Keiko Ichiguchi all'Orientale
Keiko Ichiguchi all'Orientale
Pubblichiamo uno stralcio dell'intervista alla nota manga-ka che partecipa alle Giornate di studio “Un ambiente fatto a strisce”
Keiko Ichiguchi, su cosa è incentrato il suo intervento alle Giornate di studio “Un ambiente fatto a strisce” organizzate da Alberto Manco all'Università di Napoli L'Orientale?
“Principalmente parlerò di quello che faccio quando disegno e scrivo fumetti.
Quando mi è stato chiesto di intervenire, ho specificato che potevo parlare solo della mia esperienza, poiché essenzialmente nasco come autodidatta non avendo frequentato scuole speciali e lavorando sempre spontaneamente. Addirittura spesso succede che, quando mi viene chiesto di spiegare il motivo che mi ha spinto a impiegare un certo soggetto o storia, sia proprio quella l’occasione in cui mi domandi per la prima volta il perché di certe scelte!
Spero dunque non ci si aspetti che io dia lezioni o spieghi tecniche: posso offrire solo la mia attività concreta di fumettista e mi auguro sia sufficiente per non annoiare il pubblico”.
Come si è avvicinata al mondo a strisce?
“Come tutti i bambini del mondo anche a me da piccola piaceva molto leggere i fumetti e, come molti ragazzini avranno fatto almeno una volta, sognavo da grande di diventare una disegnatrice.
Durante l’adolescenza ho iniziato quindi a disegnare come hobby e poi, verso i diciotto anni, con un gruppo di amici mi dedicata a realizzare delle fanzine. In Giappone, quello dei fumetti amatoriali è un settore che ha preso molto piede con un buon successo di pubblico.
Ho provato a farmi conoscere anche partecipando a fiere specializzate ed esponendo i miei disegni, poi, grazie ad un concorso che vinsi, ho debuttato pubblicando i miei primi fumetti.
Dura è stata dopo: affermarsi nel mercato è tutt’altro che una passeggiata!
A differenza del fumetto occidentale, infatti, se da un lato, in Giappone diventare fumettisti è relativamente più semplice, poiché non ci sono particolari restrizioni alle inclinazioni stilistiche dell’autore e tantissime erano (ora sono un po’ meno) le riviste specializzate in cerca di nuovi talenti; dall’altro, il mercato dei mangaè talmente grande (ci sono fumetti per bambini, ragazzi, per teenager, per adulti, erotici, di fantascienza, storici eccetera…) che emergere da questa vastità, conquistare e soprattutto mantenere uno spazio tra le preferenze dei lettori è un privilegio solo di pochissimi autori”.
Il fumetto e l'ecologia: una relazione connaturata?
“Dipende dall’autore. Sono in molti quelli che scelgono di dedicarsi al tema dell’ambiente almeno in una loro produzione, come nei famosi cartoni animati di Miyazaki. Tuttavia non penso esista, almeno per quanto ne conosco io, un autore che racconti esclusivamente l’ambiente e i suoi problemi. A proposito, nel mio prossimo fumetto m’interesso dei fiori di ciliegio giapponese: magari ci si potrà anche vedere qualcosa di ‘ecologico’ ma è solo una delle interpretazioni possibili da parte dei lettori”.
Come è cambiata la percezione del fumetto negli ultimi cinquant'anni? E i suoi contenuti?
“Faccio riferimento al Giappone, che è la situazione che più conosco. Fino alla fine degli anni Ottanta o inizio anni Novanta del XX secolo, i mangasi sono sviluppati bene in molte direzioni di contenuto e di pubblico mantenendo una certa moralità nei contenuti destinati al pubblico più giovane. Poi, secondo me, si sono affermate delle regole di mercato, basate sulla massimizzazione delle vendite e del profitto, che a danno del pudore e della dignità, hanno portato ad inserire elementi di erotismo o scene violente anche nei fumetti destinati ai ragazzini. Per me, questo è stato sinceramente disgustoso e penso che abbia degradato il mercato giapponese. Adesso quando torno in Giappone, infatti, non compro più i fumetti con la voglia di una volta: i mangacon facili riferimenti al sesso e scontati doppi sensi volgari sono diventati numerosissimi e simili gli uni agli altri, mentre sono più rare le pubblicazioni veramente belle e di qualità di una volta.”
Qual è il suo fumetto preferito?
“Difficile, è sempre molto difficile rispondere a questa domanda.
Posso dire che fumetti importanti che mi hanno insegnato molto e fornito eccellenti spunti sono tutte le opere di Moto Hagio [autrice di manga nata nel 1949]: ogni sua opera la ritengo pari ad un piccolo capolavoro di letteratura”.
Ha mai letto un fumetto in lingua straniera? Qual è la bellezza della lettura in lingua originale, quali le perdite nella trasposizione in un'altra lingua e dunque cultura?
“Occupandomi anche di traduzioni di fumetti dal giapponese all’italiano, mi accorgo continuamente come tanti aspetti delle storie si perdano per forza nel passaggio da una lingua all’altra. Addirittura nel caso dei fumetti umoristici, i più ricchi di giochi di parole, tradurre diventa impossibile perché non ci sono termini simili e il senso dell’humourè basato su principi diversi. Il problema della traduzione è infatti nella differenza di sensibilità e nel modo di pensare racchiuso nelle lingue.
Ora sto traducendo, ad esempio, un fumetto chiamato Vagabondche parla della storia di Musashi Miyamoto, un famoso samurai veramente esistito: spiegare lo spirito e le attitudini di un samurai in Italia è molto difficile poiché non c’è stato nulla di simile nella Storia. Inoltre, trattandosi di una storia drammatica non posso nemmeno aggiungere troppe note esplicative o danneggerei la tensione e l’emotività delle vicende. Devo anche rispettare il personaggio nel tradurre i dialoghi: il protagonista di Vagabondè taciturno e mettere discorsi troppo lunghi per spiegare concetti che in giapponese sono invece espressi da una sola parola, mi costringerebbe a snaturare la sua indole. A volte, infine, quando capita che un termine giapponese traduca anche tre parole italiane, devo chiedere direttamente all’editore di scegliere quale si addica meglio alla storia.
Da questi esempi spero si comprenda come sia complesso l’adattamento da una lingua all’altra”.
Quale ruolo può avere il fumetto nella formazione ed educazione dell'individuo, considerata la sua diffusione in fasce d'età molto giovani?
“Se per educazione intendiamo lo studio e l’apprendimento, penso che il fumetto sia senza dubbio molto utile perché, come ho detto, è un genere al quale è molto facile avvicinarsi. Mi ricordo che anche io, da piccola, imparai le prime nozioni di Storia giapponese e di scienze proprio leggendo per passatempo una serie di fumetti educativi che avevamo nella biblioteca della scuola elementare: c’è n’erano anche molti altri che spiegavano divertendo la matematica, la geografia, lo spazio…
Dal punto di vista della formazione intesa come trasmissione di precetti morali ritengo che sia però un discorso diverso. Il fumetto è innanzitutto l’opera di un autore che deve avere la massima libertà di espressione, come in tutte le altre forme d’arte, anche a scopi non pedagogici. Ovviamente non nel caso si tratti di fumetti destinati ai bambini.
Come ho già detto, quello che mi dà fastidio nei fumetti giapponesi di oggi è che molti, ma non tutti (e sottolineo ‘non tutti’ …per fortuna), inseriscano elementi sessuali nelle storie per i più giovani solo per vendere meglio: su questo non sono affatto d’accordo ma, al di fuori di questa fascia d’età, in un fumetto ritengo possa essere rappresentato e raccontato di tutto”.
Nella società giapponese i manga vanno ben oltre il semplice intrattenimento ed è possibile trovare illustrazioni a fumetti anche in cartelli stradali, istruzioni o indicazioni di uffici pubblici. Perché in Giappone questa forma di comunicazione è così amata?
“Penso perché la società ha capito la potenza del fumetto come mezzo di comunicazione nel far arrivare messaggi a tutti, grandi e piccoli, con estrema facilità. Il Giappone esagera qualche volta però nell’utilizzare fumetti ovunque. Ho visto, per esempio, una brochure illustrativa delle attività svolte dalla Forza di Autodifesa con illustrazioni realizzate secondo lo stile di moda ora: occhioni grandi, ragazzine carine, espressioni del viso marcate… In questo caso l’uso del fumetto mi pareva un po’ fuori luogo.
In Italia, invece, il fumetto continua ad essere considerato solo come roba per bambini. Se questa convinzione non verrà meno, sarà difficile che le case editrici, pur in presenza di tanti lettori adulti, si convincano a estendere il mercato dei fumetti anche ad altre fasce d’età o ad altri scopi comunicativi.
Forse è per questo che in Italia si parla di graphic novel distinguendolo dal fumetto: per intendere quelle opere d’autore che puntano ad una fascia di pubblico più adulto (adulto, non nel senso di pornografia ma solo di età). Un mercato ancora abbastanza ristretto mi pare: i miei amici italiani sopra i quarant’anni se vogliono leggere fumetti o si comprano Tex o hanno a disposizione poco più che nulla. Spero solo che la definizione di graphic novel non diventi un’etichetta troppo snob”.
Risorse Correlate: Blog personale di Keiko Ichiguchi http://www.keikosan.com
Fabiana Andreani
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