Messaggerie Orientali: Il Buddhismo tra immaginazione e Realtà

 

Messaggerie Orientali: Il Buddhismo tra immaginazione e Realtà

Immagine del Gandhara Buddha (1st-2nd century CE, Tokyo National Museum)

Francesco Sferra libera il campo dai luoghi comuni sul buddismo

Napoli, Complesso Universitario di Monte Sant’Angelo, 3 marzo – È innegabile che un forte interesse per le filosofie e le religioni orientali abbia ormai preso piede in occidente, ma fino a che punto la curiosità diventa conoscenza e quanto c’è di reale nel nostro immaginario sul buddismo? Rispondere a queste domande è l’obbiettivo della relazione presentata da Francesco Sferra per Messagerie Orientali, in occasione della serata annuale in cui il ciclo di conferenze Come alla Corte di Federico II della Università Federico II cede la staffetta all’Università “L’Orientale” e ai suoi docenti. È il Rettore Viganoni che, nel presentare Francesco Sferra come docente di Lingua e letteratura sanscrita con un profilo di ricerca a livello internazionale, conferma il rapporto di collaborazione che da sempre esiste tra questi due atenei. Rivolgendosi a un pubblico che immagina sia fatto anche di semplici curiosi di orientalismo, oltre che di esperti e studiosi, il Rettore comunica che sin dal 2002 è attivo presso l’Orientale un Centro di Studi sul Buddhismo che organizza eventi aperti a tutti. L’augurio, implicito, è che la conferenza di Sferra sia solo l’inizio di un approccio più consapevole alla cultura buddhista.
Mirando a una chiarezza (opportunamente) didascalica, Sferra divide il suo discorso in due parti: la prima dedicata all’immaginario occidentale sul buddhismo e alle immagini più celebri che si sono formate in occidente a proposito del buddhismo, la seconda a ciò che il buddismo realmente è. L’excursus storico sui contatti della cultura occidentale con il buddhismo mette in luce come essi risalgano al II secolo d. C. e a Clemente Alessandrino, anche se è a Marco Polo che dobbiamo le osservazioni più puntuali, ed è grazie a quest’ultimo che vengono conosciute in occidente le fasi salienti della vita del Buddha. Dopo le scoperte geografiche che si verificano tra il XIV e il XVI secolo aumentano i contatti e si verificano anche fenomeni d'incomprensione: i missionari francescani e domenicani sono sospesi tra condanna dell’idolatria e ammirazione per l’austerità di vita che li porta a rivendicare per Gesù Cristo la fondazione della religione buddhista. Bisogna arrivare alla fine del XVII secolo per imbattersi per la prima volta nella più nota condanna del buddhismo, interpretato come una filosofia nichilista che insegnerebbe che “il saggio non deve avere passioni ma neanche alcun desiderio, deve sforzarsi di non volere nulla, e bandire, dunque, anche ogni desiderio di virtù e santità per starsene quieto, potendo trovare la felicità solo nella quiete: egli, il saggio, è niente. Oppure è Dio. Ma ciò e folle”. Fino ad arrivare ad Umberto Galimberti che nel 2000 scrive: “Cosa spinge l’occidente verso l’oriente? La cultura della volontà di potenza verso la cultura dell’impotenza? Il Buddha insegna a liberarsi dal mondo e non a trasformarlo. Aderendo al buddhismo si smette di cercare di creare un mondo migliore, cercando in sé la felicità”. Un recente esempio di grave incomprensione.
A questo punto Sferra passa all’analisi di ciò che il Buddhismo realmente rappresenta, aldilà dei pregiudizi occidentali. Salvo rare eccezioni, infatti, la sua conoscenza resta un fatto superficiale, e addirittura capita che non venga fatta distinzione tra buddhismo e induismo.
Si fa fatica a ricondurre alla stessa cultura religiosa le varie dottrine e, soprattutto, si parla sovente di filosofia mentre quella buddhista è una religione a tutti gli effetti, con il suo repertorio di pratiche rituali che insegnano come si può raggiungere la consapevolezza di sé e quindi la felicità diventando un “liberato”.
Certo il Buddhismo non parla di un Dio creatore, ma, al più, di un vuoto non meglio definito. Né viene definito con precisione in cosa consista la felicità, ma si dice ciò che non è: non è ricchezza e non è potere, innanzitutto. E sappiamo che per raggiungere questo stato di felicità ci vengono incontro le Quattro Nobili Verità del Buddismo: esiste il dolore, esistono cause del dolore, esiste la fine del dolore ed esiste una via per raggiungere la fine del dolore. Una sintesi chiara abbastanza per mirare ad un approfondimento più scientifico. L’invito del rettore Viganoni sarà probabilmente raccolto da molti.
 

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