A lezione dal Cellini

 

A lezione dal Cellini

Arte e vita di un artista boschereccio

Napoli, 12 aprile 2010 – Corso di critica letteraria. Titolo della lezione: I sogni di Cellini. Il prof. Carlo Vecce è accompagnato per l’occasione da Frédérique Dubard de Gaillarbois, professoressa ordinaria di Letteratura italiana del Rinascimento alla Sorbona di Parigi.
Non si è mai troppo cauti nell’usar etichette per generi e categorie quando si parla di Benvenuto Cellini, a meno che non ci si rassegni all’impossibilità di una rasserenante ma già morta univocità. Personalità poliedrica, non v’è dubbio. Il Cellini di oggi è poeta, trattatista; ci serviamo, senza timore, dei più piccoli aspetti – per questo meno conosciuti – di una vita a volte violenta al fine di consolidare quel ponte tra arte e letteratura. Una storia, la sua a dir poco originale, tra le storie degli artisti/ scrittori cinquecenteschi.
Soggiornò in Francia per cinque anni, dal 1540 al 1545. Seppe conquistarsi la stima dei francesi elogiando Francesco I a dispetto dell’avverso Cosimo, duca di Firenze. Considerazioni che gli valgono tutt’ora un posto al Louvre.
Personalità borderline, straordinariamente in bilico tra medioevo e post-moderno, poesia e filosofia, il Cellini non prediligeva paesaggi particolari, ma amava senza condizioni l’utilizzo di materiali lussuosi. Scelta stilistica costosa allora come adesso e che lo ripaga ora con l’amara assenza delle sue opere, o perché fuse o perché incomplete. Non sapremo mai se la perfezione delle ricostruzioni virtuali dei suoi lavori avesse mai potuto saziare in vita la sua indecente fede auto-propagandista. Il risultato è quello.
Con La Vita, l’artista celebra sé stesso. Con il Perseo – commissionato da Cosimo de' Medici – il Cellini – definito dal Vasari dalla personalità collorosa – infrange a mano armata il mito del mecenatismo mediceo. Con la poesia, da voce alle statue di Ercole e Nettuno (quest’ultima dell’Ammannati) e le fa dire con giusta intonazione – e memore dei versetti satirici attaccati alla statua dell’Ercole del Bandinelli – di essere state affidate agli artisti sbagliati.
La tragedia del Perseo – d’eco alla tragedia della tomba – sanguina alla disgrazia di essere un capolavoro che soddisfa la commessa di Cosimo, ma che dovrà aspettare dieci anni per essere pagato. Cultura iconografica con la quale il Cellini esprime il suo più totale disprezzo per la politica artistica di Cosimo. Molte le parole chiave nella sua vita. Col Boezio condividerà non solo l’esperienza del carcere, ma l’assenza delle donne e dell’amore in poesia; il Varchi e Guido Guidi saranno per lui interlocutori culturali con cui sezionare – nelle sue tante espressioni – l’anatomia ed il fuoco del sapere tutto. E ancora: boschereccio, ragionare, sogno. Bosco come metafora della distanza necessaria a dire le sue ragioni. Il bosco come emarginazione, l’emarginazione di un étranger de l’intérieur; la ragione, che trascende la differenza tra poesia e prosa, come la verità soggettiva ed oggettiva, dunque filosofica e poetica. 
"Per essere io nato uomo, dunque son filosofo e poeta". Il progetto – d’Aristotelica memoria – per una visione democratico-universalistica della filosofia, segue le tracce del Varchi (volgarizzatore di temi filosofici e traduttore dal latino) e rigetta ogni forma di elitarismo. Filosofia è (anche) poesia. Ideologicamente diverse, sì; ma essenzialmente pari. Come il Machiavelli della scrittura intesa come mestiere in mancanza d’altro, la poesia (voce elegiaca) è costretta nell’amarezza dell’impossibilità di agire. Praxis e teoria, per entrambi, non sono dissociabili; anzi, la teoria ambisce alla prassi (a monte e a valle della teoria). Il Cellini, tendenzialmente creatore, offre comunque il primato alla praxis.
Cellini è voce poetica (femminile) che si lamenta e soffre. Cellini è vox filosofica (virile) in missione consolatrice, che ragiona e solleva. Cellini è figlio di Michelangelo rivisto e corretto dal Varchi, maître à écrire dal quale non erediterà mai – per specularità – la parità filosofica tra pittura e scrittura. Insomma, l’intellettuale indipendente che sogna una scrittura libera, non censurata politicamente. Poeta boschereccio, d’un bosco però non molto lontano dalla città.

Claudia Cacace

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