Mobilità Internazionale e Secondo Dopoguerra

 

Mobilità Internazionale e Secondo Dopoguerra

Tratto dalla locandina dell'evento

Workshop Mobilità internazionale e secondo dopoguerra: i molteplici aspetti delle migrazioni e il confronto delle esperienze passate con le proposte contemporanee

La professoressa Andreina De Clementi ha aperto l'incontro con un ringraziamento sentito e commosso in occasione del giorno del suo congedo dall'istituzione: “non posso che dolermi – ha continuato la De Clementi – del fatto che il mio congedo sarebbe dovuto essere seguito da un ricambio generazionale che purtroppo non ci sarà”. La professoressa ha cominciato poi la dissertazione presentando la distanza che inspiegabilmente esiste tra la storia della società e la storia delle migrazioni: un tale divario ha fatto sì che gli studi dedicati alle migrazioni toccassero solo gli aspetti macroscopici del fenomeno, le sue fasi “epiche”, e ponessero l'accento dunque su una serie di sterili stereotipi che hanno ben poco a che vedere con la realtà dei fatti.
La parola è passata poi al professore Fabio Amato che si è occupato di Geopolitica e migrazioni internazionali, parlando della mobilità come uno dei risultati possibili nel rapporto tra uomo e ambiente. In effetti, lo spostamento di porzioni di popolazione più o meno ingenti manifesta l'esistenza di punti di aggregazione più importanti di altri che sono il risultato di note asimmetrie tra zone differenti del globo, ma non solo. I flussi migratori, infatti, andranno a influenzare tanto le società di arrivo quanto quelle di partenza con contaminazioni imprescindibili dalla coesistenza di comunità diverse.
La professoressa Emma Sarno ha poi approfondito l'indagine sulla contemporaneità presentando Le migrazioni intellettuali nel nuovo millennio: un'analisi esplorativa. Sulla base dei dati Istat, la professoressa ha esaminato il fenomeno del Brain Drain in Italia, la cosiddetta “fuga dei cervelli”, ovvero la migrazione di individui qualificati da regioni più povere ad altre più ricche: quello che ne è emerso, senza stupire più di tanto, è che il Nord costituisce un polo di forte attrazione per i giovani laureati italiani. In questo studio, però, si è cercato di considerare anche l'altro lato della medaglia e cioè quanto questo fenomeno possa essere valutato come un Brain Gain e quanto, quindi, i neolaureati vadano comunque ad aumentare il capitale umano della regione in cui si stabiliscono. Un dato relativamente sorprendente è quello che riguarda i laureati all'Orientale che trovano un'occupazione, il 71,33%, percentuale più alta rispetto a tutti gli altri atenei partenopei: di questi il 52,38% ha trovato lavoro al Sud mentre il 10,71% lo ha trovato all'estero, a testimonianza del fatto che gli “Orientalini” sono i più competitivi sul mercato del lavoro a livello internazionale.
Da profughi a cittadini? Percorsi migratori delle displaced persons nel secondo dopoguerra è il titolo dell'intervento di Silvia Salvatici, docente all'Università di Teramo: l'obiettivo è quello di dare al dopoguerra un senso altro, che non coincida necessariamente con quello della guerra fredda ma che invece possa avvicinarsi alle storie dei migranti. La Salvatici ha presentato così la storia di uno degli IDPs, persone obbligate a scappare dalla propria casa per fuggire dalla guerra, ponendo l'accento sulla implicita condizione di cittadini a metà: questi, infatti, potevano avere accesso ad un programma di riabilitazione solo in quanto lavoratori ma in ogni caso vedevano riconosciuti i propri diritti sociali in maniera assolutamente parziale.
La professoressa Alessandra Gissi ha invece presentato un intervento intitolato L'emigrazione degli scienziati: conseguenze sociali e culturali nell'Italia del secondo dopoguerra. La ricerca (ancora in corso) sulle migrazioni di scienziati della natura, ed in particolare dei fisici, ha messo in risalto un aspetto insolito della migrazione, qui intesa come mobilità accompagnata da un progetto, e lo stereotipo del cafone ozioso che decide di emigrare viene così spazzato via da nomi di personaggi illustri come quello del fisico italiano Bruno Rossi.
Amalia Signorelli, docente all'Università Federico II di Napoli, ha tenuto una relazione dal titolo Andirivieni, pendolarismi, bilocalità e le riproduzioni della tradizione in cui ha parlato dell'esodo degli emigranti italiani nel dopoguerra, esodo da intendere come partecipazione alla lotta per l'emancipazione, come percorso individuale o anche come risposta a quelle trasformazioni sociali che avevano portato all'espulsione di alcuni. La Signorelli si è soffermata poi sui pendolarismi fondamentalmente definibili in due blocchi, quelli tra diversi ancoraggi e quelli tra diversi lavori, individuando anche determinati punti fissi culturali che si pongono alla base dell'emigrazione. Tra questi, la fuga dal lavoro esposto alle intemperie e quindi dalla vita dei campi, la fuga dall'incertezza, e la speranza di arrivare a comprare casa o a pagare gli studi ai figli.
A conclusione del Workshop si sono tenuti poi gli interventi di due giovani dottori di ricerca: Michele Colucci, dell'Università della Tuscia, ha presentato Un male necessario? La sinistra italiana e l'emigrazione negli anni della ricostruzione, in cui è stata analizzata la dimensione politica dell'emigrazione e quindi quello che può essere il legame che unisce la mobilità alla storia del movimento operaio. Stefano Gallo, dell'Università di Pisa, ha parlato infine di Clandestini in patria? Mobilità territoriale e normative contro l'urbanesimo nell'Italia repubblicana, focalizzandosi sulle migrazioni interne al paese e sulle difficoltà, date soprattutto dalla disoccupazione, dello stabilirsi altrove.

Francesca De Rosa

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