Il tema dell'anthropos in chiave interdisciplinare
Il tema dell'anthropos in chiave interdisciplinare
Si è svolta presso l'Università degli studi di Napoli "L'Orientale" la giornata di studio Anthropos. Ways of Research
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23 gennaio 2013 – L'aula magna Matteo Ripa, presso Palazzo Giusso, è stata teatro di una giornata di studio dal titolo: Anthropos. Ways of Research. L'incontro, che ha visto la partecipazione di docenti provenienti sia dall’Orientale sia da altri atenei italiani e non, ha posto l’attenzione sul tema dell’anthropos, con il chiaro intento di farne oggetto di una lettura interdisciplinare comprendente le materie di pertinenza dei docenti intervenuti quali l’antropologia, gli studi postcoloniali, la sociologia e il diritto.
Ad aprire i lavori Silvana Carotenuto, organizzatrice dell'incontro con Miguel Mellino, la quale – prima di introdurre il primo relatore, Massimo Canevacci – ha rivelato ai presenti cosa l'abbia orientata verso la scelta del tema della giornata: la lettura di un saggio della fisica americana Karen Barad apparso sulla rivista Derrida Today. In esso filosofia e fisica vengono ad intrecciarsi – la prima entra in contatto con termini propri della seconda, innanzitutto l’aporia, ben nota a chi ha dimestichezza con gli studi di Jacques Derrida e, più in generale, con la sua concezione decostruzionista – creando una commistione particolare.
L’anthropos si trova oggi a dover fare i conti con una società in cui le tecnologie digitali la fanno da padrone. Lo sa bene Massimo Canevacci, professore di Antropologia culturale presso l’Università di Roma “La Sapienza”, secondo cui lo studioso deve necessariamente fare ricorso ad una “ubiquità transitiva” come orizzonte disciplinare da sostituire alla dialettica: una metodologia da seguire nello sforzo di far connettere discipline diverse, purché alla base della ricerca ci sia anche il cosiddetto “stupore metodologico” – inteso da Theodor Adorno come “l’attimo prima” – strumento necessario per affrontare la società contemporanea. L’importanza dello “stupore metodologico” risiede nel consentire un posizionamento capace di rendere pronti all’incontro con ciò che non si conosce e che, in quanto appartenente alla sfera dell’ignoto, è ciò che più di ogni altra cosa riesce ad attrarre. È da queste basi che può nascere un discorso riguardante temi quali il “meta-feticismo” e il “sincretismo digitale”, temi estremamente contemporanei che possono riscontrarsi in diversi campi della cultura.
In una società così diversa da quella in cui ha avuto origine e si è poi sviluppato il discorso intorno al tema dell’anthropos, bisogna anche chiedersi in che modo ci si deve rapportare, oggi, a questo significante. Per il secondo relatore, Miguel Mellino, docente di Antropologia postcoloniale all’Orientale, nel ricercare la soluzione a questo quesito non si può prescindere dallo studio delle opere di pensatori quali Frantz Fanon e Roland Barthes. Le opere prese in esame da Mellino sono Pelle nera maschere bianche e I dannati della terra di Fanon e Il grado zero della scrittura di Barthes; testi da considerarsi, al pari di Orientalismo di Edward Said, basilari per gli studi postcoloniali. Il significante anthropos viene così messo in discussione a partire dal fatto che sia scaturito nell’ambito di una disciplina, quale l’Antropologia culturale, fortemente dipendente dalle politiche colonialiste e, per certi versi, loro complice.
E la messa in discussione degli equilibri prestabiliti è necessaria anche in ambito giuridico, a favore dell’accoglienza di un tema quale “il bene comune”. Un tema di grande rilievo, a maggior ragione in un momento in cui il concetto di anthropos sembra non essere più saldato a quello della comunità cui lo stesso dovrebbe naturalmente appartenere. Ne è convinto Ugo Mattei, titolare della Alfred and Hanna Fromm Chair in International and Comparative Law alla University of California ed autore del saggio Beni comuni. Per il giurista, infatti, il diritto, così come lo conosciamo, nasce come strumento legato storicamente alla diffusione della proprietà privata – definita da Mattei come “privante” – ed è ciò a cui si può far risalire anche l’inizio della statualità. In un contesto come quello contemporaneo, tuttavia, la nozione di “bene comune” appare come rivoluzionaria non solo perché antitetica ai rapporti di potere esistenti, ma soprattutto perché è in grado di stare alla base di un nuovo modello di potere che sia diffuso piuttosto che accentrato. Come ricordato dal giurista, anche se sono stati necessari grandissimi sforzi e anche se la vera sfida inizia soltanto in questo momento, la lotta contro la privatizzazione delle risorse idriche a Napoli e la conseguente trasformazione della vecchia azienda in una azienda a statuto speciale, la ABC (Acqua Bene Comune) è stato un chiaro esempio di come sia possibile far incontrare le teorie e le buone pratiche, offrendo all'individuo così come alla collettività una spinta verso nuovi percorsi e nuove forme di partecipazione e condivisione.
Oriano Guida - Direttore: Alberto Manco
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