Le vie marittime della ceramica cinese lungo le Vie della Seta
Le vie marittime della ceramica cinese lungo le Vie della Seta
Si è svolto il 6 Marzo a Napoli presso la Cappella Pappacoda il primo incontro del ciclo dottorale organizzato da Bruno Genito e Lucia Caterina “Archeologia delle Vie della Seta”
Il ciclo di incontri, giunto al suo secondo anno, ha il supporto della Scuola Dottorale di Studi Orientali e Africani (Dottorati: Turchia, Iran e Asia Centrale, Asia orientale e meridionale), quella di Studi Interculturali (Dottorato: Archeologia: Rapporti tra Oriente e Occidente) e del CISA (Centro Interdipartimentale di Servizi per l’Archeologia). Questo sarà l’ultimo anno in cui il ciclo sarà supportato dalle Scuole dottorali poiché, come ha sottolineato il professore Adriano Rossi, che è intervenuto in apertura inaugurando la serie di appuntamenti, esse non esisteranno più nella forma in cui le si conosce: rientreranno, infatti, nel piano di riorganizzazione che prevede la riduzione del numero dei dottorati, che “saranno meno specifici”.
Il primo incontro di “Archeologia della vie della seta” ha visto intervenire Lucia Caterina, che è stata docente di Archeologia e Storia dell’arte cinese all’Orientale ed è oggi direttore del Museo Orientale Umberto Scerrato, che ha illustrato La via marittima della ceramica cinese. Così, il ciclo, che lo scorso anno aveva seguito le vie della seta fino in Asia, è giunto in Cina. La più nota via della seta era quella che entrava in Cina attraverso l’Oasi del Tan Guan, incontrava il deserto e poi si diramava seguendo una direttrice settentrionale ed una meridionale. Tuttavia a partire dagli anni Ottanta del Novecento la via marittima ha suscitato grande interesse. Essa partiva dai porti cinesi e attraversava tutto il sud-est asiatico giungendo fino al Vicino Oriente e alle coste dell’Africa Orientale. La nuova attenzione rivolta alla via marittima ha consentito il ritrovamento ed il recupero di numerose imbarcazioni naufragate mentre la percorrevano. Nei relitti è stata ritrovata una grande quantità di ceramiche che, per la loro natura, hanno resistito all’usura del mare. I ritrovamenti hanno consentito in diversi casi di poter stabilire datazioni più precise in epoche storiche in cui i riferimenti temporali non sono ancora assolutamente definiti. Tra i numerosi ritrovamenti effettuati ha certamente una grande importanza quello della nave detta Belitung, dal nome della località indonesiana nei pressi della quale naufragò. Sappiamo che era partita dal Medio Oriente e che aveva toccato tutti i porti della Cina prima di affondare. A bordo erano stipate ingenti quantità di ceramica. Tra questi c’era una coppa sulla cui base era incisa una data equivalente all’anno 826. Al momento è la coppa più antica di cui si abbia notizia. Tra le scoperte più importanti realizzate in quest’ambito c’è quella che ha consentito importanti studi sul cosiddetto bianco e blu, una tecnica di decorazione della ceramica. I cinesi sostengono che questa tecnica fosse utilizzata già in epoca Tang, mentre gli occidentali ritengono che fosse prodotta al tempo dei Mongoli. Analizzare i reperti ritrovati su di una nave affondata mentre dai porti cinesi era diretta a Bassora ha consentito di porre fine alla diatriba. Inizialmente il blu cobalto arrivava dall’Iran e per questo era usato con parsimonia nelle decorazioni. Poi i cinesi cominciarono a produrre un proprio blu cobalto di una tonalità diversa da quello utilizzato fino ad allora. Queste differenze cromatiche hanno consentito di stabilire il periodo di produzione delle ceramiche, è stato quindi possibile dedurre che vi fu una prima fase di produzione del bianco e blu, realizzata con cobalto importato, destinata solo all’esportazione che ad un certo punto andò scomparendo. In epoca più tarda questa tecnica decorativa così particolare e caratterizzante fu ripresa. L’incontro è stato un viaggio tra numerosi relitti che il mare ha custodito a lungo e che oggi restituiscono agli studiosi materiale prezioso.
Daniela Vitolo - Direttore: Alberto Manco
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