti
Il grande deserto e il piccolo popolo raccontati da Francesco Romanetti
Nell'ambito della Cattedra Jean Monnet, un incontro dedicato ad una minoranza su cui da tempo sono stati spenti i riflettori dei media nazionali e internazionali, quella saharawi
13 maggio 2013, Università degli studi di Napoli “L'Orientale” – Nell'ambito del corso organizzato dalla Cattedra Jean Monnet Ad Personam “La tutela dei diritti umani nell'Unione europea”, Giuseppe Cataldi, professore di Diritto internazionale e titolare della Cattedra, ha dato inizio all'incontro con il giornalista Francesco Romanetti, anticipando alcuni dei prossimi appuntamenti del corso: una Giornata di studio prevista per il prossimo 20 maggio dal titolo “Conoscere l'Europa”, un incontro coordinato con la Presidenza della Repubblica che si terrà il 27 maggio e nel corso del quale l'Orientale ospiterà cinque ambasciatori del Sud-Est Asiatico e, infine, la chiusura del corso prevista il 3 giugno, in occasione della quale verrà presentato il corso di preparazione alla carriera diplomatica e internazionale che sarà attivato all'Orientale alla fine del 2013.
Al termine di questa breve introduzione, Cataldi ha delineato un quadro di riferimento storico-politico in cui collocare il tema dell'incontro, ovvero la questione del Sahara spagnolo, paragonandola ad un'altro caso, quello di Timor Est, due territori che negli anni Sessanta erano colonie rispettivamente dei regimi dittatoriali della Spagna e del Portogallo. Negli anni Sessanta, approfittando del momento di transizione e di debolezza seguito al collasso delle due dittature e al conseguente crollo dei regimi coloniali, l'Indonesia e il Marocco, confinanti rispettivamente con Timor Est e con il Sahara Occidentale, occupano quasi simultaneamente i due territori. Mentre a Timor Est, tuttavia, un referendum sancisce infine una libertà non vincolata alla sovranità di altri paesi, la situazione del Sahara Occidentale non è mai mutata e, ancora oggi, il popolo saharawi non può raggiungere l'autodeterminazione cui aspira da tempo. Dopo questa premessa Cataldi ha passato la parola ad Ugo Cundari, responsabile dell'Ufficio stampa d'Ateneo, che ha introdotto il giornalista de Il Mattino Francesco Romanetti sottolineando da un lato l'importanza della denuncia sociale e della necessaria attenzione verso le questioni che riguardano le minoranze – in particolar modo quando così esigue come quella saharawi – e dall'altro la possibilità di avere testimonianze dirette di chi può offrire uno squarcio di realtà oggi taciuta dai media internazionali.
Romanetti ha iniziato con due dati direttamente collegati tra loro, ovvero la mancanza di informazione e la propria esperienza sul campo interamente autofinanziata. A causa della crisi della carta stampata, infatti, mai come oggi i tagli gravano sugli uffici di corrispondenza dall'estero e ciò comporta un notevole vuoto informativo, a maggior ragione per ciò che riguarda i contesti marginali o erroneamente ritenuti tali. Il giornalista che voglia trattare questi argomenti, quindi, si trova a dover fare i conti con il filo di un discorso interrotto, in alcuni casi, da anni. Questo è il caso della minoranza saharawi che – sebbene finita sotto i riflettori dei media internazionali ed entrata nell'immaginario giovanile negli anni Settanta grazie alla guerriglia messa in atto dal fronte di liberazione – come testimoniato da Romanetti, è finita nel dimenticatoio.
La questione in realtà appare chiara: l'area abitata in passato dagli saharawi è perlopiù desertica ma le zone vicino alla costa sono strategicamente importanti per l'economia del Marocco, che nel 1975 occupa militarmente l'area. Nonostante gli anni di scontri sanguinosi con il fronte di liberazione del popolo saharawi e l'esodo dei profughi, gli scambi commerciali che il Marocco ha con buona parte dell'Europa e con la Francia contribuiscono a far tacitare qualsiasi questione. Il popolo saharawi, quindi, oggi risulta diviso tra una minoranza che vive ancora nell'area e un altro gruppo che vive in campi profughi in Algeria e, mentre i profughi sopravvivono soltanto grazie agli aiuti internazionali, la minoranza rimasta nel Sahara Occidentale sopravvive con grande difficoltà, in condizioni di estrema povertà, e rappresenta non più del 30% della popolazione che oggi è quasi interamente marocchina.
Un terzo del territorio è attualmente controllato dal fronte di liberazione Polisario (Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro) che sin dagli anni Settanta continua a opporsi con la guerriglia all'occupazione militare, anche per mantenere viva la speranza dell'autodeterminazione. Tuttavia esiste una concreta separazione fisica tra i saharawi dell'Algeria e quelli del Sahara Occidentale: un muro lungo più di 2400 km controllato dall'esercito marocchino che divide in due la già esigua minoranza.
Romanetti a questo punto ha raccontato ai presenti della propria esperienza in qualità di osservatore internazionale al processo svoltosi nel febbraio 2013 contro circa venti ribelli del Fronte. Nell'ottobre del 2010, infatti, i saharawi hanno dato vita ad una rivolta inedita, piantando le proprie tende nel deserto, per chiedere migliori condizioni di vita. Una forma di protesta sociale che presto si è trasformata in protesta politica – di cui all'estero non è giunta notizia alcuna – sedata dopo circa un mese dall'esercito marocchino in uno scontro che ha causato perdite su entrambi i fronti. Il processo in questione ha per imputati i militanti del fronte che, pur essendo a tutti gli effetti dei civili, sono stati condannati da un tribunale militare. Si parla di confessioni estorte con la tortura e di pene che variano dai venti ai trenta anni di reclusione, fino all'ergastolo. Il capo d'accusa, più che omicidio, è l'aver posto le condizioni per cui quegli avvenimenti avessero luogo, una sorta di “concorso morale”, come suggerito da Cataldi: tra i condannati, infatti, figura anche uno dei membri del fronte che però risulta essere stato arrestato il giorno prima degli eventi oggetto del processo. Un elemento quantomai significativo, soprattutto se si considera che si sta parlando dei militanti di un popolo il cui diritto all'autodeterminazione è stato sancito dall'ONU più di trent'anni fa. Inutile sottolineare che molti dei condannati oggi sono in sciopero della fame, questo non fa notizia, non per quei media che sono attenti a non disturbare gli interessi economici internazionali.
Azzurra Mancini - Direttore: Alberto Manco
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